Leggere la storia nei fotogrammi delle cronache televisive
di Giuseppe Moesch*
Da quando ero adolescente i primi filmati degli eventi degli albori della fotografia e della cinematografia mi sollecitavano reazioni contrastanti: da un lato una sorta di partecipazione diretta, personale e molto coinvolgente ad eventi lontani nel tempo il cui divenire non era più solo frutto della mia fantasia come mi accadeva per quelli degli antichi egizi, dei persiani, dei greci o dei romani, dall’altra la sensazione di assistere ad uno spettacolo tra il comico ed il ridicolo, dovuto ai limiti dei mezzi di ripresa e di riproduzione del tempo, che in bianco e nero e con velocità di riproduzione spesso accelerata, ricordava altri filmati quali quelli di Charlie Chaplin o di Ridolini.
La cosa certa era la percezione del tempo passato, la distanza siderale tra quegli uomini con la bombetta o il cilindro che facevano la storia, o di quegli operai o quelle mondine che erano la storia, agenti ed attori che recitavano la loro parte più o meno consapevoli delle trasformazioni che si stavano verificando.
Vedevo l’attualità e potevo confrontarla con quei frammenti del passato ed era, se si vuole, entusiasmante notare che nel giro di poco più di mezzo secolo il mondo aveva potuto subire tutti quei cambiamenti.
Due guerre mondiali avevano spazzato via imperi, governi, sconvolto ni paesi e rapporti gerarchici, ed una diversa percezione delle cose, anche grazie all’innalzamento del livello culturale dei paesi dell’occidente, e la partecipazione del popolo era assai più massiccia e sentita.
Le prime aggregazioni massicce mostrateci da quegli antichi fotogrammi erano abbastanza scomposte e primitive rispetto a quelle a cui abbiamo assistito a partire dagli anni sessanta, quando le organizzazioni sindacali e di partito organizzavano in maniera scientifica manifestazioni di protesta o di dissenso o di partecipazione come è avvenuto anche in occasioni di funerali di personaggi illustri che avevano tracciato il solco nel quale si era sviluppato il Paese.
Posso appena ricordare l’entusiasmo per il referendum sull’aborto o la partecipazione ai funerali di Berlinguer, momenti in cui milioni di parsone avevano risposto agli appelli e centinaia di migliaia si erano raccolti nei luoghi dove si svolgevano quelle manifestazioni.
All’annuncio della morte di Napolitano tutte le reti televisive e tutti i media si sono scatenati a proporre il “coccodrillo” pronto già da molto tempo, impostato per la beatificazione del defunto emerito.
Sono già entrato nel merito anche se solo per alcuni aspetti della personalità dell’uomo e non intendo ulteriormente commentare fatti che, anche se hanno avuto ed hanno enormi conseguenze sulla vita socio economica italiana ed europea, saranno meglio sviscerati dai diversi punti di vista degli storici che se ne occuperanno.
Quello che voglio sottolineare sono gli aspetti meno appariscenti di quanto è accaduto nei giorni seguenti alla diffusione della notizia.
Farò riferimento a tre momenti che letti insieme ci permetteranno di capire cosa sta succedendo.
Il primo flash è l’immagine trasmessa credo dal Tg3, forse regionale, che avendo mostrata la camera ardente al Senato e la passerella dei soliti noti, ha comunicato che oltre alla squadra al completo dei politici di tutte le razze che si inchinavano dinanzi al feretro, anche una folla di cittadini attendeva il proprio turno per esprimere il proprio cordoglio per la perdita di cotanto uomo.
Mentre la cronista pronunciava quelle parole, la regia spostava l’attenzione sulla fila davanti al Senato per evidenziare la “folla” composta da una cinquantina di anziani individui in attesa di entrare, e tra questi la figura di Massimo D’Alema che già Presidente del Consiglio e deputato di molte legislature, era in fila come un comune cittadino, invece di entrare direttamente come gli altri più o meno autorevoli personaggi che erano giunti in precedenza. Dubito che possa essersi trattato di un atto di scortesia protocollare da parte dei funzionari del Senato, ma credo si sia trattato di una scelta meditata da parte dell’uomo, e resta da capire quali siano state le motivazioni di quella scelta.
Il secondo flash, è relativo alla scelta degli oratori che, nel giorno dei primi funerali laici della storia della Repubblica tenuti a Montecitorio, si sono succeduti al microfono.
Scontati e protocollari quelli dei Presidenti di Camera e Senato, come quelli dei familiari, il figlio e la nipote che ha parlato correttamente con la voce dell’affetto per il nonno; sono seguiti quello sentito e abbastanza oggettivo di Anna Finocchiaro che non ha voluto fare un panegirico dell’uomo del quale era amica e discepola politica; quello di Gianni Letta che bonariamente ha ricordato il confronto con Berlusconi omettendo la virulenza delle diverse visione politiche e le intemperanze sul piano personale le cui conseguenze hanno avuto rilievo sulle sorti del Paese evidenziando come avesse svolto la propria funzione in modo non proprio notarile; proseguite poi con Paolo Gentiloni che ha voluto evidenziare la figura di europeista ed infine Giuliano Amato che ha svolto il suo compito con l’esaltazione dei propri meriti.
Tutti gli oratori sono stati scelti dalla famiglia e quindi appare vieppiù interessante l’intervento del cardinale Gianfranco Ravasi che con il defunto manteneva da tempo un dialogo complesso, che ha ricordato attraverso alcuni episodi della loro comune esperienza; anche questo punto merita un momento di riflessione per l’implicito ruolo che si è voluto assegnare ad un cardinale, dopo la straordinaria visita del Papa alla camera ardente, forse come estremo tentativo di riconoscimento di una sorte di religione di Stato.
Il terzo flash è relativo alla contrapposizione dell’emiciclo della Camera gremita all’inverosimile come si vede solo in occasione delle elezioni presidenziale, in particolare dopo la stupida riduzione del numero dei parlamentari, voluta dal populismo del Movimento cinque Stelle, assecondato da partiti pavidi e timorosi di perdere qualche voto se si fossero schierati diversamente, che ha contribuito a far perdere al Parlamento il proprio ruolo di cerniera con il popolo, in contrapposizione, ripeto, rispetto alle due piazze sulle quali erano stati installati due maxi schermi e che la regia ha fatto in modo di non inquadrare se non di sfuggita, nelle quali erano radunate pochissime persone.
Neanche l’organizzazione del PD e della CGIL erano state in grado di trasferire le solite truppe cammellate per fare da scenografia trionfalistica alla cerimonia di Stato.
Il mondo della politica, nazionale ed internazionale, si è riunito a celebrare un defunto ma in realtà è convenuto per magnificare se stesso in totale assenza del popolo che dovrebbe rappresentare. Credo che sia questo l’epitaffio più adeguato per definire lo stato di un mondo che ha perso la bussola.
Qualcuno ha detto che questi funerali chiudevano il secolo ventesimo, ma non sono d’accordo perché lo potremo chiudere solo quando avremo finalmente compreso come le ideologie, tutti gli “ismi” che lo hanno caratterizzato, saranno stati analizzati e rifiutati consapevolmente e non come presa d’atto del loro fallimento.
Nella terza camera, ovvero durante la trasmissione di “Porta a Porta” di Bruno Vespa, la pantomima è continuata, con la sola eccezione di uno dei più fini pensatori politici del recente passato.
Ho sempre nutrito grande stima per Fausto Bertinotti, per le sue analisi ineccepibili che sbattevano però sulle conclusioni assiomatiche che proponeva ovvero che il comunismo avrebbe risolto tutti i problemi. Un vero peccato perché se avesse potuto affrontare i problemi del Paese senza quel pregiudizio fideistico avrebbe potuto forse impedire il disastro.
La cosa interessante è che come me anche lui aveva notato lo iato, l’assenza di una parte essenziale in quel funerale di Stato, ovvero l’assenza del popolo, e la cosa non ha avuto nessuna eco nel panel degli opinion maker presenti.
*già Professore Ordinario presso l’Università degli Studi di Salerno
“Charlie Chaplin” di twm1340 è sotto licenza CC BY-SA 2.0.
