Il Debito Pubbllico Italiano, un fardello indebito

di Giuseppe Esposito-

Siamo ogni giorno bombardati dalle notizie sulla crescita vertiginosa del nostro debito pubblico e tutta la stampa e l’ informazione main stream  cerca di convincerci che quel  colossale debito, che forse non riusciremo mai a ripagare ed il cui peso ricadrà sulle generazioni future, sia colpa dei comportamenti “da cicala”, tenuti dal nostro paese nei decenni passati.

Tutti a ripeterci che abbiamo a lungo vissuto al di sopra delle nostre possibilità, che abbiamo sperperato, scialacquato senza ritegno e che abbiamo goduto di una welfare state che non potevamo permetterci.

Ma siamo sicuri che queste affermazioni e la messa sotto accusa del nostro stile di vita abbia davvero un fondamento? In realtà se si riflette un poco sull’argomento, ci si accorge che quel debito ha preso a crescere, in maniera incontrollata, a partire da una data ben precisa, dall’anno 1981. Questa è la data che fa da discrimine tra due epoche ben precise ed è anche la data dalla quale la nascita del neoliberismo, quel regime economico spinto dalle politiche di Margaret Tatcher nel Regno Unito e da Donald Reagan negli Usa, hanno cominciato a sgretolare la nostra economia in concomitanza con una globalizzazione selvaggia. È questo il momento in cui la finanza senza regole ha cominciato a riprendere il sopravvento sulla economia reale.

Quello che è stato definito neoliberismo non è altro, infatti, che il riaffiorare delle teorie liberiste in vigore dalla fine del XIX secolo e fino alla fine della seconda guerra mondiale del secolo XX.

Ma cos’è il liberismo economico? E’ un modo di intendere l’economia che prende l’avvio nel secolo XVIII dalle teorie di Adam Smith, secondo il quale l’ordine economico si  può realizzare solo lasciando la massima libertà all’iniziativa individuale. Il concetto si condensa nel motto Laissez faire, coniato alla metà del secolo XVIII dal ministro francese Vincent de Gournay. Tale modo di intendere l’economia, ossia la filosofia del liberismo è basata su tre semplici concetti:Libera iniziativa privata, Equilibrio del mercato, Nessuna ingerenza da parte dello Stato.

Ognuno cioè deve godere della massima libertà di intraprendere iniziative di tipo economico, il mercato è in grado di trovare da solo il suo equilibrio e lo Stato non deve, in nessun modo, interferire, poiché il suo intervento limita l’iniziativa privata e, secondo i liberisti, impedisce un sano sviluppo economico.

Eppure, la prova della fallacità di tali teorie l’abbiamo avuta nel corso del secolo scorso e negli ultimi trent’anni in cui la finanza priva di regole ha preso il sopravvento sulla economia reale ed ha creato l’abnorme accumulo della ricchezza nelle mani di pochissimi, in danno della maggior parte dell’umanità.

Le ultime statistiche ci dicono che l’1% della popolazione detiene più ricchezza del restante 99% della popolazione mondiale. Addirittura risulta che solo 8 miliardari posseggono la ricchezza di metà della popolazione del mondo. Sono questi risultati abnormi, abominevoli, il risultato di anni di applicazione delle regole del neoliberismo come le due guerre mondiali e le numerose crisi del XX secolo sono state il prodotto di idee liberiste.

Alla fine della seconda guerra mondiale, l’Italia che era stata vittima di vent’anni di dittatura fascista, la quale altro non era che un regime di liberismo poiché favoriva le classi dominanti, fu un in grado di operare una sorta di miracolo: la redazione di una moderne ed avanzata Costituzione che era basata su idee keynesiane. Essa metteva i lavoro al centro dell’opera della politica ed era basata non più sull’idea di un mondo diviso tra servi e padroni ma affermava un regime etico basato sulla parità dei diritti e della dignità sociale. Infatti, quelle norme applicate alla vita del paese permisero a quest’ultimo di passare in pochi decenni dalla condizione di paese in via di sviluppo a sesta potenza industriale a livello mondiale.

Dalla nascita della Costituzione e fino al 1981 l’Italia conobbe uno sviluppo mai prima conosciuto. Da quella infausta data, 1981, invece, è cominciato il declino inarrestabile del paese che lo ha condotto ad essere il fanalino di coda in tutte le classifiche economiche e tecnologiche.Ma cosa avvenne in quell’anno infausto?

Nel 1981 fu deciso di immettere il mercato nel ciclo di fruizione dei titoli di stato italiani, ma cosa avveniva prima di quella data? Lo Stato per finanziare le sue spese  in salute, investimenti industriali, in ricerca, in istruzione, attingeva alla leva fiscale, ma soprattutto emetteva titoli di stato, quali BOT, CCT e simili. Questi venivano emessi ad un rendimento fissato dallo Stato e sempre molto basso, poiché quei titoli erano tra i più sicuri del mercato, in quanto lo Stato non può fallire. Quella quota parte di titoli che non era assorbita dai cittadini risparmiatori, era assorbita dalla Banca Centrale, ossia la Banca d’Italia e, per pagare il controvalore dei titoli acquistati, batteva moneta. Insomma, quel denaro costituiva la ricchezza degli italiani i quali, a fronte del loro denaro prestato allo Stato, risparmiavano sui servizi che esso erogava loro in scuole, ospedali, mezzi di trasporto ed anche in investimenti nel campo dell’industria.

Ora, in ossequio alle rinascenti idee liberiste si decise  di immettere i mercati in quel ciclo virtuoso. Con una lettera privata il Ministro del Tesoro di allora, Beniamino Andreatta, ordinò alla Banca d’Italia di non acquistare più i Titoli di Stato residui. Fu decretato, insomma, il divorzio tra i Tesoro e la Banca d’Italia, con notevole anticipo rispetto alla perdita di sovranità monetaria, intervenuta più tardi. I titoli  eccedenti l’acquisto dei cittadini dovevano essere offerti al mercato, cioè a banche private la cui attività era ed è di tipo speculativo. Ma affinché esse fossero invogliate ad acquistare quei titoli, occorreva renderli appetibili applicando un tasso di interesse superiore di tre, quattro volte ed anche più rispetto a quelli praticati fino ad allora.

Si giunse in definitiva a far si che il rendimento dei Titoli di Stato fosse fissato da quelle banche private e lo Stato si trovò coinvolto in un girone infernale e soggetto ad un indebitamento senza più controlli.E pensare che gli italiani sono forse tra i popoli con la maggiore propensione al risparmio!

L’altra conseguenza che ha ridotto il nostro Paese alle attuali miserevoli condizioni è che, nel momento in cui lo Stato, si è trovato in difficoltà a ripagare gli interessi di quel macigno in cui il debito pubblico si è trasformato,  è stato indotto a vendere i suoi asset migliori: è stato spinto a mettere in atto quelle che sona state definite privatizzazioni.

In tal modo, ad esempio,  l’IRI che aveva contribuito al nostro miracolo economico è stato smembrato ed il nostro Paese è stato privato delle migliori aziende e di interi settori industriali.

Il declino dell’Italia ha quindi origine nel 1981, data del divorzio tra Tesoro e Banca d’Italia. Oggi abbiamo anche perso la nostra sovranità monetaria e quel ciclo virtuoso d’un tempo, in cui il risparmio dei cittadini serviva a finanziare i servizi forniti dallo Stato, non sarebbe più possibile. Per contro non si è neanche riusciti a creare quelli che si potrebbero definire gli Stati Uniti d’Europa che, forse,  avrebbero potuto correggere le storture fin qui esposte del neoliberismo.

Siamo e rimaniamo in un regime i cui i più forti ed i più ricchi continuano ad accumulare vantaggi e gli altri a rimanere sempre più indietro. E noi da che eravamo un paese prospero ci siamo ridotti a temere per il nostro futuro.

A tutto ciò oggi si aggiunge la sciagurata guerra in Ucraina le cui responsabilità non sono ascrivibili solo a Putin, ma anche alle provocazioni poste in essere degli Stati Uniti che non accettano la perdita di supremazia e la nascita di un mondo multipolare in cui la funzione da essi assunta, a partire dal crollo dell’Unione Sovietica, è destinata inevitabilmente a mutare ed a ridimensionarsi. Oggi, secondo anche l’autorevole parere dell’ex segretario di Stato Henry Kissinger, bisogna mettere fine alla logica dell’escalation militare e approcciare una soluzione diplomatica. Prima che sia troppo tardi.

 

 

 

 

Giuseppe Esposito

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