Legge Zan, “la natura, la legge e la libertà”

-di Michele Bartolo-

È in discussione in Parlamento il disegno di legge Zan, dal nome del deputato PD che lo ha proposto. Si tratta di un intervento normativo che si propone di prevenire e contrastare la discriminazione e la violenza basate sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere o sulla disabilità. Nello specifico, il testo, dal punto di vista penalistico, prevede l’estensione dei cosiddetti reati di odio per discriminazione razziale, etnica o religiosa a chi compia discriminazioni verso omosessuali, donne e disabili.

Nel dettaglio, è prevista la reclusione sino a diciotto mesi per chi commette o istiga a commettere atti di discriminazione; c’è il carcere da sei mesi a quattro anni per chi istiga a commettere o commette violenza o per chi partecipa a organizzazioni che incitano alla discriminazione o alla violenza, con la previsione di una aggravante per le discriminazioni omofobe, che aumenta la pena sino alla metà.

Ma, al di là del dato letterale, la discussione parlamentare del disegno di legge Zan ha infuocato la polemica tra chi sostiene le ragioni di una tutela verso determinate categorie di cittadini, più esposti alla discriminazione ed alla violenza e chi, invece, ritiene che si tratti solo di una tutela mascherata ma rappresenti, invece, un pericoloso veicolo culturale ed ideologico di idee contrarie ai nostri valori ed agli stessi principi costituzionali consolidati. Andiamo per ordine.

Sicuramente una legge che ha l’intendimento di combattere i pregiudizi che penalizzano persone omosessuali e transessuali, sottoposte a ingiuste discriminazioni, non solo è condivisibile ma è pienamente conforme alla nostra Costituzione ed ai valori di uno Stato di diritto. Ricordando anche l’approccio al tema della tutela dei migranti, tutti veniamo emotivamente colpiti dal sentire che, ai giorni nostri, nell’anno 2021, una madre si rivolga ad una figlia in questi termini: “(..) Cercherò la tua ragazza per ucciderla a coltellate e poi mi suiciderò.” (..) Sei un castigo di Dio, hai rovinato la famiglia (..) Squarterò viva la tua ragazza, la finisco e poi finirò te (..)”.

Considerare l’omosessualità come una malattia e pensare di correggere l’orientamento sessuale di una persona o punirla con la violenza per tutelare il presunto onore della famiglia non solo è un comportamento amorale e liberticida ma è di fatto un crimine. Ciò premesso, però, ci sono rischi che questa giusta legge venga piegata a finalità diverse dalla tutela della libertà e dell’eguaglianza e possa, invece, trasformarsi in un manifesto ideologico e potenzialmente dannoso.

Nel percorso parlamentare, infatti, si è stabilito di individuare la data del 17 maggio di ogni anno per l’introduzione in tutte le scuole, anche elementari e medie, di iniziative contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia, parificandole, di fatto, a quelle già in essere contro mafia ed antisemitismo. In effetti, tale aspetto è molto preoccupante, perché la tutela della libertà e il rifiuto della violenza non deve poi portare a disorientare il percorso di crescita dei bambini, che nella scuola formano la percezione di ciò che li circonda e che hanno diritto a ritrovare in essa una umanità declinata al maschile ed al femminile e non oggetto di infinite ed indefinite identità.

Analogamente, di dubbia interpretazione ed applicazione concreta è il concetto di autocertificazione di genere. In parole povere, questo vuol dire che un uomo con il corpo maschile intatto, ma che si percepisce donna, può accedere agli spazi femminili, non solo bagni, spogliatoi, camerini ed ospedali, ma anche quote lavorative e politiche. Intendiamoci, è del tutto ovvio che qualunque essere umano debba essere rispettato allo stesso modo ed avere le stesse opportunità, ma l’obiettivo di combattere le discriminazioni non può trasformarsi in una rivoluzione della società e del suo linguaggio. Libertà, d’altronde, non può significare imporre la propria idea o concezione o stile di vita a tutti gli altri, arrivando al paradosso che esporre una opinione contraria ad una coppia di padri possa essere ritenuto un crimine di odio e non una libera manifestazione del pensiero, costituzionalmente tutelata.

È sicuramente giusto promuovere l’integrazione e l’inclusione, ma non bisogna sconfinare nell’elaborazione di un nuovo e misterioso concetto, l’identità di genere, da assurgere a modello educativo per le giovani generazioni, favorendo, altresì, l’inserimento sempre più frequente di coppie omosessuali nella pubblicità. Si inizia per tutelare una minoranza e la libertà dei singoli e si finisce per promuovere uno stile di vita, in netto contrasto con le leggi naturali e le stesse leggi scritte, come quelle che sanzionano come reato la pratica dell’utero in affitto.  In un disegno di legge, poi, che si occupa di materia così delicata, non possono essere ricompresi concetti troppo indefiniti e generici, di difficile se non impossibile operatività concreta.

In buona sostanza, è giusto che lo Stato intervenga per tutelare le vittime di discriminazioni, sanzionando e punendo ogni forma di violenza verso gli omosessuali, i transessuali e tutti coloro che liberamente scelgono di vivere la loro sessualità. Ma non operare distinzioni tra gli esseri umani in base alla religione, all’etnia o al sesso, come prevede la nostra Costituzione, non vuol dire introdurre un nuovo concetto di sessualità, di famiglia o di genitorialità.

A mio avviso, a prescindere dalle stesse dispute giuridiche, una cosa è la tutela della libertà e la repressione di comportamenti criminali, altra è l’azzeramento o il superamento di principi, valori e schemi mentali che non sono il frutto di un libero arbitrio, ma il prodotto della legge naturale e della legge scritta, dalle quali non si può prescindere, al di là degli stessi convincimenti etici o religiosi.

La soluzione è evitare di inseguire le mode e le pulsioni della parte più chiassosa della società e ridare priorità e dignità alla singola persona ed alla sua libertà, sia essa omosessuale od eterosessuale, nel rispetto delle regole e dei principi che regolano il nostro vivere civile. È utile ricordare una frase dello scrittore Martin Louis Amis: “La folla non fa per me, è il terreno dove attecchisce l’ideologia. Credo nell’individuo”.

                                              

Michele Bartolo

Avvocato civilista dall'anno 2000, con patrocinio dinanzi alle giurisdizioni superiori dal 2013, ha svolto anche incarichi di curatore fallimentare, custode giudiziario, difensore di curatele e di società a partecipazione pubblica. Interessato al cinema, al teatro ed alla politica, è appassionato di viaggi e fotografia. Ama guardare il mondo con la lente dell'ironia perché, come diceva Chaplin, la vita è una commedia per quelli che pensano.

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