Le 72 figure del Presepe napoletano: Benino e il sogno del pastorello

-di Giuseppe Esposito-

Proseguiamo il nostro viaggio nel presepe napoletano scendendo attraverso lo scoglio, lungo i numerosi viottoli, che menano alla grotta della Natività,  ad incontrare i diversi personaggi disseminati lungo di essi.

La prima figura umana, il primo di quei personaggi è Benino, posto all’inizio del cammino. Inizio del cammino che nel presepe popolare è posto in alto, lontano dalla grotta. Benino è raffigurato mentre dorme in un pagliaio, sotto un albero oppure sull’erba, il capo appoggiato su una roccia, mentre intorno le sue pecorelle pascolano quietamente.

Potrebbe sembrare un personaggio secondario, uno che non partecipa alla grande agitazione che pervade tutti gli altri pastori. Potrebbe rappresentare la nostra umanità dormiente e pigra di fronte al divino, cui può avvicinarsi solo quando dorme, cioè quando è inconsapevole e libera da schemi logici. Ma Benino non è questo, il suo sonno non è fisiologico, è un sonno spirituale, quello da cui tutti i pastori furono svegliati dagli Angeli come recitano le Sacre Scritture: E gli Angeli diedero l’annunzio ai pastori dormienti.

E dunque il risveglio sta significare la rinascita. Un Avvento, quello di Cristo che coinvolge l’umanità tutta. E dunque ci si potrebbe chiedere come mai il solo Benino continua a dormire mentre tutti gli altri sono presi da meraviglia ed accorrono ad ammirare il Bimbo nella stalla?

La risposta a tale quesito è nella tradizione napoletana secondo la quale Benino sarebbe il personaggio principale di tutta la rappresentazione. Essa non sarebbe altro che un sogno del pastorello. Se questi si svegliasse tutto svanirebbe, come appunto i sogni alle prime luci dell’alba.

Intorno al sogno di Benino alla fine del XVI secolo fu pubblicata un’opera che è forse tra le più famose del teatro napoletano: La cantata dei pastori, di Andrea Perrucci. L’opera fu pubblicata una prima volta nel 1698 ed aveva come titolo: “Il vero Lume tra l’Ombre, ovvero la Spelonca Arricchita per la nascita del Verbo Umanato.” Nel corso del Settecento essa fu poi, varie volte, rivista ed ampliata con l’introduzione di nuovi personaggi. La sua durata arrivò a ben quattro ore, ridotte a circa due nelle versioni più recenti. Essa insieme ad alcune altre opere letterarie, poetiche e teatrali, costituisce un corpus di notevole spessore che è il fondamento della napoletanità e che l’ha resa protagonista del patrimonio culturale italiano.

L’autore, si firmò, in occasione della prima edizione, con lo pseudonimo Ruggero Casimiro Ugone. Ecco la prima scena in cui Benino narra del sogno, i protagonisti sono Benino e suo padre Armenzio:

AR:    (provenendo dalla montagna, dopo aver detto una preghiera al centro della scena . Ecco l’alba che spunta, ecco i primi raggi splendenti del sole … ( vede Benino e lo scuote)   E tu dormi Benino?

BEN:  (svegliandosi) Padre ho ancora gli occhi oppressi dal sonno … lasciatemi dormire … (cerca di  riaddormentarsi).

AR:     (scuotendolo con più insistenza) Alzati, dormiglione! Senti come gli uccellini colorati Salutano con il canto il sole che nasce … e tu dormi ancora Benino? (scuotendolo con ilBastone).

BEN:   Il canto degli uccelli mi invita ancor più al riposo … ma lasciatemi dormire (si rimette a nDormire).

AR:      Ora si che mi arrabbio! Tuo fratello è andato a caccia prima dell’alba. Io sono in piedi da un pezzo; i pastori, i contadini tutti sono in piedi, non è rimasto più nessuno in casa … E tu non ti svegli?

BEN:    (si alza stropicciandosi gli occhi) Lasciate che mi svegli del tutto …  Voi non sapete che belle cose ho visto dormendo. Oh Dio beato (inginocchiandosi) nel sogno ero ricco e felice e poi  destino crudele, svegliandomi, mi ritrovo afflitto e povero!

AR:       Dimmi che hai sognato?

BEN:    Oh padre mio, mi sembrava che si aprisse il cielo e che, da lassù, piovesse un misto di Argento e d’oro. Vedevo la terra diventare oro e i prati smeraldi; i fiori erano pietre preziose le gocce di brina perle e le colline diamanti; le acque dei ruscelli erano d’argento e dalle viti pendevano topazi e rubini; gli alberi producevano gemme  … insomma padre mio, il mondo era tutto un tesoro! E mentre estasiato ammiravo tanta ricchezza, volgendo lo sguardo ad est, verso la buia grotta di Betlemme, mi pareva che sorgesse di là una luce immensa, grande quanto cento soli! E mentre sorgeva quella luce sento una voce …

AR:      E che diceva?

BEN:    “Vieni a me figlio mio, ché io sono colui il quale scendendo in terra ricopre il cielo e la terra di oro e di pietre preziose!” Così abituandomi a quello splendore, in mezzo vi vedevo un bellissimo Bambino sul cui viso era raffigurato il Paradiso! E mentre mi beavo di tutte quelle meraviglie, voi, padre mi avete interrotto il sonno. (scoppia a piangere).

AR:      (commosso) Hai sognato tutto questo? Come si accorda con il mio sogno! Ma che misteri sono questi?

BEN:      Io vi ho raccontato il mio sogno, ora voglio sentire il vostro.

Ecco dunque la funzione di Benino sul presepe napoletano. Egli è la fonte di quella rappresentazione. Ma quel che si può osservare è che in quel secolo, il XVIII, il presepe venne a costituire il fulcro di un universo fantastico, artistico ed esoterico in cui si mescolava la tradizione la teologia, le Sacre Scritture e la fantasia popolare. Inoltre, ma forse involontariamente, esso venne ad assumere un aspetto documentale su quelli che erano gli aspetti di quella Napoli ormai lontana e perduta, fissando nel presepe i mestieri, i costumi e l’aspetto del paesaggio urbano.

 

  

Giuseppe Esposito

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