L’8 marzo con la storia di Rosa Genoni e la nascita del Made in Italy

di Giuseppe Esposito-

Vi sono donne che più di altre hanno saputo lasciare una forte impronta nella storia del nostro paese, ma sulle quali è poi calato un colpevole oblio. È il caso di Rosa Genoni la cui vicenda è sconosciuta ai più. Eppure Rosa è stata nella storia del costume italiano una anticipatrice, una pioniera, la cui azione ha messo in moto fenomeni che ancor oggi sono alla base di settori importanti della nostra economia.

Rosa Genoni nacque a Tirano, in provincia di Varese il 16 giugno 1867, da una famiglia molto umile, prima di diciotto fratelli, dei quali solo dodici sopravvissero all’infanzia.

Frequentò le elementari fino alla terza, per trovare lavoro a soli dieci anni, come piscinina in una sartoria. Si iscrisse però poi alla scuola serale per conseguire la licenza elementare e frequentò nello stesso tempo un corso di francese. La sua vita si svolse nel più assoluto anonimato fino a quando, nel 1884, il Partito Operaio Italiano, al quale aveva aderito, le propose di andare a Parigi, quale delegata al “Convegno Internazionale sulle condizioni dei lavoratori”. Rosa, che aveva all’epoca solo 17 anni, accettò. Quella esperienza le fu molto utile e la sollecitò ad impegnarsi socialmente. L’anno successivo fu assunta come maestra presso la sartoria milanese Dall’Oro.

Due anni più tardi, nel 1886 Rosa lascia Milano, per un impiego presso una sartoria di Nizza, situata in rue de la Paix. Ancora due anni ed eccola di nuovo a Milano, presso la sartoria Bellotti. Nel 1893 aderisce alla Lega Promotrice degli Interessi Femminili, sorta sulle idee socialiste di Anna Kuliscioff. Al fianco dell’attivista russa affronterà molte battaglie a sostegno della emancipazione femminile. In quello stesso anno partecipa al Congresso Socialista Internazionale di Zurigo, insieme ad Anna Maria Mozzoni. Si trova quindi al centro dei movimenti per il miglioramento della condizione femminile in seno alla società del tempo.

Nel 1895 la troviamo impiegata presso una delle sartorie più prestigiose del tempo della Milano, la Hardt et Fils che aveva filiali anche a San Remo, a ST. Moritz e a Lucerna. La sede dell’atelier era in corso Vittorio Emanuele a Milano, proprio di fronte alla principale concorrente, la sartoria Ventura che forniva tutta l’aristocrazia ed anche Casa Savoia.

La moda italiana del tempo era completamente priva di ogni originalità e si limitava a riprodurre i modelli della Haute Couture francese riproducendoli da bozzetti rubati o comprati a prezzi salatissimi dai maggiori couturiers del tempo quali Worth, Paquin, Douchet ed altri.

Nel frattempo Rosa si era legata all’avvocato Alfredo Podreider e dalla loro relazione nacque, nel 1903, una bimba cui fu dato il nome di Fanny. Ma il matrimonio era ostacolato dalla madre di Alfredo ed i due riuscirono a sposarsi solo nel 1924, dopo la sua morte.

Nel frattempo Rosa aveva fatto dei notevoli progressi ed era divenuta la direttrice dell’atelier Hardt et Fils con alle sue dipendenze quasi duecento lavoranti. Iniziò anche ad insegnare Sartoria presso la scuola professionale femminile tenuta dalla Società Umanitaria ruolo che dovette abbandonare nel 1931 a causa della sua opposizione al fascismo.

Sebbene non avesse alle spalle una solida formazione scolastica Rosa era dotata di intelligenza acuta e di spirito di osservazione. Aveva lavorato in Francia e si era resa conto che la sartoria italiana, priva di originalità, aveva però delle enormi potenzialità.  Cominciò quindi ad elaborare soluzioni per rifondare l’industria italiana dell’abbigliamento su nuove basi originali, svincolate dalla dipendenza alla moda straniera e segnatamente da quella d’oltralpe.

Nel 1906 vi fu a Milano l’Esposizione Internazionale e Rosa allestì per quella occasione un padiglione in cui espose dei suoi modelli ispirati alla tradizione pittorica italiana. Fu un successo clamoroso, quale la sartoria italiana non aveva mai conosciuto. Per tutti i modelli esposti furono utilizzati esclusivamente tessuti italiani e tra i modelli sono rimasti memorabili l’abito da sera ispirato alla Primavera di Botticelli ed il Manto di corte ispirato ad un disegno del Pisanello. Questi abiti le valsero il Gran Premio per la sezione Arte Decorativa attribuito dalla Giuria Internazionale.

Oggi quei modelli sono esposti al Museo della Moda e del Costume di Palazzo Pitti a Firenze, cui furono donati dalla figlia Fanny. In quella occasione Rosa affermò:

Il nostro patrimonio artistico potrebbe servire da modello alle nuove forme di vesti e di acconciature che, così, assumerebbero un certo sapore di ricordo classico ed una vaga nobiltà di stile … Come mai nel nostro paese, assurto da più di trent’anni a regime di libertà, in questo rinnovellarsi di vita industriale ed artistica, come mai una moda italiana ancora non esiste?”

Era in pratica il manifesto che sanciva la nascita di quello che, più tardi, sarebbe stato definito “Made in Italy”.

Nel 1908 si tenne a Roma il primo Congresso Nazionale delle Donne Italiane, organizzato dal Consiglio Nazionale Donne Italiane e dalla Unione Donne Italiane. Per l’occasione Rosa presentò una relazione sul tema “La nascita di una moda italiana”.

L’intervento riscosse un grande successo e dette davvero l’avvio all’affrancamento della moda italiana dall’influenza di quella francese. Su tale spinta, nel 1909, nacque in Lombardia, il Comitato per una moda di pura arte italiana cui aderirono i più importanti imprenditori dei settori tessile e abbigliamento. Nello stesso anno pubblicò il volume “Per una moda italiana”, con disegni e foto dei suoi modelli ispirati all’arte italiana dal Medio Evo al Rinascimento.

Nel 1910, collabora con la rivista “Vita d’arte” e lancia il concorso per un Abito  Femminile da sera.

I suoi modelli sono oramai ricercatissimi ed indossati dalle donne più in vista del tempo: Lyda Borell, Dina Galli, Maria Letizia Bonaparte, Letizia di Savoia duchessa d’Aosta, la baronessa Lindenberger, la marchesa Luisa Casati Stampa e tante altre che diventano così le testimonials della Nuova Moda Italiana.

Dal 1911 scrive sul giornale della Kulscioff “La difesa delle lavoratrici”.

Nel 1914 nasce il progetto per una Accademia di Pura Arte Italiana, in pratica una scuola superiore di moda.

Allo scoppio della prima guerra mondiale è su posizioni pacifiste e scrive sul giornale “Per la guerra o per la pace?”. Fonda nel contempo l’Associazione Pro Umanità.

Nel 1914 nella sua conferenza dal titolo: “La donna e la guerra” invita tute le donne a formare un fronte per la pace.

Dal 1915 al 1922 è la delegata italiana presso la  Women’s  International League for Peace and Freedm”.

Aderisce poi al gruppo di donne di varie nazionalità che incontreranno i ministri degli esteri di Austria-Ungheria, Belgio, Gran Bretagna, Francia, Belgio, Italia e Svizzera, con l’intento di promuovere una commissione di esperti per la cessazione della guerra. Ma l’ingresso degli Stati Uniti nel conflitto rende vani quegli sforzi.

Nel 1928 il marito sovvenziona la creazione di un laboratorio di sartoria per le detenute nel Carcere di San Vittore. Seguiranno poi un asilo ed un ambulatorio di ginecologia che rimarranno in funzione fino al 1943.

Nel 1932 si traferisce a San Remo, dove nel 1936 muore il marito. Il ritorno a Varese avviene nel 1940 e, insieme alla figlia Fanny, va a vivere nella villa che era stata della madre del marito.

La morte la coglie il 12 agosto 1954. E’ sepolta nel Cimitero Monumentale di Milano e, nel 2015 il Comune ha voluto che il suo nel fosse inserito nel Famedio del cimitero.

 

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Giuseppe Esposito

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