12 ottobre 1492: la scoperta che cambiò l’assetto del mondo

-di Giuseppe Esposito-

Cosa fa venire in mente a ciascuno di noi la data del 12 ottobre? I più, son certo, che risponderanno: “La scoperta dell’America”.

In questo giorno, infatti, 529 anni fa, il marinaio, Rodrigo da Triana era di guardia sulla coffa montata sull’albero maestro della Pinta, una delle tre caravelle di Cristoforo Colombo. Il suo morale come quello degli equipaggi tutti era bassissimo. Erano partiti da Palos il 3 agosto e dopo quasi settanta giorni di navigazione non erano ancora riusciti ad avvistare alcuna terra. Qualche giorno prima, il 10 ottobre vi era stato un principio di ammutinamento che l’ammiraglio era riuscito a sedare solo dopo aver promesso che se entro quattro giorni non avessero avvistato terra sarebbero tornati indietro. Per fortuna già il giorno 11, un marinaio aveva tirato a bordo un giunco, un bastone ed un fiore fresco, indizi inequivocabili della vicinanza della terra. E così il giorno 11 nella luce chiara del primo mattino, Rodrigo de Triana avvistò, in lontananza il profilo di una terra e dall’alto della sua posizione di vedetta lanciò il grido: “Tierraaaaaaaaaaa …!” che risollevò il morale di tutti gli uomini a bordo delle tre piccole imbarcazioni.

Dopo esser riusciti a passare la barriera corallina attraverso un varco, finalmente gli equipaggi poterono sbarcare sulla terraferma.

Colombo era convinto di aver raggiunto una propaggine asiatica ed in particolare del Giappone, poiché aveva interpretato il vocabolo locale di Cibao, come una deformazione di Cipango, nome dato allora al paese del sol levante. L’ammiraglio si sbagliava, ma quell’evento avrebbe avuto degli effetti sulla storia del mondo, inimmaginabili in quel momento. Se per l’Europa si trattava un evento positivo, per le popolazioni indigene, che vivevano su quelle terre da tempi ancestrali quel giorno segnava l’inizio, per loro di una vera e propria apocalisse.

Convinto di aver trovato una nuova via commerciale per le Indie, Colombo attraversò l’oceano altre tre volte, fino al 1502.

Nel 1507 uscì però l’opera del geografo tedesco Martin Waldseemüller, dal titolo di “Universalis Cosmographia. In essa le terre cui era approdato Colombo era già chiamate col nome di America, in onore dell’altro navigatore italiano Amerigo Vespucci ed apparivano separate dell’Asia. Si era già fatta concreta l’ipotesi di trovarsi davanti ad un nuovo continente.

Quell’evento ha cominciato, da non molto tempo, ad essere interpretato in maniera differente sulle due sponde dell’Atlantico. Vi è ancora una visone, per così dire eurocentrica a cui se n’ è aggiunta una seconda, che è quella delle popolazioni indigene, già  presenti all’arrivo di Colombo. Per quelle popolazioni, infatti, il termine di scoperta, attribuito all’impresa del nostro navigatore, toglierebbe dignità alle popolazioni preesistenti ed avrebbe connotazioni colonialiste, poiché essa sottintende che l’America abbia assunto valore solo per essere entrata in contatto con l’Europa. Visione questa che di certo, non piace affatto ai discendenti di quei popoli nativi.

Ma questa potrebbe essere ancora questione di poco conto se ad essa non si fosse sommata quella legata agli effetti della cristianizzazione forzata dei popoli locali. Cristianizzazione che comportava il fatto che gli europei considerassero le popolazioni del Nuovo Mondo dei selvaggi e delle creature quasi non umane.

Dopo l’arrivo degli spagnoli, in virtù di quella visione i popoli locali furono quasi completamente sterminati.

Già nel XVI secolo qualche critica all’operato della chiesa era sorta nell’animo di rappresentanti del clero stesso. Si ricorda, a tal proposito, il sermone tenuto il 21 dicembre 1521 dal frate domenicano Anton de Montesino che avanzò feroci critiche all’operato della Chiesa cattolica.

Sul momento sembrò quella una voce isolata, ma essa ha cominciato poi a dare i suoi frutti, dando origine, ad una nuova interpretazione dell’effetto dello sbarco di Colombo sulle coste americane. In base ai diversi modi di intendere il significato di quell’evento la ricorrenza del 12 ottobre è variamente interpretata, a seconda dei paesi.

In Spagna a quel giorno si dà il nome di “Dìa de la Hispanidad”, che è andato a sostituiore quello precedente di “Dìa de la raza”. In entrambi i casi qualcuno potrebbe scorgere in tale denominazione un fondo di eredità colonialista. Ciononostante essa è rimasta in vigore in alcuni paesi latini-americani quali l’Honduras ed il Messico.

Altrove hanno prevalso le spinte degli eredi di quelle popolazioni già presenti sul territorio all’arrivo di Colombo. In Argentina infatti quella data è celebrata col nome di “Giorno della diversità culturale”. In Venezuela invece prende il nome di “Giorno della resistenza indigena”, voluto da Hugo Chavez, di origini indie. In Ecuador è chiamato “Giorno della interculturalità”, in Cile “Giorno dell’incontro di due mondi” ed infine in Bolivia “Giorno della decolonizzazione”.

Insomma al giorno d’oggi quella data rischia di innescare una disputa a tratti dirompente tra i sostenitori dei diversi modi di intendere l’effetto dell’arrivo di Colombo sulle coste americane.

Qualche tempo fa, ad esempio, il presidente messicano, Andrés Manuel Lopez Obrador, ha inviato a Papa Francesco una lettera in cui invita la Chiesa Cattolica a chiedere ufficialmente perdono per gli abusi perpetrati durante la conquista spagnola.

Infine a ciò si aggiungono le posizioni di movimenti che possiamo definire estremisti, come i BLack Lives Matter, che negli Stati Uniti hanno abbattuto ben 35 statue di Cristoforo Colombo, ritenuto un colonialista.

Come si vede, la lettura di eventi storici decontestualizzati, provoca comportamenti che si possono definire francamente aberranti.

 

Giuseppe Esposito

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