Pratolini, uno scrittore dimenticato
-di Giuseppe Esposito-
12 gennaio, 30 anni dalla morte di Vasco Pratolini. Uno scrittore che molto amai al tempo della mia giovinezza, quando ancora sedevo sui banchi del liceo. Uno scrittore oggi praticamente dimenticato, sprofondato nel più completo oblio, sebbene sia stato tra i migliori della generazione che ha attraversato il secolo scorso. Molto apprezzato ai suoi tempi ed i cui romanzi ebbero delle fortunate trasposizioni cinematografiche di grande successo.
Sono andato per curiosità a ricercare i suoi romanzi nella mia biblioteca personale. Pratolini è nella parte che ancora riuscivo a tenere in ordine poiché relativa ai libri acquistati da giovane e a quei tempi, da studente, le disponibilità economiche erano ridotte e gli acquisti meno frequenti di quelli degli anni successivi. I volumi di quel periodo erano suddivisi in due sezioni quella dedicata agli autori italiani e quella degli stranieri. I volumi sono rigorosamente disposti in ordine alfabetico. Pertanto ritrovare i romanzi di Pratolini è stato estremamente facile. Ho trovato quattro opere delle edizioni Mondadori risalenti agli anni Sessanta: “Le ragazze di San Frediano”, Cronaca familiare”, Diario sentimentale” e “Allegoria e derisione”.
Prendo in mano, a caso, il volume delle “Cronache familiari” e lo sfoglio. Sulla prima pagina, quella bianca una dedica manoscritta:
19 marzo 1968
Birra, parole, amicizia e un poco di serenità.
Lello
Richiudo il volume e la mente vola a quel tempo ormai così lontano. Lello Manzo era un degli amici del gruppo del liceo. Quello a casa del quale più spesso ci riunivamo poiché era il solo a poter disporre di uno studio. Me la ricordo quella stanza che, sempre, gli ho invidiato. Due pareti ricoperte di scaffali di libri, delle poltrone di pelle e, di fronte alla porta di entrata una grande scrivania, accanto al balcone che affacciava sulla via. Lello abitava nella zona di Materdei e ogni volta che dovevamo incontrarci, gli altri amici del gruppo ed io facevamo tappa alla birreria Peroni, in via Arenaccia, ad acquistare birra.
La seconda tappa, immancabilmente, era quella presso la bottega di Leopoldo, in via Foria, di fronte all’Orto Botanico, per acquistare una busta di taralli, quelli che a Napoli si definiscono ‘Nzogna e pepe. Infine si filava dritti a Materdei. In quel periodo accarezzavamo l’idea di fondare un giornale e molte furono le sere trascorse a cercare di mettere a punto un progetto che tenesse la via. Ma la nostra scarsa esperienza e la mancanza di qualcuno che avesse le dovute capacità organizzative per coordinare le nostre azioni ci costrinsero ad abbandonare il progetto. Ma la birra innaffiava quella nostre velleitarie discussioni ed il taralli di Leopoldo davano il giusto sapore piccante.
Ma erano quelli anche gli anni in cui avvenne la mia scoperta dei romanzi di Pratolini. Mi innamorai dei suoi personaggi e dei luoghi in cui li faceva muovere. Infatti la prima volta, che, molto più tardi, potetti mettere piede a Firenze, una delle prime cose che feci fu quella di andare a percorre le strade dei quartieri descritti in quei romanzi a cercare di sentirne i profumi e a cercare, nei volti dei passanti, il profilo che avevo immaginato per gli eroi di quelle pagine.
Pratolini ebbe una vita che sognai di poter avere, ma poi costretto dalla necessità, ne scelsi una vita più banale. Pratolini era nato nel 1913 in un quartiere modesto, in una famiglia operaia e già questo me lo faceva sentire vicino. A cinque anni perse la madre e quando il padre dovette partire per il fronte andò a vivere in casa dei nonni. Vi rimase anche al ritorno del padre che, svestita la divise, contrasse un secondo matrimonio. Purtroppo nel 1925 la morte del nonno lo costrinse ad abbandonare gli studi per cercare un lavoro che gli desse da vivere. Fu garzone di bottega, venditore ambulante e barista. Non trascurò però l’amore per i libri e lesse in quegli anni Dante, Manzoni, Jack London, Dickens, Mario Pratesi e Federigo Tozzi. Cercò di frequentare l’ambiente letterario che nella Firenze di quegli anni ruotava intorno alla rivista “Solaria”. Si impegnò strenuamente a migliorare la propria preparazione culturale, carente per il forzato abbandono degli studi regolari.
Nel 1926 abbandonò la casa dei nonni e tornò ad abitare nella casa del padre nelle cui vicinanze vi era lo studio del pittore Ottone Rosai, col quale strinse amicizia. Grazie a Rosai conobbe Aldo Palazzeschi e Romano Bilenchi. La loro influenza lo spinse a dedicarsi da autodidatta alla letteratura. Riuscì a collaborare col settimanale Il Bargello, su cui pubblicò i primi racconti e recensioni letterarie e teatrali.
Nel 1935, ammalatosi di tubercolosi dovette trascorrere un lungo periodo in sanatorio, da cui tornò nel 1937, completamente guarito. A Firenze riprese a frequentare Bilenchi e conobbe Elio Vittorini, ed al caffè Giubbe Rosse, punto di incontro intellettuale della Firenze di allora, entrò in contatto con Eugenio Montale, Alfonso Gatto ed Enrico Vallecchi, l’editore. Con questi ultimi due fondò, nel 1938, la rivista “Campo di Marte” che ebbe però vita breve poiché fu chiusa l’anno successivo dalla censura fascista. In quello stesso anno pubblicò sulla rivista “Letteratura di Alessandro Bonsanti il racconto “Tappeto verde”.
Nel 1939 lo troviamo a Roma impiegato al Ministero per l’Educazione Nazionale. Nel 1941 contrasse il matrimonio con Cecilia Punzo, giovane attrice di Napoli. Iniziò a pubblicare con Vallecchi di Firenze che in quello stesso anno fece uscire in volume “Tappeto verde”, poi nel ’42 “Via dei magazzini”, nel ’43 “Le amiche” e nel ’44 “Il quartiere”.
Intanto il ministero lo aveva inviato prima al Conservatorio di Torino, poi a Parma come professore di Storia dell’Arte. Mise mano, in quel periodo, al nuovo romanzo “Storie di poveri amanti”.
Rientrato a Roma entrò in contatto con intellettuali di orientamento comunista, prese parte alla resistenza e fu per un anno responsabile del partito nella zona di Ponte Milvio.
La figlia Aurelia nacque nel 1944. L’anno successivo cominciò a collaborare con Luchino Visconti, Michelangelo Antonioni, Giuseppe De Santis e Antonio Pietrangeli alla sceneggiatura di un film che però non vide mai la luce.
A luglio del 1945 eccolo a Milano dove collabora col settimanale “Milano Sera”, ma a fine anno si trasferisce a Napoli, dove gli avevano assegnato la cattedra di Storia dell’Arte presso l’Istituto Statale d’Arte Filippo Palizzi. Rimane nella città partenopea fini al 1952. Ed in quegli anni portò a termine “Cronaca familiare” e “Cronache di poveri amanti”, più volte interrotto. A dicembre del 1945 è di nuovo a Milano. Nel frattempo al suo “Cronache di poveri amanti” è assegnato, a Lugano, il premio Libera Stampa.
Nel 1949 pubblica “Un eroe del nostro tempo”. Poi assieme a Visconti e alla Cecchi D’Amico stende la sceneggiatura di “Cronache di poveri amanti”. Il film però fu poi diretto da Carlo Lizzani. Nel 1950 si ritirò in isolamento a Procida per terminare “Una storia italiana”, pubblicato poi col titolo di “Metello”. Nel 1952 lascia Napoli e fa ritorno a Roma dove fa il critico d’arte per il settimanale “Vie nuove”. Pubblica “Le ragazze di San Frediano” ed ottiene il Premio Viareggio per “Metello”.
Nell’estate del 1958 collabora di nuovo con Visconti e Suso Cecchi D’Amico alla sceneggiatura di “Rocco e i suoi fratelli”. Film uscito poi nel ’60. Tra novembre e dicembre del 1958 si trattiene a Capri per portare a termine “Lo scialo” uscito presso Mondadori, nel 1960 e con cui vinse il premio internazionale Veillon. Nel 1966 esce per la prima volta Allegoria e derisione” con i tipi di Mondadori. Il romanzo fu poi pubblicato anche nella collana degli Oscar Mondadori nel 1983. Nel 1967 l’Accademia dei Lincei gli attribuisce il Premio Antonio Feltrinelli per le lettere. Nel giugno 1983 l’Università di Firenze gli conferisce la laurea honoris causa. Nei giorni 6 7 luglio 1985 si tiene a Firenze un convegno sull’argomento “Pratolini ed il Cinema” durante il quale il Comune della città gli conferisce il Fiorino d’Oro.
Il 1988 è l’anno dei premi “Ori di Taranto”, del Premio “Pirandello” per la narrativa e della “Penna d’oro” della Presidenza del Consiglio. Il 12 gennaio del 1991 le sue condizioni di salute si aggravano ed egli si spegne nella sua casa romana. Più tardi le sue spoglie saranno traslate presso il cimitero delle Porte Sante, nei pressi di San Miniato.
