Enola Gay, era il 6 agosto 1945

-di Giuseppe Esposito-

In questo mese di agosto molti di noi sono tornati ad andare in vacanza dopo i deprimenti lockdown imposti dalla situazione pandemica scatenatasi lo scorso anno, e in questo periodo cade l’anniversario di un evento il cui impatto con la storia recente è stato assai importante.

Uno tra questi riguarda ciò che accadde il mattino del 6 agosto 1945. In quella ormai lontana estate, nelle prime ore del mattino, dalla base americana nell’isola di Tinian decollò un bombardiere B29, con un carico letale e si diresse verso la città giapponese di Hiroshima. Era quello uno dei quindici bombardieri la cui stiva delle bombe era stata modificata per poter accogliere degli ordigni nucleari. L’equipaggio, in quella terribile missione era composto da tredici uomini ed a comandarli vi era il colonnello pilota Paul Tibbets. Era costui quello che aveva selezionato il velivolo fin da quando era ancora sulla linea di assemblaggio dello stabilimento Glenn L. Martin Company di Omaha, in Nebraska.

Appena uscito dalla fabbrica l’aereo venne preso in carico dallo United States Army Air Forces (USAAF), il 18 giugno del 1945. Fu poi inviato a Guam per la modifica alla stiva delle bombe ed il luglio giunse infine alla base di Tinian.

Compì numerose missioni di addestramento, sganciando ordigni del tipo Little Boy, nelle acque antistanti la base di Tinian. Infine sia il velivolo che il suo equipaggio furono giudicati pronti per la missione.

Il 5 agosto si svolsero gli ultimi preparativi ed il colonnello Tibbets fece stampigliare sulla carlinga il nome di sua madre: Enola Gay, nome che i genitori della donna avevano mutuato d quello della protagonista del romanzo “Enola o il suo errore fatale”, scritto nel 1887 da Mary Young Ridenbaugh.

In realtà il comando della missione era stato assegnato all’ufficiale pilota Robert Lewis  solo all’ultimo momento, Tibbets avvalendosi del suo grado avocò a sé la direzione della missione. Lewis venne a conoscenza della sua sostituzione solo la mattina della partenza. Giunto sulla pista di volo notò il nome stampiglito sulla carlinga ed andò su tutte le furie, ma non ci fu nulla da fare. Tibbets aveva deciso di salire personalmente sul B29 e condurre la missione.

Al ritorno della stessa Tibbets intervistato da alcuni giornalisti si dichiarò pentito di aver dato il nome di sua madre all’aereo che aveva condotto una missione così fatidica. Aveva ancora negli occhi il lampo accecante dell’esplosione della prima bomba atomica sganciata sulla testa di una popolazione inerme.

Comunque il decollo da Tinian avvenne nelle prime ore del mattino del 6 agosto 1945. Appena raggiunta la quota di crociera Tibbets diresse il velivolo verso la città di Hiroshima, posta sull’isola di Hashu, nella parte sud-occidentale dell’arcipelago giapponese.

Verso le otto erano in vista dell’obbiettivo.

In quella mattina di un giorno, che avrebbe dovuto essere come tanti altri, nelle cucine della città ferveva l’attività per la preparazione del primo pasto della giornata, le scuole erano pronte ad accogliere gli allievi e centinaia di operai stavano varcando i cancelli della fabbrica di automobili MAZDA, fodata nel 1920.

Alla stazione radar nei pressi di Hiroshima comparvero, d’improvviso tre piccoli puntini sullo schermo, ma data l’esiguità del numero degli aerei nemici, i responsabili ritennero che non fosse nemmeno il caso di diffondere l’allarme aereo.

Invece, alcuni minuti più tardi, sulla città si scatenò l’inferno.

Alle 8.15 in punto Tibbets sganciò il suo Little Boy. Quarantrè secondi dopo, ad una quota di circa seicento metri da terra vi fu l’esplosione: tremenda e accompagnata da una luce accecante e da un boato di una potenza mai udita. L’ordigno aveva la potenza di tredicimila tonnellate di tritolo.  Quella luce e quel rombo sono ricordati dai giapponesi col nome di pika-don, che significa luce-tuono. Quell’esplosione provocò la morte immediata di circa 68.000 persone ed il ferimento di altre 76.000. I corpi furono letteralmente polverizzati e di essi rimase solo l’ombra proiettata sui muri circostanti, quasi il negativo di una terribile fotografia. I corpi sepolti dalle macerie furono migliaia e solo pochi furono gli edifici rimasti in piedi. Il 90% delle costruzioni fu rasa al suolo.

Tre giorni dopo, vi fu la replica sul cielo di Nagasaki. L’ordigno colà sganciato era simile al primo e ad esso era stato affibbiato il nomignolo di Fat Man per la sua forma tondeggiante. Oltre a coloro che morirono al momento si ebbero migliaia di decessi nel periodo successivo, a causa della contaminazione radioattiva dovuta al fall out, cioè alla ricaduta di elementi radioattivi rimasti sospesi nell’aria. Il numero complessivo delle vittime, per la sola Hiroshima arrivò alla incredibile cifra di 200.000.

L’impressione suscitata da quell’evento fu grande in tutto il mondo e molti furon0 gli intellettuali che condannarono il ricorso all’arma atomica. Tra essi Albert Einstein e Bertrand Russel che, nel manifesto presentato a Londra nel 1955, fece inserire la sua frase: Ricordatevi della vostra umanità e dimenticate ogni altra cosa.”

Nella stessa America la decisione di sganciare le due bombe atomiche fu aspramente criticata. L’editorialista del New York Times, scrisse:Siamo gli eredi del mantello di Gengis Khan”.

Norman Thomas definì, a sua volta, il bombardamento delle due città giapponesi “ La più grande singola atrocità di una guerra molto crudele.”

Infine l’organo dei cattolici americani, il Commonweal scrisse: “Hiroshima e Nagasaki rappresentano la colpa e la vergogna dell’America.”

Va aggiunto infine che i motivi che furono alla base della decisione di sganciare un ordigno nucleare su Hiroshima ed un secondo su Nagasaki non avevano nulla a che vedere con l’andamento della guerra. Era già oramai nell’aria che il Giappone, allo stremo era prossimo ad arrendersi senza condizioni. Quindi possiamo intraveder, in quella decisione come i germi di quella che sarebbe poi stata la guerra fredda. Infatti in quell’occasione l’America intese dimostrare alla Russia, ancora sua alleata la propria potenza militare e null’altro. Una decisione cinica e improvvida, contraria a qualsiasi senso di umanità.

E quest’anno, nel mese di agosto  cade il 76° anniversario di quella tragedia, ma sembra che quella esperienza sia stata completamente dimenticato e che non abbia insegnato nulla a nessuno e, in particolare, all’America.

 

 

 

 

Riferimenti: www.genteditalia.org, Renato Silvestre 6 agosto 1945, Wikipedia

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