Storia del Referendum: dal 2 giugno 1946 a Mani Pulite
di Giuseppe Moesch*
Il 18 novembre 1923 fu approvata la legge n. 2444, nota come legge Acerbo, voluta dai fascisti, approvata, come scrisse Filippo Turati, in un clima di intimidazione. Lo scopo ufficiale di quella legge era quello di ridurre la proliferazione di partiti e liste elettorali, e la sua promulgazione permise di creare le condizioni per l’indizione delle elezioni del 6 aprile 1924 con un sistema elettorale proporzionale con voto di lista e premio di maggioranza; il risultato fu che quella tornata elettorale, fu l’ultima multipartitica e popolare, anche se alle donne non era concesso di votare, così come ai sottufficiali e soldati dell’Esercito, della Marina e dei corpi organizzati militarmente per servizio dello Stato, per un totale di ben 129.884 individui.
Le elezioni furono vinte dai fascisti che riuscirono, con il premio di maggioranza ad ottenere 374 seggi ovvero i 2/3 dei 535 disponibili, seguiti dai popolari con 39, due liste socialiste con rispettivamente 24 e 22 seggi, dai comunisti con 19, i liberali con 15, opposizione costituzionale 15, democratici sociali 10, repubblicani 7 e poi altri minori per un totale di altri 11.
Gli astenuti furono oltre quattro milioni su un totale di iscritti pari a quasi dodici milioni più o meno lo stesso numero di quelli che votarono fascista.
Il risultato ottenuto era evidentemente fortemente viziato come ebbe modo di denunciare Giacomo Matteotti in Parlamento prendendo la parola il 30 maggio del 1924, chiedendo di invalidare le elezioni. Terminato il discorso ebbe modo di dire ai suoi compagni di partito: “Io, il mio discorso l’ho fatto. Ora voi preparate il discorso funebre per me”. Il 10 giugno veniva rapito e ucciso dai fascisti e l’anno dopo Mussolini rivendicava il delitto.
Era iniziato il periodo più buio della nostra storia recente, e dalle cosiddette leggi fascistissime a quelle razziali, fu una continua riduzione delle libertà individuali e politiche. Durante quello che fu definito il secolo degli “ismi”, nazismo, fascismo, comunismo, una cappa di violenze avvolse l’Europa occidentale e orientale, con la Russia e l’olocausto fu l’anticamera della tragedia della seconda guerra mondiale.
Gran parte delle responsabilità dell’ascesa di Mussolini è da attribuire all’ignavia del Re che non fece intervenire l’esercito per bloccare la sfida fascista, ed analogo comportamento si ebbe nel seguito, terminato con l’ignominiosa fuga.
Avremmo dovuto attendere quasi vent’anni perché il popolo italiano potesse esprimere liberamente e con il voto di tutti le proprie idee in merito al mondo nel quale avrebbero voluto vivere.
A guerra ancora in corso e dopo la formazione di Salerno, si comprese di essere ad un bivio tra la permanenza in un mondo inquinato, quello monarchico, ovvero tentare il grande balzo verso la forma repubblicana, auspicata da grandi pensatori del passato, ma in ogni caso si sarebbe dovuto metter mano ad una Costituzione capace di interpretare gli aneliti di una nazione umiliata e semidistrutta dalla guerra.
Nello stesso giorno, domenica 2 e lunedì 3 giugno si votò per l’elezione di un’Assemblea Costituente e per il referendum sulla forma istituzionale che si sarebbe voluto dare al Paese.
Il risultato fu favorevole alla repubblica e nel giorno stesso della proclamazione, il Governo provvisorio comunicò al Re la decadenza della Monarchia ed il sovrano decise di andare in esilio a Cascais in Portogallo.
È chiaro a tutti che la scelta di affidare alla volontà popolare la decisione sulla forma istituzionale da dare all’Italia liberata, non poteva essere affidata agli equilibrismi politici ma doveva essere espressione dei sentimenti e delle valutazioni del popolo, che anche se abituato all’idea della presenza di un monarca, non poteva non tener conto delle gesta che quella dinastia aveva, o meglio, non aveva compiuto durante il regime.
Il referendum fu lo strumento nobilissimo che fu adottato per esprimere al meglio la volontà della maggioranza.
La Costituzione fu approvata dall’Assemblea Costituente il 22 dicembre 1947, promulgata dal Capo provvisorio dello Stato il 27 dicembre 1947 ed entrata in vigore il 1°gennaio del 1948.
Quella che viene considerata la Costituzione più bella del mondo fu il frutto della partecipazione di politici, tecnici, giuristi, economisti tutti tesi a considerare l’evoluzione storica del Paese ed impegnati a che il rispetto di tutti e le garanzie per tutti fossero assicurati, con pesi e contrappesi per evitare tra l’altro che non potessero più crearsi le condizioni che avevano permesso il baratro del ventennio.
È particolarmente interessante che la stesura della Carta fu rivista una prima volta dallo scrittore Pietro Pancrazi per una revisione stilistica del testo, ed una seconda volta da Concetto Marchesi, che oltre ad essere stato un politico, era considerato uno dei massimi latinisti dell’epoca.
Se paragoniamo oggi la qualità dei testi legislativi che vengono approvati e che hanno assai spesso la necessità di essere corredati da testi interpretativi, comprendiamo quanto seri fossero i Costituenti e quale rispetto avessero per la cosa pubblica.
È utile sottolineare che nell’ordinamento italiano non è prevista la possibilità di formulare ipotesi di referendum propositivi; dopo quel primo referendum istituzionale, si sono svolti altri 77 referendum nazionali, tra i quali nel 1989 un referendum di indirizzo relativo al conferimento di un mandato costituente al Parlamento europeo approvato con una larghissima partecipazione, 80 % degli aventi diritto, ed una altrettanto massiccia prevalenza dei sì, 88%.
Altri 4 referendum costituzionali furono proposti, relativi: il primo del 2001 al titolo V della costituzione, approvato con una percentuale di sì del 64 %, ma con una bassa affluenza pari al 34 %; un secondo del 2006 avente ad oggetto “Modifica della parte II della Costituzione”, respinto con il 62 % dei no su una affluenza di poco più del 52 %; un terzo nel 2016, relativo alla legge di riforma presentato dal Governo Renzi, con affluenza del 65 % e un numero di no pari a poco più del 59 % dei votanti; ed infine un quarto del 2020 sulla riduzione del numero dei parlamentari, con una affluenza intorno al 51 % ed un numero di sì pari a quasi il 70 %.
A tutti questi si sono aggiunti altri 72 referendum abrogativi, dei quali solo 39 hanno raggiunto il quorum e appena 23 furono approvati.
Dopo il primo referendum sulla forma si Stato dovranno passare 28 anni prima che si presentasse agli elettori un secondo referendum, promosso dai Radicali, su un tema assai rilevante quale quello relativo alla possibilità di abrogare la legge sul divorzio, per il quale si raggiunse il quorum, ma che fu rigettato con una percentuale di quasi il 60% dei votanti. La scelta degli italiani fu quella di mantenere l’istituto del divorzio tema molto sentito a prescindere dalla posizione della Chiesa e dalla DC.
Marco Pannella intuì le enormi potenzialità che l’istituto offriva per poter superare gli angusti spazi di convergenza tra i vari partiti e fu così che dal 1974 al 2005 il Partito Radicale ha promosso 110 referendum, 47 dei quali sono stati effettivamente votati, mentre gli altri furono considerati inammissibili; l’idea di fondo era quella di coinvolgere direttamente i cittadini sui temi collegati ai diritti civili, come la depenalizzazione dell’aborto, l’abrogazione dal codice penale delle norme considerate più repressive della Legge Reale, l’abrogazione del Concordato con la Santa Sede, il nucleare, la caccia, la droga. L’idea di fondo era che l’abrogazione di certe norme avrebbe portato alla necessità di affrontare quegli stessi temi che altrimenti non sarebbero mai giunti all’attenzione del Governo e del Parlamento, e legiferare con maggiore attenzione alle variate sensibilità del popolo, o alla maggiore consapevolezza su quei temi.
Diverse e varie furono le reazioni dei vari partiti che reagirono temendo l’espropriazione delle loro funzioni dei loro ruoli e delle proprie possibilità di manovre politiche, per cui spesso boicottarono le iniziative anche attraverso l’invito o meno a votare.
Nel 1978 i radicali proposero altri due referendum che raggiunsero il quorum con un’affluenza pari all’81 %: i temi furono l’abrogazione della legge Reale sull’ordine pubblico e l’altro, una prima proposta di abrogazione del finanziamento pubblico dei partiti, ambedue rigettati il primo con oltre il 76 % ed il secondo con più del 56 % dei no.
Nel 1981 sempre i Radicali promossero altri 4 referendum ed un altro fu promosso dal Movimento per la vita, per tutti l’affluenza fu abbastanza alta con valori prossimi all’80 %. I primi tre, Abrogazione della legge speciale Cossiga: no per l’86 %; Abolizione della pena dell’ergastolo con i no al 74 %, e Abrogazione delle norme sulla concessione del porto d’armi, rigettata con quasi l’86 % dei votanti. Nella stessa tornata ne furono proposti altri due sullo stesso tema, l’aborto, di segno opposto, uno quello Radicale per ampliare le possibilità, e l’altro quello del Movimento per la vita, per ridurre gli spazi di liceità, ambedue respinti con rispettivamente l’88 % e il 68 % dei no.
Non è difficile notare come i temi trattati fossero tutti legati alla sfera etica e morale; si interrogavano i cittadini su valori condivisi o condivisibili, ma che toccavano nel profondo i sentimenti e ciò avveniva in un Paese, che a dirla con Benedetto Croce, non poteva non dirsi Cattolico e pur tuttavia capace di comprendere la complessità delle situazioni reali della gente.
Nel 1985 si ha il primo strappo: vista la possibilità di coinvolgere i cittadini sul piano emotivo, il PCI e la componente comunista della CGIL, decidono di sottoporre al voto una scelta dell’esecutivo in merito ai “Taglio dei punti della scala mobile”, cercando di ribaltare una decisione che tendeva al controllo dell’inflazione e al rilancio dell’economia del Paese, che non erano riusciti ad impedire in Parlamento. Al voto si recarono quasi l’80 % degli aventi diritto ed i no furono oltre il 54 % dei votanti, che rigettarono fortunatamente la scelta ideologica.
Lo scoppio dello scandalo Lockheed, le cui origini sono nelle prime decisioni di acquisto di Hercules C-130 dalla Lockheed agli inizi degli anni ‘70, ha segnato profondamente la politica italiana, coinvolgendo direttamente o indirettamente i vertici della DC e del partito Social Democratico. Dal coinvolgimento e le successive dimissioni del Presidente della Repubblica Leone, poi completamente riabilitato con le scuse dei suoi principali accusatori, ai vari presidenti del consiglio, da Moro a Rumor, e dai maggiorenti del partito tra cui Gui e al suo successore il Ministro del PSDI Tanassi, condannato per corruzione, insieme ai vertici delle forze armata ed una serie di Grand Commis d’Etat, e faccendieri, il solo Tanassi, come politico, fu ritenuto responsabile della corruzione.
Il giudizio fu affidato alla Corte Costituzionale e tra le polemiche si evidenziarono i limiti del procedimento che vide in Parlamento una grande bagarre in particolare per la mancanza di garanzie per i non politici. La stessa Corte si indignò per dover processare su competenze non proprie, a causa della commissione Inquirente che all’epoca doveva giudicare i Ministri.
Le pene irrisorie inflitte e la impossibilità di poter recuperare il danno erariale, misero in crisi la posizione di primazia della DC, con moti di piazza che culminarono con l’invio in piazza a Bologna da parte dell’allora Ministro dell’interno Cossiga, di mezzi blindati, e la morte di una persona.
Il successivo rapimento di Moro e la sua uccisione, segnò un punto di svolta che permise al PCI di arrivare quasi al sorpasso nelle successive elezioni.
L’operato dei giudici costituzionale di aggiunse allo stato di insoddisfazione per i tempi lunghi dei processi, e per quella che era considerata come una sostanziale immunità dei magistrati.
Apparve quindi necessario modificare l’ordinamento ed istituire un Tribunale per i reati compiuti dai Ministri, ed anche chiarire le condizioni in cui operavano i Magistrati.
Intanto, il 26 aprile 1986 a Chernobyl una terribile esplosione nella centrale atomica, dovuta ad errori durante un test sulla sicurezza, mise in luce le carenze del sistema, e l’opinione pubblica, sollecitata dalle opposizioni, vide nel nucleare condizioni terrificanti per l’intera umanità. Nulla poterono le incontrovertibili giustificazioni da parte degli esperti, per convincere i cittadini, in questo supportati dai giornali che cavalcarono la situazione.
Furono così ben cinque i referendum proposti nel novembre del 1987 per affrontare questi due problemi, con una affluenza del 65 % degli aventi diritto.
Il primo sulla Responsabilità civile del giudice fu approvato con l’80 % dei sì, il secondo sull’abrogazione della Commissione inquirente, raggiunse addirittura l’85 % dei voti, confermando lo stato d’animo del popolo che aveva vissuto molto male lo scandalo della corruzione e la mala gestione delle conseguenze.
Gli altri tre erano riferiti alla scelta sul nucleare; in questo caso si manifestò il secondo strappo al senso dello strumento referendario; in effetti si chiese al popolo di votare su temi di natura esclusivamente tecnica, eccitando la parte animalesca dei cittadini, sbattendo il mostro in prima pagina. Così si propose l’abrogazione dell’intervento statale se il Comune non avesse concesso un sito per la costruzione di una centrale nucleare, approvato con oltre l’80 % dei consensi; l’abrogazione dei contributi di compensazione agli enti locali per la presenza sul proprio territorio di centrali nucleari, approvato con quasi l’80 % dei sì; e l’esclusione della possibilità per l’Enel di partecipare alla costruzione di centrali nucleari all’estero, questa volta con solo circa il 72 % dei votanti: qualcuno si era accorto che si stava perpetrando un’idiota esclusione del Paese dalla ricerca e dalla possibilità di sviluppo.
L’ideologia cominciava a prendere il sopravvento e si cercava di raggiunger il potere che le urne negavano alle elezioni politiche.
La prima conseguenza fu il segnale di insofferenza espresso per i due promossi nel 1990 da raggruppamenti della sinistra, sulla caccia e sui fitofarmaci per i quali la partecipazione fu intorno al 43 % mentre i favorevoli si attestarono intorno al 93 % confermando la chiamata alle armi dei perdenti politici, nel caos di quegli anni, qualcuno ritenne di poter attribuire al sistema delle preferenze il dramma di una politica corrotta. Di nuovo la decisione di affidarsi alle scelte emotive per le sorti del Paese portarono l’aspirante leader Mario Segni a proporre il referendum relativo alla riduzione dei voti di preferenza, da tre a uno, nelle elezioni per la Camera dei deputati, con una affluenza dei poco più del 62 % degli aventi diritto e quasi il 96 % dei favorevoli.
