Storia del Referendum: da Mani Pulite ai giorni nostri
di Giuseppe Moesch*
Il 17 febbraio 1992 il Magistrato Antonio Di Pietro indagando dopo l’arresto di Mario Chiesa avvia a quella azione che si sarebbe chiamata Mani pulite.
Non è il caso in questa sede di riprendere tutte le implicazioni di quel modo di operare, ma quello che appare certo oggi che il clima era di caccia alle streghe; il tentativo già manifestatosi in passato da parte della magistratura di sostituirsi al potere politico, e che oggi rappresenta uno dei vulnus della democrazia, si espresse al meglio e la conseguenza si ebbe anche sul piano dei referendum.
Ben otto furono quelli proposti nella tornata del 1993, dei quali tre sulla soppressione rispettivamente dei Ministeri del Turismo, dell’Agricoltura e Foreste e delle Partecipazioni Statali, con affluenza pari a quasi l’80 % e favorevoli rispettivamente con poco più del l’82 % il primo, del 70 % il secondo e del 90 % il terzo, considerato quello il punto di massima concentrazione della corruzione. Altro referendum fu quello per l’abrogazione delle norme che prevedevano il sistema maggioritario al Senato, approvato con l’82 %; quello sull’Abrogazione delle norme per le nomine ai vertici delle banche pubbliche, approvato con quasi il 90 % dei sì; e quello per l’Abolizione del finanziamento pubblico ai partiti, fu proposto nuovamente dai radicali, che si affermò questa volta con più del 90’ % dei votanti. Approfittando della scia populista furono proposti ed approvati altri due referendum sempre su proposta radicale, il primo relativo all’Abrogazione delle norme sui controlli ambientali effettuati per legge dalle USL, sì quasi l’83 % e quello sulla Abrogazione delle pene per la detenzione ad uso personale di droghe leggere con il più del 55 % dei sì.
Il vento populista ed ideologizzato prendeva il sopravvento sulla razionalità tanto che oggi ci troviamo a combattere contro reati legati all’ambiente e alle droghe, stiamo riparlando di ricostituire il Ministero delle Partecipazioni Statali ovviamente sotto falso nome all’interno del MEF e della Cassa Depositi e Prestiti. Si è visto come il turismo rappresenta oggi uno degli elementi più significativi del PIL unitamente all’Agricoltura. Ormai i referendum avevano perso la loro dignità per trasformarsi in un meccanismo di distrazione di massa e di distruzione dell’impianto costituzionale, dando il via alla successiva sbornia quando nel 1995 ben dodici furono i quesiti presentati.
La logica era ormai sempre la stessa, giocare sulle insoddisfazioni, considerate universali; quando i rappresentanti in parlamento non riuscivano ad ottenere quello che volevano raccoglievano le firme per indire un referendum, e la prima conseguenza fu il ridursi dell’affluenza che scese intorno al 57 %. Sette di quelli furono respinti tra i quali quelli su Liberalizzazione delle rappresentanze sindacali contro il monopolio confederale, l’ Abrogazione della norma sulla autorizzazione amministrativa per il commercio, l’ Abrogazione della norma che prevede il doppio turno per l’elezione diretta del sindaco dei comuni con popolazione superiore a 15,000 abitanti, l’Abrogazione della norma che impedisce la liberalizzazione degli orari dei negozi, l’ Abrogazione delle norme che consentono di essere titolari di più di una concessione televisiva nazionale, Abrogazione delle norme che consentono un certo numero di interruzioni pubblicitarie, la Modifica del tetto massimo di raccolta pubblicitaria delle televisioni private.
Vengono approvati quello sulla modifica dei criteri di rappresentanza sindacale con il 62 %, abrogazione della norma sulla rappresentatività per i contratti del pubblico impiego con il 64 %, l’ Abrogazione della norma sul soggiorno cautelare per gli imputati di reati di mafia con quasi il 64 %, l’Abrogazione della norma che definisce pubblica la RAI, con quasi il 60 %, ed infine l’Abrogazione della norma che impone la contribuzione sindacale automatica approvata con oltre il 56 % dei votanti.
La proposizione di referendum su qualsiasi tema, dovuta da un lato alla facilità con cui si potevano raccogliere le firme, la pretestuosità dei temi, la disaffezione al voto sono state le cause per le quali il popolo non ha più preso seriamente in considerazione quell’istituzione.
Infatti, nell’anno 2000 furono ben 7 i referendum proposti, con un’affluenza pari a poco più del 32 % degli aventi diritto.
I primi due quesiti erano: eliminazione del rimborso spese per consultazioni elettorali e referendarie; riproposizione dell’Abolizione della quota proporzionale nelle elezioni della Camera dei deputati, promossi dai Radicali e da Alleanza Nazionale. Un secondo gruppo di quesiti era riferito alla magistratura; l’opinione pubblica riteneva salvifico il ruolo che essa aveva assunto, ma non ci si era accorti del pericolo rappresentato dalla sostituzione dei poteri pertanto alcuni partiti tentarono già da allora di riportare nell’alveo costituzionale gli spazi dei magistrati. Un referendum, proposto da Radicali, SDI e Partito Repubblicano era teso alla Separazione della carriera di pubblico ministero da quella di giudice, ed insieme ad altri due promossi dai Radicali ovvero Abolizione del voto di lista per l’elezione dei membri togati del CSM e Abolizione della possibilità per i magistrati di assumere incarichi al di fuori delle loro attività giudiziarie erano il primo tentativo di riequilibrare il peso della Magistratura. Il problema è ancora fonte di scontro ancora oggi, venticinque anni dopo quelle proposte.
Gli ultimi due erano invece riferiti il primo all’abrogazione dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori ed il secondo all’Abrogazione della possibilità di trattenere dalla busta paga o dalla pensione la quota di adesione volontaria a un sindacato o associazione di categoria attraverso un patronato.
La reazione negativa da parte degli elettori era da attribuire alla sfiducia nelle istituzioni e nei partiti in generale ed alla crescente voglia di giustizialismo che si stava insinuando nel popolo esasperato dalla massiccia presenza delle sollecitazioni derivanti dai mezzi di comunicazione di massa e dalla crescente presenza dei cellulari che avrebbero assunto un ruolo drammatico negli anni a venire.
Altre 2 consultazioni nel 2003 subirono la stessa sorte con affluenza ancora minore pari al 25,5 % degli aventi diritto, relativi alla Estensione a tutti i lavoratori del diritto al reintegro nel posto di lavoro per i dipendenti licenziati senza giusta causa, e questo tema si trascinerà in modi alterni fino ai giorni nostri, e un altro teso all’Abrogazione dell’obbligo per i proprietari terrieri di dar passaggio alle condutture elettriche sui loro terreni, quest’ultimo espressione di quello pseudo ambientalismo ideologico che avrebbe caratterizzato gli anni seguenti, con la sbornia di leggi e regolamenti a livello nazionale ed europeo.
Il 2005 fu caratterizzato da 4 referendum centrati sul tema generale della procreazione assistita. Anche in questa tornata l’affluenza fu assai ridotta non superiore al 25 %. Gli argomenti affrontati furono Abolizione ai limiti alla ricerca clinica e sperimentale sugli embrioni, Abolizione di limiti all’accesso alla procreazione medicalmente assistita, Abolizione di norme su finalità, diritti dei soggetti coinvolti e limiti all’accesso alla procreazione medicalmente assistita, Abolizione del divieto di fecondazione eterologa. Nonostante gli argomenti avessero visto in passato grandi dibattiti non suscitarono entusiasmi nella popolazione.
Ancora minore fu l’afflusso ai tre successivi del 2009, a cui partecipò solo poco più del 23 % degli aventi diritto chiamati ad esprimersi su Assegnazione del premio di maggioranza alla lista più votata, anziché alla coalizione, Assegnazione del premio di maggioranza alla lista più votata, anziché alla coalizione, Impossibilità per una stessa persona di candidarsi in più circoscrizioni; si trattava anche in questo caso di tentativi di risolvere il problema della estrema frantumazione e conseguente difficoltà di governare, bocciati per la sfiducia nei partiti e per la loro litigiosità non tanto nel merito dei provvedimenti quanto nella conquista del potere e delle relative occupazioni dello spazio pubblico.
La svolta, peraltro solo episodica, si ebbe nel 2011 quando furono presentati quattro quesiti su un tema assai sentito che era quello dell’uso dell’acqua. Ci fu una campagna astutamente rivolta a far credere che i tentativi di razionalizzazione della gestione dell’acqua fosse tesa alla sua privatizzazione, con la relativa reazione della popolazione che temeva di rischiare nella distribuzione di un bene così prezioso. Fu una delle tante battaglie ideologiche condotta per tentare di ottenere consenso a basso costo, da parte di un Comitato referendario “2 Sì per l’Acqua Bene Comune” che prevedeva di esprimersi su Abrogazione delle norme che consentono di affidare la gestione dei servizi pubblici locali a operatori privati, e l’Abrogazione delle norme che prevedono che all’interno della tariffa dell’acqua sia compresa anche la remunerazione del capitale investito dal gestore.
Era chiara la pretestuosità del quesito ma tutti quelli che colsero il pericolo che era stato paventato, rappresentarono solo il 54 % del totale ma che risposero con una percentuale di oltre il 94 %. Ai quesiti se ne aggiunse un ulteriore sul nucleare con l’Abrogazione delle norme che consentono la produzione nel territorio nazionale di energia nucleare, quindi lo spegnimento delle centrali esistenti sulla scia delle precedenti votazioni e quello sulla Abolizione della legge sul legittimo impedimento del DC, ambedue proposti da L’Italia dei Valori, sulla strategia dei giustizialisti per la eliminazione di Berlusconi dalla scena politica.
Ormai il populismo si era affermato con vigore e con le politiche ambientaliste e la nascita di nuovi raggruppamenti che cavalcavano a pieno gli slogan che impazzavano nel mondo a prescindere dalle conoscenze scientifiche e dai problemi di sicurezza energetica e così nel 2016 fu promosso un ulteriore referendum Abrogazione della norma che prevede che le concessioni già in essere per l’estrazione di idrocarburi in zone di mare (entro le 12 miglia marine) siano estese fino al termine della vita utile del giacimento; solo il 31 % degli aventi diritto si recò alle urne facendo comprendere ancora una volta come i cittadini non accettassero più di essere chiamati a decidere al posto del Parlamento.
La cosa interessante fu che questo referendum fu promosso da 9 Consigli Regionali che furono gli stessi che promossero l’ultima tornata ovvero quella del 2022 nella quale furono presentati 5 quesiti ed alla quale parteciparono solo il 20 % degli elettori. Ormai la stanchezza nel dover assistere ai tentativi di sovvertire le scelte di governo non più nelle sedi istituzionali ma sulla scia di scelte ideologiche e di partito antitutto, si infransero sul rifiuto di essere trattati come parco buoi.
I contenuti dei quesiti furono legati a Abrogazione del decreto attuativo della legge Severino che prevede l’incandidabilità, l’ineleggibilità e la decadenza per gli esponenti politici condannati in via definitiva, Eliminazione del “pericolo di reiterazione del medesimo reato” dai criteri per disporre una misura cautelare, norme tutte legate alla vulnerabilità degli amministratori locali inquisiti. Inoltre fu riproposto quello sulla Separazione della carriera di pubblico ministero da quella di giudice, oltre all’Introduzione della possibilità da parte di membri laici (avvocati e docenti di diritto) di partecipare alle valutazioni dell’operato dei magistrati nei consigli giudiziari ed infine Abrogazione dell’obbligo di presentare dalle 25 alle 50 firme per il magistrato che voglia candidarsi al Consiglio Superiore della Magistratura.
Questa lunga cavalcata negli ultimi ottant’anni di storia referendari è solo un tentativo per rinfrescare la memoria di chi li ha più o meno vissuti o di erudizione di chi troppo giovane non ne conosce il divenire.
Emergono due ordini di considerazioni: la prima di metodo e la seconda di merito.
I referendum sono stati introdotti dai Padri Costituenti per affrontare temi che afferiscono alle intime convinzioni etiche, morali e politici di ogni uomo e donna che fa parte della nostra Nazione; forzare la mano per usarli come contraltare rispetto alla mancanza di consenso è una manovra triste oltre che scorretta, ed è frutto della misera condizione di parte della politica dell’ultimo quarantennio, e di questo i cittadini si sono accorti non andando a votare, come è loro diritto.
Per quanto riguarda il merito, l’excursus proposto credo che abbia messo in luce come tutti i provvedimenti avrebbero potuto essere affrontati attraverso un normale e civile confronto parlamentare rispettando alcune regole basilari del vivere civile.
Ritenere l’avversario politico un nemico da abbattere è un modo di vedere primitivo tipico di regimi autoritari dei qual abbiamo sperimentato gli effetti e le conseguenze; gli “ismi” che hanno caratterizzato il secolo scorso e purtroppo l’inizio di quello attuale riemergono oggi solo perché, anche in assenza delle ideologie che erano sottese a quegli “ismi”, quello per cui ci si batte è il controllo dei centri di potere con le lucrose conseguenze per la corte che supporta quei partiti che combattono per quei controlli.
La gestione della cosa pubblica non è mai stata terreno per mammolette, ma lo scadimento degli ultimi anni ha portato a punti di non ritorno.
Le ultime proposte referendarie apparirebbero farsesche a qualunque visitatore extra terrestre. Proporre l’abolizione di una legge che si è contribuito a varare solo perchè il leader che era a capo del Governo di allora non fa più parte della allegra brigata e quindi da epurare, è patetico oltre che ridicolo.
Chiedere di ridurre i tempi di concessione della cittadinanza a coloro che oggi se regolarmente residenti nel nostro Paese e senza carichi pendenti godono degli stessi diritti di ogni altro cittadino in termini di istruzione, sanità, previdenza e quant’altro a meno del diritto di voto, fa capire quale sia la reale motivazione, ovvero di avere subito un certo serbatoio dal quale attingere consensi quando la barca affonda.
Se negli anni settanta e seguenti alcuni tacciavano i sindacati di essere cinghie di trasmissione per i partiti a cui facevano riferimento, oggi siamo certi che non sia più così: sono diventati servi sciocchi come dimostra la CGIL che firma contratti collettivi per 5€ all’ora e chiede un salario minimo di 9€ per tutti: se non fosse tragico sarebbe comico.
Eserciterò il mio diritto di voto che comprende anche il diritto di non far raggiungere il quorum, non su sollecitazioni di chicchessia ma basandomi sullo studio di cui sopra, sperando che sia questa l’ultima volta che dovremo assistere a questa manomissione di un diritto nato nobile e nobilitato nelle sue applicazioni iniziali.
*già Professore Ordinario presso l’Università degli Studi di Salerno
