Papa Gregorio VII: la sua storia e l’esilio a Salerno

La Cattedrale romanica di Salerno custodisce, all’interno dell’abside meridionale detta delle Crociate o di Gregorio VII, il sepolcro di Ildebrando di Soana, il Papa esule a Salerno, uomo dal carattere forte e tenace, uno tra i più influenti pontefici, riformatore della Chiesa del suo tempo. Con il suo grande mosaico raffigurante San Matteo al centro con San Michele Arcangelo in alto, e i santi Giovanni, Fortunato, Giacomo e Lorenzo ai lati del Santo Patrono, la realizzazione dell’abside si deve alla volontà del gran dignitario della corte sveva Giovanni da Procida. Nella parte bassa, sui due lati, si osservano gli affreschi dedicati a Papa Gregorio VII: sulla destra si rappresenta l’ingresso del Papa a Salerno, a sinistra la concessione della mozzetta ai canonici. Gli affreschi risalenti al 1772 sono, probabilmente, dell’artista Giovanni De Mari. Sul calpestio è collocata una moderna teca d’argento al cui interno è custodito il manichino-reliquiario di Gregorio VII. Ai lati la teca è impreziosita dalle figure realizzate in argento, dalle personalità che in quello stesso periodo hanno segnato profondamente la storia di Salerno: a sinistra la principessa longobarda Sichelgaita, seconda moglie di Roberto il Guiscardo, al suo fianco il marito Roberto; nell’angolo a destra è collocato Alfano I, importante Arcivescovo di Salerno affiancato da Gisulfo II, ultimo Principe longobardo di Salerno.  Ma perché Papa Gregorio VII viene sepolto a Salerno e per quale motivo risulta figura chiave di fondamentale importanza per la Chiesa del Medioevo? Di probabile origine longobarda, nasce intorno al 1015 a Sovana. Figlio di un falegname (secondo alcuni storici di un contadino) dal grossetano si trasferisce a Roma per studiare presso il monastero di Santa Maria dell’Aventino, di cui è Abate lo zio materno Lorenzo, e diviene in seguito monaco benedettino prima e, dal 1049, consigliere di Papa Leone IX. Per più di vent’anni diviene consigliere dei vari papi che seguono Leone IX. E’ questo un periodo di importanti riforme per la chiesa: ricordiamo con la Bolla “In Nomine Domini” nel 1059 Papa Niccolò II dichiarava, di fatto, l’esclusione del potere laico e del popolo tutto sulla nomina del nuovo Pontefice, passando tale compito ai soli Cardinali. Con la morte di Papa Alessandro II il 22 Aprile 1073, il popolo romano designò, per acclamazione, Ildebrando come nuovo Papa. A seguito di questa volontà popolare, i vescovi nominano il toscano come nuovo pontefice, il 157°, col nome di Papa Gregorio VII che si insedia, di fatto, il 30 Giugno 1073.

Papa Gregorio VII all’inizio della Vita Gregorii VII, Paul von Bernried, Heiligenkreuz, Stiftsbibliothek, cod. 12, fol. 181v. di pubblico dominio

Dal temperamento particolarmente tenace e combattivo, Gregorio prosegue il cammino delle riforme già presenti nella Curia, rafforzando la figura del Pontefice sulle altre autorità come i sovrani entrando, conseguentemente, in pieno conflitto con l’Imperatore di Germania Enrico IV. Tra le tante riforme, ad oggi conosciute come “Riforme gregoriane”, c’è anche l’abolizione da parte dei laici dell’investitura ecclesiastica. Ciononostante, l’Imperatore Enrico IV prosegue nelle sue investiture tra cui la nomina dell’arcivescovo di Milano. L’autorità del Papa e i suoi poteri vengono definiti in una sorta di nuovo regolamento pubblicato nel 1075 con una raccolta dal titolo “Dictatus papae”, ben 27 nuovi punti riformatori.

Dictatus papae (Archivio Vaticano) di pubblico dominioù

Ne ricordiamo alcuni tra i più salienti, secondo il regolamento solo il Papa può ripristinare o deporre i vescovi, e a lui solo è permesso di deporre gli imperatori; nessun libro può essere considerato canonico senza l’autorità del Papa; colui il quale non è in pace con la Chiesa Romana va considerato non cattolico; le sentenze papaline non possono essere mai ritirate da nessuna autorità se non dal Papa stesso e solo il Papa può ordinare le insegne imperiali. In definitiva con il “Dictatus papae” si dichiarava la Chiesa completamente indipendente dal potere temporale degli imperatori, seguendo una riforma che aveva avuto le sue prime manifestazioni qualche decennio prima nel monastero benedettino di Cluny dove già si erano decretati alcuni principi innovatori come la lotta contro i preti sposati o contro la corruzione sempre più presente nella Chiesa (ad esempio la compravendita delle cariche ecclesiastiche, ovvero la simonia).

Henry IV, Holy Roman Emperor, miniature from the Emmeram Evangeliary di pubblico dominio

L’Imperatore Enrico IV convoca, di conseguenza, una dieta di vescovi tedeschi al fine di scomunicare Gregorio VII, invitando sia i vescovi tedeschi che quelli italiani a non riconoscerlo più come Papa. Nel frattempo quest’ultimo scomunica, a sua volta, Enrico IV. Intanto divenuto bersaglio di una violenta campagna denigratoria da parte dei suoi sudditi e dei grandi feudatari, l’Imperatore Enrico IV, avvalendosi anche dell’intercessione della cugina, Matilde di Canossa (nobile donna sostenitrice del Papa), e dell’abate di Cluny, si reca a Canossa al castello della contessa dove era ospite Gregorio VII.

Enrico IV penitente di fronte alla contessa Matilde di Canossa e ad Ugo di Cluny. di pubblico dominio

Dopo aver chiesto invano di entrare al castello, per ben 3 giorni, subendo le intemperie del tempo, viene infine convocato e perdonato dal Papa stesso. Revocatogli la scomunica, di ritorno in Germania, Enrico si accorge di non avere più la benevolenza dei suoi sudditi e pertanto proclama, per ripicca, un antipapa, Clemente III, vescovo di Ravenna, anche a seguito della nomina, nel marzo del 1077, di un nuovo re di Germania, Rodolfo di Svevia, riconosciuto anche da Gregorio VII, che lancia una nuova ulteriore scomunica a Enrico IV nel 1080. Morto improvvisamente Rodolfo di Svevia, riprende il potere Enrico IV che, questa volta, decide di scendere direttamente a Roma per dichiarare guerra al Papa. Gregorio VII si rinchiude in Castel Sant’Angelo e chiede aiuto al Duca normanno Roberto il Guiscardo (vassallo del Papa a seguito dell’accordo di Melfi del 1059). Gregorio VII viene salvato, ma la città di Roma subisce, da parte dei normanni, un gravissimo saccheggio a seguito del quale il Papa viene esiliato nella città di Salerno nel Giugno del 1084 (vivendo, secondo alcuni, all’interno del Monastero di San Benedetto). Un mese dopo Gregorio VII consacra la nuova Cattedrale di Salerno, fortemente voluta dal normanno Roberto il Guiscardo che aveva, otto anni prima, messo fine al Principato Longobardo. Il 25 maggio del 1085 muore Gregorio VII e le sue spoglie vengono custodite all’interno del Duomo stesso. Sulla teca d’argento in cui sono custodite le spoglie di Gregorio VII, nella parte bassa una scritta incisa riporta le parole dette dal Papa in punto di morte: “Ho amato la giustizia e ho odiato l’iniquità: perciò muoio in esilio.” Vi sono alcuni dettagli di particolare curiosità sulla sepoltura e sulle ricognizioni canoniche legate allo studio delle spoglie del santo Papa. Canonizzato nel 1606 da Papa Paolo V, Gregorio VII fu, inizialmente, sepolto all’interno di un sarcofago d’epoca romana del I secolo d.C., su cui erano scolpite delle ghirlande con l’aggiunta, in epoca moderna, delle chiavi petrine. Nei secoli si sono ripetute 5 ricognizioni, rispettivamente nel 1578, 1605, 1614, 1954 e nel 1984. Un’altra curiosità riguarda il capo di Gregorio VII, collocato all’interno del suo busto argenteo dal 1714 fino al 1954, anno in cui lo stesso venne ricongiunto al resto del corpo. Interessante risulta anche la realizzazione del manichino del Santo Padre con gli indumenti sacri, compresi i calzari e i guanti, realizzati dalla scuola italiana “Alberto Assirelli”. Le reliquie furono collocate nel torace del manichino tranne per le tibie poste nelle gambe. I paramenti sacri, in seta rosa, furono donati da Papa Pio XII mentre sulla mano destra, all’anulare, si scorge un anello in topazio, diamanti e oro donato dal cardinale Ildefonso Schuster. Dal 1985 al 2020 è stato riutilizzato il sarcofago romano. Dal 2020 in poi, le reliquie sono state ricollocate all’interno del manichino-reliquiario del 1954 posto nuovamente nella preziosa teca d’argento.

Daniele Magliano

Architetto- giornalista che ama approfondire tematiche di architettura, urbanistica, design, ma anche di storia, evoluzione e curiosità riguardanti oggetti di uso quotidiano. Mi piace, in generale, l'arte della costruzione: riflesso del nostro vivere in quanto unisce passato, presente e futuro prossimo di una comunità.

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