Che la memoria non ci venga meno

-di Giuseppe Fernicola-

Oggi si celebra la “Giornata della Memoria” a ricordo dell’Olocausto. Sarebbe giusto però che questa fosse anche l’occasione per ricordare tutti i genocidi che l’arroganza politica e la discriminazione raziale ha attuato negli anni, a partire da quelli dei gulag sovietici che fra il 1930 ed il 1956, con circa 1.606.748 morti su 18 milioni di persone internate, o “l’olocausto dimenticato”, compiuto dall’Impero ottomano ai danni della minoranza armena, in maggioranza cristiana, tra il 1915 e il 1916, che causò circa 1,5 milioni di morti.

Ed ancora il genocidio compiuto dalla dittatura comunista di Pol Pot tra il 1975 e il 1979, in Cambogia, un processo di epurazione della popolazione che contò da un minimo di 800.000 a un massimo di 3.300.000 morti ed infine, solo per citare quelli più rilevanti, il milione  di persone di etnia Tutsi uccise in modo sistematico, in Ruanda, nel conflitto interno ad opera dell’etnia Hutu e le 5.000 vittime italiane dei campi di concentramento jugoslavi e delle famigerate foibe.

Da quest’elenco parziale si evince che la volontà di distruggere, di cancellare masse di persone di diversa religione, razza o pensiero, non ha colore politico.

Oggi si ricordano le vittime che tra il 1933 e il 1945, a seguito delle persecuzioni razziali e politiche, messe in atto dal regime nazista che sfociarono nella più grande ed atroce pulizia etnica della storia. Tra le vittime dell’Olocausto, le vittime della Shoah furono circa sei milioni a cui si aggiunsero circa 300 mila Rom, 250 mila disabili, 7 milioni fra la popolazione slava (russi, serbi, ucraini, polacchi, sloveni) ed 1 milione e mezzo di dissidenti politici, principalmente comunisti e socialisti.

Non abbiamo cifre precise per gli omosessuali e fra le minoranze religiose si contano circa 30.000 vittime mentre furono un centinaio le donne e gli uomini di cultura vittime della follia nazista.

Fra queste il prezzo pagato dagli italiani fu alto e, nella Giornata della Memoria, non potendo citare per nome tutte le vittime forse vale la pena di ricordare almeno gli artisti, gli attori, i letterati, i musicisti, gli scienziati, gli economisti, gli sportivi italiani.

Il pianista Mauro Finzi ed il compositore Luigi Sinigallia, la zoologa Enrica Calabresi ed i chimici Leone Maurizio Padoa e Ciro Ravenna, gli economisti Riccardo Dalla Volta e Renzo Fubini per finire con il pugile Leone Efrati…

Ancora oggi a circa novant’anni dai fatti, si fa fatica a trovare una ragione che si possa comprendere di quella aberrazione collettiva che ci testimonia come un pensiero negativo ben programmato può raggiungere vette inimmaginabili.

Anna Arendt l’ha definita la banalità del male nel suo reportage dal processo ad  Eichmann, esprimendo l’idea che il male perpetrato da lui, come dalla maggior parte dei tedeschi corresponsabili dell’Olocausto fosse dovuto all’ inconsapevolezza del significato delle proprie azioni.

Nella Tregua Primo Lavi scrive che “In ogni gruppo umano esiste una vittima predestinata: uno che porta pena, che tutti deridono, su cui nascono dicerie insulse e malevole, su cui, con misteriosa concordia, tutti scaricano i loro mali umori e il loro desiderio di nuocere” e forse conferma la tesi dell’Arendt quando spiega, in Se questo è un uomo, i comportamenti disumani dei nazisti col fatto che i deportati non erano visti come esseri umani ma come bestie.

Anche l’Italia partecipò a scrivere la sua pagina vergognosa con le leggi razziali del 5 settembre del 1938 che revocavano la cittadinanza italiana agli ebrei stranieri, vietavano il matrimonio tra italiani ed ebrei, di avere alle proprie dipendenze domestici di razza ariana, applicavano il divieto per tutte le pubbliche amministrazioni e per le società private, come banche e assicurazioni, di avere alle proprie dipendenze ebrei, chiudevano agli ebrei la professione di notaio e di giornalista, limitando molte professioni intellettuali.

Era fatto anche divieto, di iscrivere i ragazzi ebrei non convertiti al cattolicesimo nelle scuole pubbliche, il divieto per le scuole medie di assumere come libri di testo opere alla cui redazione avesse partecipato in qualche modo un ebreo. Si istaurò una vera e propria apartheid con la creazione di scuole specifiche per ragazzi ebrei, le uniche scuole in cui potevano lavorare gli insegnanti ebrei.

Le leggi razziali diedero un colpo mortale al mondo della ricerca e dell’università con oltre 300 docenti e con alcuni scienziati e intellettuali che emigrarono all’estero come, Amedeo Herlitzka, Emilio Segrè, Enrico Fermi, Luigi Bogliolo, Arnaldo Momigliano, Bruno Pontecorvo, Franco Modigliani, Uberto Limentani, Umberto Cassuto, Carlo Foà.

Nel volgere di poche settimane persero l’impiego circa 200 insegnanti, 400 dipendenti pubblici, 500 dipendenti privati, 150 militari e 2.500 professionisti, inoltre 200 studenti universitari, 1000 delle scuole secondarie e 4.400 delle elementari furono costretti a lasciare lo studio. Il bilancio delle sole persecuzioni razziali è stato pesante: 7.579 su 58.412 cittadini italiani di “razza ebraica o parzialmente ebraica” censiti nel 1938 furono identificati e arrestati, di cui 6.806 deportati nei campi di sterminio, di essi 776 bambini di età inferiore ai 14 anni, dai quali ne sono ritornati soltanto 837.

Chi ha avuto la sorte di ritornare a volte, come nel caso di Primo Levi, non è riuscito a superare il senso di colpa di essere sopravvissuto.

Ma se come ha detto Liliana Segre stigmatizzando il comportamento di sapeva ma non reagì: “L’indifferenza è più colpevole della violenza stessa. È l’apatia morale di chi si volta dall’altra parte: succede anche oggi verso il razzismo e altri orrori del mondo. La memoria vale proprio come vaccino contro l’indifferenza.”, è vero anche che nel Giardino dei Giusti sono scolpiti i nomi di settantacinque italiani, quai tutti cittadini anonimi, che si opposero in silenzio a quelle disumane leggi salvando la vita a migliaia di perseguitati.

E se fa riflettere la frase scritta su un muro di Auschwitz “Se Dio esiste, dovrà chiedermi scusa”, la vera domanda l’ha posta William Clarke Styron, l’autore de La scelta di Sophie: “La domanda: ditemi dove era Dio, ad Auschwitz. La risposta: e l’uomo dov’era?”

Fotografia: “Auschwitz gate of death” by Jan Norman B is licensed under CC BY-NC-SA 2.0

“Auschwitz gate of death” by Jan Norman B is licensed with CC BY-NC-SA 2.0. To view a copy of this license, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc-sa/2.0/

Giuseppe Fernicola

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