Referendum: riflessioni sul tema

di Michele Bartolo-

La recente consultazione referendaria ha riaperto il dibattito sull’istituto del referendum, sulla sua utilità e se sia giusto o meno lo sbarramento del quorum al 50%. Domenica 08 e lunedì 09 giugno, infatti, gli italiani sono stati chiamati a votare cinque quesiti in materia di lavoro ed uno in materia di cittadinanza. In realtà, si votava nella modalità del voto abrogativo, ovvero chi rispondeva SI avrebbe abrogato norme o parti di norme attualmente vigenti, mentre chi si esprimeva per il NO avrebbe lasciato inalterata la legislazione attuale in materia. In buona sostanza, vuol dire che il venir meno o la parziale abrogazione di una norma non introduce una nuova legge, ma inibisce solo l’operatività di una esistente, senza nulla togliere alla possibilità, in una Repubblica Parlamentare, che la stessa legge o altra diversa ma con contenuti simili possa essere nuovamente approvata dal Parlamento.

Questo, probabilmente, è uno dei motivi di disaffezione dell’elettorato verso l’istituto, dai tempi dell’on. Mario Segni in poi. Chi non ricorda le roboanti vittorie dei referendum elettorali sul sistema maggioritario, salvo poi essere intaccate da una successione di leggi elettorali contrastanti con tale principio o progettate allo scopo di attenuare o eliminare del tutto gli effetti di un sistema maggioritario puro. Se così è, quindi, la stessa efficacia reale di un referendum, sia esso abrogativo o consultivo, risulta essere modesta e priva di interesse sociale. Probabilmente il vero problema è questo.

Cosa è successo domenica 08 e lunedi 09 giugno? E’ accaduto che il dato dell’affluenza alle urne si è attestato attorno al 30%, determinando la inutilità della consultazione, lo  sperpero di danaro pubblico per consentirla e, da un punto di vista pratico, il fallimento del progetto dei comitati promotori, che non sono riusciti a raggiungere il quorum previsto del 50%. Allora, come la politica di ogni schieramento da anni ci insegna, la polemica e il dibattito politico si è spostato su quanti hanno partecipato, sui 12 o 14 milioni di votanti, pari ad un potenziale elettorato di centrosinistra che, in un ipotetico voto politico, garantirebbe un sostanziale pareggio con l’elettorato di centrodestra. Non una sconfitta, quindi, ma quasi un sondaggio politico che dimostrerebbe come siano tanti i cittadini iscritti all’area del centro sinistra. Questa analisi ricorda un po’ quei politici degli anni Ottanta e Novanta che, quando perdevano in misura percentuale i voti alle elezioni politiche, iniziavano a compiere piroette verbali e a sostenere che vi era stato un incremento rispetto alle Europee di dieci anni prima o alle amministrative dell’anno precedente.

In realtà, nessuno può appropriarsi del voto e nessuno può attribuire una patente partitica a chi domenica e lunedi è andato a votare. Basti pensare al quesito più divisivo, quello sulla cittadinanza, ovvero la possibilità che venisse eliminato il requisito della stabile residenza in Italia da dieci anni per ottenere lo status di cittadini italiani, che  ha visto il NO attestarsi attorno al 35%. Sicuramente chi ha votato NO non può essere ascritto per intero all’elettorato del centrosinistra, così come non può ritenersi che il 70% degli italiani che non è andato alle urne sia tutto in quota centrodestra o abbia seguito gli appelli del Governo a non andare a votare. In realtà, il problema non penso sia modificare il quorum al 50 o al 40% e neanche sollevare un dibattito sul diritto-dovere di andare a votare, che costringerebbe a dividere la popolazione tra  cittadini virtuosi che hanno partecipato al voto e cittadini disamorati ed immorali che sono rimasti a casa o sono andati al mare.

La democrazia, invece, è bella proprio perché consente di scegliere anche se votare o restare a casa, soprattutto quando è necessario raggiungere un quorum per la validità di una consultazione. Tutto sommato quello che, in piccolo, succede per il quorum costitutivo o deliberativo di una assemblea condominiale. Il vero problema è che il referendum funziona e stimola una grande partecipazione quando riguarda non temi di stretta conoscenza degli addetti ai lavori ma grandi questioni etiche o di forte impatto sociale.

Basti pensare ai referendum sull’aborto o sul divorzio, che hanno segnato un’epoca. Per quanto riguarda tutti gli altri, invece, sarebbe opportuno non intervenire sul quorum ma sulla possibilità di chiamare i cittadini alle urne ad esprimersi, alzando la soglia di firme per rendere ammissibile un quesito. Solo così si eviterebbe l’abuso dello strumento, il suo utilizzo strumentale a fini politici e l’inutile esborso di danaro pubblico.

Michele Bartolo

Avvocato civilista dall'anno 2000, con patrocinio dinanzi alle giurisdizioni superiori dal 2013, ha svolto anche incarichi di curatore fallimentare, custode giudiziario, difensore di curatele e di società a partecipazione pubblica. Interessato al cinema, al teatro ed alla politica, è appassionato di viaggi e fotografia. Ama guardare il mondo con la lente dell'ironia perché, come diceva Chaplin, la vita è una commedia per quelli che pensano.

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