Dignità e onore
di Giuseppe Moesch*
Nella prima metà degli anni novanta mi capitò di partecipare, credo alla Camera dei Deputati, ad una riunione o forse un convegno, organizzato da Antonio Del Pennino su un tema istituzionale, non ricordo più quale.
Subito dopo i convenevoli di rito Antonio iniziò a parlare quando un applauso salutò l’ingresso in quella sala di un uomo imponente, molto alto sorridente anche se il volto mostrava i segni di una sofferenza fisica, probabilmente conseguenza di un qualche digiuno.
Marco Pannella si avvicinò al tavolo della Presidenza e lui ed Antonio si abbracciarono: non li univa solamente un, o meglio, i bicchieri di whisky, ma il comune sentire per i valori delle istituzioni e della libertà.
Dubito fortemente che oggi i due sarebbero andati a votare per dei referendum utili esclusivamente ad un moribondo partito, forse Pannella ci sarebbe andata per non infangare l’istituto che aveva così nobilmente sdoganato nel nostro Paese, ma sono certo si sarebbe ribellato al modo in cui era stato ridotto.
Sono certo che Del Pennino non avrebbe partecipato alla farsa, così come credo che né Ugo La Malfa né tanto meno Spadolini avrebbero preso in considerazione l’idea di affidare agli umori della plebaglia giacobina, le sorti di aspetti della vita sociale ed economica dei lavoratori.
Difficilmente potrei immaginare il professore meridionalista Barone Chinchino Compagna o il suo collega Peppino Galasso di diversa estrazione sociale, ma alloggiati sotto il tetto della stessa casa comune nella quale condividevano i valori di libertà e di giustizia.
Ho condiviso e condivido quei valori e non ho mai pensato di effettuare disinvolte giravolte per interesse personale, per uno strapuntino di vice qualcosa, o per un posticino offerto come mancia, come si fa con un biscottino per il cane fedele.
Avevano, quei nobili di spirito, valori come dignità e onore a cui non potevano sottrarsi, e su quella scia non andrò a votare.
*già Professore Ordinario presso l’Università degli Studi di Salerno
