La famiglia secondo la Corte Costituzionale
di Michele Bartolo-
La Corte Costituzionale con la sentenza n. 68 del 2025, depositata il 22 maggio 2025, ha dichiarato incostituzionale l’articolo 8 della legge 40 del 2004, ritenendo quindi fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tribunale di Lucca.
Il caso è quello di Glenda e Isabella, sposate e mamme di una bambina di tre anni e uno di due: una figlia era stata riconosciuta, l’altro no perchè nato il 3 aprile 2023, un mese dopo la circolare del ministro dell’Interno Piantedosi, che ne vietava il riconoscimento. Ma in realtà cosa dice l’articolo 8 della legge 40 del 2004? Siamo nel campo della procreazione medicalmente assistita e viene quindi normato il caso di figli ottenuti attraverso il ricorso alle tecniche di fecondazione eterologa, in questo caso infatti si tratta di due donne.
L’articolo 8 recita testualmente: “I nati a seguito dell’applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita hanno lo stato di figli legittimi o di figli riconosciuti della coppia che ha espresso la volontà di ricorrere alle tecniche medesime ai sensi dell’articolo 6”. Questa previsione normativa va letta in collegamento con il precedente articolo 5, che definisce la coppia come “coppia di maggiorenni di sesso diverso, coniugati o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi.”
Questa definizione è rilevante ai fini dell’accesso alla procreazione medicalmente assistita (PMA), che difatti in Italia è vietata per coppie dello stesso sesso, nel caso specifico due donne. Sulla base di tanto, quindi, la circolare del Ministro vietava il riconoscimento congiunto da parte delle due madri, conferendone la possibilità alla madre biologica, in aderenza allo spirito normativo della legge n. 40 del 2004, non anche alla cosiddetta madre intenzionale, ovvero colei che, unita in coppia con la prima, aveva condiviso il percorso di accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita all’estero. La Corte Costituzionale, sul ricorso delle due mamme di Lucca, ha ora dichiarato incostituzionale precludere alla madre intenzionale il riconoscimento di un figlio nato da PMA. Cosa avveniva sino ad oggi? La madre intenzionale, ovvero quella che non aveva partorito ma prestato il solo consenso alla procedura di fecondazione nell’ambito della coppia, doveva poi ricorrere alla parallela procedura di stepchild adoption (forma di adozione in cui un coniuge o partner di un genitore biologico adotta il figlio del partner), ovvero rivolgersi al Tribunale per vedersi riconosciuta la genitorialità.
La dichiarazione di illegittimità costituzionale adottata dal Supremo Organo di Garanzia si fonda su due rilievi: la responsabilità che deriva dall’impegno comune che una coppia si assume nel momento in cui decide di ricorrere alla Pma per generare un figlio, impegno dal quale, una volta assunto, nessuno dei due genitori, e in particolare la cosiddetta madre intenzionale, può sottrarsi. Il secondo rilievo è la centralità dell’interesse del minore, affinché l’insieme dei diritti che egli vanta nei confronti dei genitori valga, oltre che nei confronti della madre biologica, anche nei confronti della madre intenzionale.
La Corte Costituzionale ha quindi ridisegnato il concetto di coppia e di famiglia, rendendo costituzionali anche le cosiddette famiglie arcobaleno? Assolutamente no. Difatti la successiva sentenza, la n. 69 del 2025, anch’essa pubblicata il 22 maggio 2025, ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 5 della legge 40 del 2004, che attualmente vieta alle donne single l’accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita (PMA) in Italia, ritenendo requisito imprescindibile la presenza di una coppia, così come definita dallo stesso articolo. Giova, infatti, ricordare che la Corte è intervenuta sul solo articolo 8, che riguarda lo stato giuridico del nascituro, rispetto al quale si pone come prevalente e dirimente l’interesse del minore al riconoscimento, non anche sull’articolo 5, che continua a disegnare la coppia di genitori maggiorenni di sesso diverso come unica forma di famiglia che può ricorrere alle tecniche di PMA in Italia.
