Il Racconto della Domenica: ‘A trupea de’ cerase

di Giuseppe Moesch*

Prima con i miei e poi, diventato autonomo, nel senso che ero autorizzato a muovermi da solo in città con il cavallo di San Francesco, o con i mezzi pubblici, già dalla fine di aprile o al più ai primi di maggio, iniziava la mia stagione balneare, e negli anni più caldi addirittura da metà marzo.

Il colonnello Guidi non era ancora nato ed anche se l’allora Colonnello Bernacca, iniziò la sua opera di divulgazione alla radio prima, e dal 1957 in televisione, con la trasmissione da lui stesso ideata, “Il tempo in Italia”, sebbene la grande fama sarebbe arrivata solo verso la metà degli anni sessanta, e fu il precursore delle trasmissioni televisive sulle condizioni del tempo, non avevo gli strumenti odierni per valutare l’opportunità di andare a Marechiaro mio luogo di adozione.

Quindi, da adolescente che si affacciava ai piaceri della vita, adottavo la saggezza degli anziani per decidere se andare o meno al mare.
In effetti, come accadeva per gli antichi Sumeri, l’osservazione ripetuta e la tradizione orale avevano dettato regole comportamentali certissime: le articolazioni, in particolare se le ginocchia, dolevano, allora doveva piovere, si badi non poteva, ma doveva.

Giacomo Zanella nella sua poesia “La pioggia” descrive in maniera sintetica tutti i segni premonitori che gli animali ci offrono per prevedere l’arrivo della pioggia, anche se si tratta di una previsione a breve. L’osservazione di quei comportamenti, oggi lo sappiamo, deriva dal variare delle condizioni di pressione e quindi cicale, rondini e colombe erano il barometro dell’epoca: i marinai conoscevano il divenire delle condizioni meteo marine e bastava solo uno sguardo di un vecchio rugoso pescatore intento a riparare le reti, con il rapido movimento della spola che intrecciava le maglie rotte dagli scogli dove si erano impigliate durante la pesca notturna, per scoraggiare qualsiasi velleità di uscita in barca e rispondeva con il voi alla mia domanda di adolescente “com’è il tempo?” Si girava e ti dava una rapida occhiata dicendo “Pecchè, vulisseve ascì ca varca; ma nun verite che è bafuogne a punente”. (Perché, vorreste uscire con la barca; ma non vedete che bafuogno a ponente).

Era una sentenza senza appello. Eri stato definitivamente etichettato come inetto, come incompetente, incosciente, temerario e quant’altro. Quel vento caldo, afoso, soffocante che non ti faceva respirare e ti dava un senso di oppressione, paragonabile al Föhn alpino, era considerato foriero di condizioni potenzialmente pericolose, poteva trasformarsi in una improvvisa burrasca, che liberava dall’oppressione ma poteva anche portare tanta pioggia.

Se esplodeva sotto forma di rovesci allora poteva venir giù tanta pioggia; a casa mia, dove l’uso del dialetto era normalmente bandito. Salvo che per i nonni materni, che lo usavano tra di loro, era possibile ascoltare qualche volta alcune espressioni in napoletano lingua che meglio esprimeva sinteticamente concetti complessi, quindi una tempesta d’acqua e vento che scuoteva i vetri veniva annunciata dicendo sta arrivando “’o patabarie ‘e ll’acque”.

Probabilmente il fatto che il dialetto si usava poco, o perché si tendeva ad italianizzare i termini, veniva deformata la dizione corrente che era “’o pata pata ‘e ll’acqua” o anche “’o pate abbate ‘e ll’acqua”, con chiaro segno di rispetto per la significatività dell’evento.

Era il favonio, che provocava quella furia improvvisa e che veniva sintetizzata con quella espressione, ma le condizioni di malessere che gli uomini e le donne provavano, derivanti dal “bafuogno”, per traslato, si applicavano anche a situazioni di malessere esistenziale.

L’attività dell’allora Colonnello Bernacca nasce da lontano, ovvero da quando, con il Regio Decreto n° 3534 del 26 novembre 1876 fu istituito il Regio Ufficio Centrale di Meteorologia, con sede presso il Collegio Romano in Roma, che provvedeva al servizio di osservazione, all’analisi sinottica dello stato del tempo, ai presagi (le odierne previsioni) e alla climatologia italiana. Mi ha sempre affascinato questa parola presagi: essa ci riporta indietro al tempo dei nostri padri romani, quando i destini dei popoli o le scelte di guerra così come le fondazioni di una città venivano affidate all’interpretazione che gli aruspici traevano dal volo degli uccelli, o come accadeva tra gli etruschi dallo studio del fegato degli animali sacrificati allo scopo. Credo che sia in grado di trasmetterci tutta l’aleatorietà del lavoro di quell’epoca con la scarsità dei mezzi e degli strumenti allora disponibili, si cercava di interpretare come aruspici il divenire delle condizioni intorno a noi.
La naturale evoluzione e lo sviluppo dell’aviazione spinsero allo sviluppo della disciplina.

Nel 1923 In Italia viene costituito il Regio Ufficio di Meteorologia e Geofisica, che nel 1925, con Regio Decreto, viene posto alle dipendenze del Commissariato dell’Aeronautica come Servizio Meteorologico Nazionale, decreto che credo sia tuttora in vigore.
Oggi sappiamo a che ora arriverà la pioggia con giorni d’anticipo ma viviamo in un periodo in cui la nostra attività di uomini ha piegato e modificato il ritmo e la durata dei fenomeni atmosferici, ma ritornando alla mia attività di gaudente bagnante dell’epoca, non c’era in me alcun senso di colpa per aver modificato con i miei comportamenti le condizioni climatiche del pianeta, per cui a cuor leggero affrontavo le incognite che mi attendevano con l’unica vera attenzione ad alcuni fenomeni che irrompevano talvolta improvvisamente durante quelle giornate: erano le “trupee”.

Dalla metà del mese di maggio e fino alla fine d’agosto, accadeva con una qualche frequenza che si verificassero degli acquazzoni tipici con venti e forti piogge nel clima caldo estivo, che venivano chiamate appunto “trupee”, fenomeno comune alle coste tirreniche meridionali ed è lo stesso nome della città calabrese fondata dai Greci, si dice da Ercole, ed il cui nome deriva dalla parola greco “tropaia” che indica un vento alterno.

Era proprio il vento l’elemento caratterizzante il fenomeno tramandato dalla cultura popolare ad esempio dai venditori ambulanti; a maggio, mese delle ciliegie si poteva sentire per i vicoli della città l’offerta di acquistare come primizie le ciliegie raccolte a terra, frutta già matura caduta dagli alberi scossi dal vento e così “Accattateve ‘e cerase, so’ chelle da trupea” (Comprate le ciliegie, sono quelle della trupea), e da qui “’a trupea de’ cerase”.

La cosa si ripeteva a giugno, questa volta a subire le conseguenze erano le albicocche e il fenomeno andava sotto il nome di “Trupea de’ crisommole” mentre nei mesi di luglio e agosto “’e trupeje de’ ddoie Maronne”, con riferimento alle ricorrenze della Madonna del Carmine e di quella dell’Assunta rispettivamente.

Lo spettacolo era assolutamente straordinario: in genere accadeva di pomeriggio quando l’aria più fredda incombeva sul mare caldo; all’improvviso il cielo diventava scuro in lontananza, le nuvole cariche d’acqua si scontravano in un turbinio di fulmini che si scaricavano in mare. Capitava talvolta che al largo si formassero delle trombe d’aria che si spostavano velocemente all’avanzare del fronte del temporale, e così come si formavano così si estinguevano infrangendosi su qualche scoglio affiorante. In genere la maggior parte delle persone si erano già allontanate ai primi sintomi della tempesta mentre io come pochi altri, restavo affascinato a contemplare l’evolversi di quella meraviglia, con la certezza che di lì a poco sarebbe tutto finito in un silenzio surreale e di paciosa calma.

 

*già professore Ordinario presso l’Università degli Studi di Salerno

Giuseppe Moesch Giuseppe Moesch

Giuseppe Moesch

Napoletano, già professore ordinario di Economia Applicata, prestato alla politica ed alle istituzioni nazionali ed internazionali, per le quali ha svolto incarichi e missioni viaggiando in quasi cinquanta Paesi attraversando l’umanità che li popola. Oggi propone le sue riflessioni scrivendo quando non riesce a capire quelle degli altri.

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