“Il giuoco delle parti”
di Giuseppe Moesch*
Stiamo assistendo in questi giorni alla riedizione, in chiave politica internazionale, della novella e che Luigi Pirandello scrisse prima nel 1913 per la Nuova Antologia, poi pubblicata da Treves nel 1919, poi ancora trasformata nella pièce teatrale omonima ed infine citata anche in Sei personaggi in cerca d’autore, ma mai fino ad ora trasformata in sceneggiata.
L’odierna scena è offerta dall’intero occidente con la partecipazione di nuovi personaggi, ombre che si intravedono sullo sfondo, ma che sono coerenti con l’intero spettacolo.
Credo che molti ricordino la trama: un intellettuale forse cinico, una moglie frivola e l’amante di lei. L‘uomo conosce bene la situazione, sa bene come si evolverà, e rovina alla moglie i piaceri della trasgressione comunicandole in anticipo il divenire. La scena madre si avrà quando un gruppo di gaudenti sbaglia piano nel ricercare una prostituta e giunge a casa della coppia pretendendo dalla donna quanto speravano di trovare nell’altro appartamento. L’oltraggio sarà lavato nel sangue di un duello tra un abile spadaccino ed il marito. Il padrone di casa allora sostiene che il vero sfidato sia l’amante, ed è lui che dovrà battersi e morire, essendo di fatto il vero titolare dell’oggetto del desiderio dei gaudenti.
Potrebbe apparire un tema trito, ma la vita ci offre ripetuti casi del genere.
Al centro della nuova parziale pantomima, in quanto alcune scene sono mute, c’è la situazione Ucraina, con i gaudenti rappresentati dalla Russia, il marito dagli USA, e l’amante dagli Stati Europei.
Il marito USA si stufa di continuare ad accettare il suo status di becco, e scarica sull’amante Europa l’onere di dover difendere l’onore offeso, sulla base delle ripetute, convinte e costanti dichiarazioni d’amore nei confronti dell’amante offesa.
Anche questa è una situazione classica: l’amante tiene famiglia. È disposto a soddisfare i capricci della donna con donazioni e regali, ma non a compromettersi con la famiglia, i figli, i conoscenti.
Il marito Trump, magistrale interprete di quell’arte che fece, per alcuni, un grande Mario Merola, recentemente santificato in una fiction a lui dedicata dalla RAI, ha messo in un angolo gli europei, richiamandoli alle loro responsabilità; se ci tenete tanto alla Ucraina, scendete in campo che gli USA hanno da pensare a cose serie, quali la situazione del Pacifico, dopo aver sistemato il Medio Oriente con gli accordi dei cosiddetti Arabi moderati.
Isso, Essa e o Malamente torna in scena, e come nelle migliori sceneggiate ci sono anche gli spettatori pronti a dare il coltello e ad inveire, anche senza partecipare alla scena, come sembra si apprestano a fare Turchia e Canada.
Tutti sanno che della banda di gaudenti la sola figura che potrebbe scendere in campo è lo spadaccino Russo, gigante stanco dai piedi d’argilla, che non potrà mai usare la sua arma più forte, ovvero l’atomica, pena ritrovarsi in casa le conseguenze di quell’atto e l’impossibilità di utilizzare i beni che vorrebbe acquisire.
Trump ha messo, come si suol dire, l’Europa in braghe di tela.
Mantiene il dialogo con l’autocrate Putin, come si è visto all’ONU, ma ha permesso che passasse la dichiarazione emendata con l’accordo francese: un colpo al cerchio ed uno alla botte.
Ha schiaffeggiato pubblicamente Zelensky, costringendolo a cercarsi un ristorante dove cenare nella notte di Washington, con l’entusiasmo dei suoi ed in particolare del suo vice, che come tutti i vice, deve essere più realista del Re.
Ma il capolavoro è certamente quello di aver obbligato i Paesi europei a prendere atto della propria insignificanza.
Ognuno degli Stati che hanno contribuito fino ad oggi a sostenere l’Ucraina, ha avuto di mira i lucrosi futuri appalti e le ricchezze del sottosuolo di quel Paese: oggi Trump li ha messi di fronte al problema di fare accettare il compromesso militare ai propri cittadini.
Sarà forse sulla base di una missione di pace che sarà decisa in sede europea, avallata forse dall’ONU, che saranno costretti ad inviare una forza di interposizione da schierare tra i due Paesi belligeranti. Qualche migliaio di uomini per i più grandi. Meno per gli altri, con la sicura opposizione di Orban e qualche altro, ma nella consapevolezza che la sopravvivenza di ognuno di loro passerà per questa decisione.
Mario Merola è stato un grandissimo per i suoi estimatori, e credo che se l’operazione riuscirà lo stesso successo toccherà a Trump.
Ma come per Merola, -la ludopatia gli ha divorato tutte le ricchezze accumulate- anche il Presidente americano sarà vittima della sua megalomania.
*già Professore Ordinario presso l’Università degli Studi di Salerno
