Il caso De Maria

di Michele Bartolo-

Qualche giorno fa tutti abbiamo letto sui giornali di un uomo che si è lanciato nel vuoto dalle terrazze situate sul Duomo di Milano, dopo aver pagato regolarmente il biglietto e fatto un volo di ben quaranta metri. Nessuno avrebbe potuto conoscere le intenzioni dell’uomo, che si è buttato tra la folla in pieno centro, in quel momento affollato da turisti, dal momento che i controlli riguardano eventuali armi o oggetti di cui è vietato l’ingresso e non si estende, probabilmente sbagliando, all’identità delle persone. Ciò posto, un controllo e più efficace sull’uomo morto suicida andava fatto molto prima e non dagli addetti della sicurezza ma dai magistrati.

Quell’uomo, infatti, si chiamava Emanuele De Maria, aveva 35 anni e nel 2016 si era reso colpevole di femminicidio, uccidendo una giovane tunisina 23enne a Castel Volturno. Per quell’omicidio, De Maria veniva condannato in primo grado a 14 anni, ridotti, come spesso capita, in secondo grado a 12 anni. Dopo essere stato catturato nel 2018, il De Maria avrebbe dovuto scontare la pena nel carcere di Secondigliano, ma poi veniva trasferito al carcere di Bollate.

Qui, invece che continuare a scontare la pena, inizia la sua nuova vita. Viene considerato un detenuto modello e gli viene concesso un permesso per lavoro esterno dal Tribunale di Sorveglianza di Milano, a far data dal 29 novembre 2023. Quel permesso gli consente di uscire tutti giorni dal carcere, fare un percorso concordato e lavorare come receptionist all’Hotel Berna di Milano, situato nei pressi della stazione centrale. Il De Maria viene addirittura intervistato dalla trasmissione televisiva “Confessione reporter”, dove racconta che il lavoro lo rende libero e si mostra entusiasta della sua “rinascita”.

Il Tribunale di Sorveglianza esprime parere favorevole anche alla trasformazione di quel rapporto di lavoro a tempo determinato in un rapporto di lavoro full time, tanto il De Maria si mostra anche lavoratore modello. Cosa accade nella realtà? Accade che l’uomo, responsabile di un femminicidio effettuato solo pochi anni fa e per il quale, tolti i due anni di latitanza, aveva scontato sì e no solo cinque anni di galera, compie esattamente le stesse azioni di allora, anzi di più. Prima aggredisce un collega di 51 anni, rimasto gravemente ferito a seguito dell’accoltellamento subito, poi uccide un’altra collega 50 enne, barista nello stesso albergo, con la quale presumibilmente aveva una relazione, utilizzando lo stesso metodo del primo femminicidio, ovvero procurandole tagli ai polsi ed alla gola. Infine, ultimo atto, si suicida lanciandosi nel vuoto dal Duomo di Milano.

Quali sono le conclusioni allora? Emanuele De Maria, persona responsabile di femminicidio, ha potuto fruire di permessi utilizzando i quali ha commesso altri gravissimi delitti e si è suicidato con modalità tali che avrebbero potuto causare ulteriori tragedie. In tale contesto, è difficile sempre di più conciliare la Legge con la Giustizia ma, in questo caso, direi l’applicazione della legge al caso concreto, sottoposto all’esame del Giudice, sul quale grava l’onere e l’incombenza di adottare il provvedimento più idoneo allo scopo, nell’ambito di quelli che la legislazione prevede. Non è ammissibile, cioè, che chi si è reso colpevole di un delitto così efferato possa essere ricompreso dopo qualche anno di detenzione nell’alveo dei detenuti modello, tanto da fruire di un permesso per lavoro esterno, come un rubagalline qualsiasi.

Il caso del Mostro del Circeo, il famoso Angelo Izzo,  non rappresenta evidentemente un episodio isolato ma ci ammonisce sulla necessità di reprimere e punire con durezza quei delitti che non ammettono scusanti o attenuanti di alcun genere. De Maria non solo ha scontato una pena ridotta e irrisoria in rapporto alla gravità del fatto commesso, non solo ha potuto essere libero prima del tempo e svolgere un lavoro che a  molti è negato ma ha ucciso ancora, commettendo un femminicidio con le  stesse modalità di dieci anni fa. Il caso De Maria oggi è chiuso, per intervenuta morte del reo. Non così per le coscienze di quei magistrati che hanno consentito che tutto questo potesse avvenire.

 

 

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Michele Bartolo

Avvocato civilista dall'anno 2000, con patrocinio dinanzi alle giurisdizioni superiori dal 2013, ha svolto anche incarichi di curatore fallimentare, custode giudiziario, difensore di curatele e di società a partecipazione pubblica. Interessato al cinema, al teatro ed alla politica, è appassionato di viaggi e fotografia. Ama guardare il mondo con la lente dell'ironia perché, come diceva Chaplin, la vita è una commedia per quelli che pensano.

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