Habent Papam e forse habemus Pontificem

di Giuseppe Moesch*

La comunità Cattolica è in tripudio per aver nuovamente il suo capo spirituale dopo la morte di Francesco; Piazza San Pietro era piena di fans, tuttavia leggermente perplessi all’annuncio del nome Prevost.
Quasi nessuno in quella Piazza sapeva chi fosse l’Uomo, e tanto meno il Cardinale, che aveva deluso le attese alimentate dal provincialismo dei media del nostro Paese che avevano stabilito che ci sarebbe dovuto essere un Pappa italiano e continuatore del non lavoro di Francesco.

Il Conclave invece, e direi forse con la complicità dello Spirito Santo, ha saputo fare emergere la qualità di una classe dirigente di 133 membri, ma con la consulenza degli altri 117 non votanti, che però hanno potuto esprimere con autorevolezza il loro pensiero durante le riunioni preparatorie.

La Chiesa, anche nei suoi periodi più difficili, ha saputo tenere ben fermi alcuni principi e tra questi l’accoglienza di tutti ma la selezione su base assolutamente meritocratica della propria classe dirigente, per cui i vertici, ancorché appartenenti a differenti gruppi o cordate o scuole di pensiero o quant’altro si voglia, ha sempre espresso fini pensatori, filosofi e politici di gran vaglia.

Le parentesi populistiche derivate dalla paura di perdere ruolo e consenso, ha spinto la Chiesa verso soluzioni tese alla “captatio benevolentiae” adattandosi in alcuni casi alle scelte secolari, come nel caso del defunto Papa, ma di fronte a pericoli per l’intera collettività, si pensi alle guerre in corso ed emergenti la crescita di autocrati un po’ dappertutto, compreso in Paesi che fino a poco tempo prima sembravano pseudo democratici, dopo la tragedia della seconda guerra mondiale, compresa l’evoluzione dell’Unione Sovietica e le apertura della Cina, ha messo i Cardinali difronte alle responsabilità derivanti dal proprio ruolo.

Il Papa che hanno scelto risponde a queste necessità; i simboli espressi dal nuovo Primate a cominciare dall’abito, all’indirizzo rivolto ai fedeli in lingua italiana e spagnola ma non nella sua propria, cioè l’inglese, il nome scelto, e la stessa appartenenza di fede essendo un Agostiniano, ed infine il nome Leone, sono altrettanti inequivocabili segnali del fatto che si è deciso di mettere dei paletti, che non significano ritorno al passato ma di ripresa del controllo della situazione con l’autorevolezza necessaria per rimetter ordine.

La reazione a freddo di ottusi commentatori critici sulla contemporanea presenza di un altro autorevole statunitense in presenza di Trump, non hanno saputo comprendere che si trattava di una diga, ed il ricordo della comunità peruviana dove aveva esercitato la propria attività missionaria, è l’esempio più chiaro della volontà di difendere le popolazioni più deboli dal prepotente connazionale e non solo.

La ripresa dei simboli del potere rappresentati dalla corale con talare bianca e fascia terminante con i fiocchi, rocchetto e mozzetta in seta rossa, con gli ori anche essi inequivocabili segni, indicano la scelta di ritornare alla serietà e alla consapevolezza del ruolo che quella figura rappresenta.

La scelta del nome Leone, per l’ultima volta scelto da Vincenzo Pecci, salito al soglio nel 1878 in un periodo di grandi trasformazioni socio politiche; scrisse ben 86 tra le quali la più famosa fu la “Rerum Novarum”, che è alla base della dottrina sociale della Chiesa, facendolo definire i Papa delle encicliche ma anche dei lavoratori.

Sono segnali inequivocabili di riscatto e di resipiscenza, significa che la scelta dei 133 elettori ha superato la miseria di modeste ambizioni locali o di parte, condizionate dai social a da politici di quart’ordine.

Gli 1,4 miliardi di cattolici potranno dire “Habemus Papam”, ma forse tutti gli altri potranno dire habemus Pontificem, ricordando che a Roma il titolo spettava a chi curava il ponte sul Tevere, ed è un pontiere quello di cui avremo bisogno per uscire da questa decadenza morale, dalla perdita di valori a cominciare dalla rinuncia della famiglia, della scuola e della politica da accattoni.

*già Professore Ordinario presso l’Università degli Studi di Salerno

 

 

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Giuseppe Moesch Giuseppe Moesch

Giuseppe Moesch

Napoletano, già professore ordinario di Economia Applicata, prestato alla politica ed alle istituzioni nazionali ed internazionali, per le quali ha svolto incarichi e missioni viaggiando in quasi cinquanta Paesi attraversando l’umanità che li popola. Oggi propone le sue riflessioni scrivendo quando non riesce a capire quelle degli altri.

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