29 luglio 1983: la Mafia uccide Rocco Chinnici, padre del Pool Antimafia di Palermo
di Claudia Izzo-
Una Fiat 126 verde fu imbottita con 75 Kg di esplosivo davanti all’ abitazione di Rocco Chinnici in via Giuseppe Pipitone Federico, a Palermo. Era il 29 Luglio 1983 ed erano le 8 di mattina. Ad azionare il telecomando da un cassone di un furgone rubato, parcheggiato nelle vicinanze, che provocò l’esplosione fu il boss Antonino Madonia. Rocco Chinnici aveva affermato: «La cosa peggiore che possa accadere è essere ucciso. Io non ho paura della morte e, anche se cammino con la scorta, so benissimo che possono colpirmi in ogni momento. Spero che, se dovesse accadere, non succeda nulla agli uomini della mia scorta. Per un Magistrato come me è normale considerarsi nel mirino delle cosche mafiose. Ma questo non impedisce né a me né agli altri giudici di continuare a lavorare.»
Chinnici moriva all’età di 58 anni, con lui altre tre vittime raggiunte in pieno dall’esplosione: il maresciallo dei Carabinieri Mario Trapassi e l’appuntato Salvatore Bartolotta, componenti della scorta del magistrato, e il portiere dello stabile di via Pipitone Federico in cui Chinnici viveva, Stefano Li Sacchi. L’unico superstite fu l’autista Giovanni Paparcuri. Ad accorrere furono per primi i due dei figli di Chinnici, Elvira e Giovanni, rispettivamente di 24 e 19 anni. Nel 2002 poi, dopo un ventennale iter processuale, come mandanti dell’attentato vengono condannati i vertici della “Cupola”: Salvatore Riina, Bernardo Provenzano, Raffaele Ganci, Antonino Geraci, Giuseppe Calò, Francesco Madonia, Salvatore Buscemi, Salvatore Montalto, Matteo Motisi, Giuseppe Farinella) e, come esecutori materiali, Antonino Madonia, Calogero Ganci, Stefano Ganci, Vincenzo Galatolo, Giovanni Brusca, Giuseppe Giacomo Gambino, Giovan Battista Ferrante, Francesco Paolo Anzelmo.
Nel 1980 Cosa nostra uccise il capitano dell’Arma dei Carabinieri Emanuele Basile e il procuratore Gaetano Costa, amico di Chinnici. Dopo questo omicidio, Chinnici ebbe l’idea di istituire una struttura collaborativa fra i magistrati dell’Ufficio, insieme agli amici e colleghi magistrati Antonino Caponnetto, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino costituì il Pool Antimafia dando vita ad una decisiva svolta alla lotta contro la Mafia.
Nato a Misilmeri nel 1925 entrò nella magistratura nel 1952 arrivando a Palermo nel 1954. Appena nel 1957 gli fu assegnato il caso della cosiddetta “strage di viale Lazio”: questa terribile pagina della storia della mafia palermitana vide un commando di killer composto da Salvatore Riina a dirigere le operazioni a bordo di un’automobile, Bernardo Provenzano e Calogero Bagarella della cosca di Corleone, Emanuele D’Agostino e Gaetano Grado della cosca di Santa Maria di Gesù, e Damiano Caruso della cosca di Riesi, irrompere, con addosso uniformi da militari della Guardia di Finanza, in viale Lazio, negli uffici del costruttore Girolamo Moncada nel covo del boss Michele Cavataio, detto Il Cobra, capo della famiglia dell’Acquasanta, ritenuto colpevole di avere scatenato la guerra fra le famiglie mafiose. Tra le indagini che curò vi è l’ “inchiesta Spatola”, che riguardava una pericolosa banda di trafficanti internazionali di eroina, coordinò anche le scottanti inchieste sui “delitti politici” del segretario provinciale della DC Michele Reina, del Presidente della Regione Siciliana Piersanti Mattarella, del segretario regionale del PCI Pio La Torre e del Prefetto di Palermo Carlo Alberto dalla Chiesa.
Dopo la strage, i familiari di Chinnici trovarono un’agenda su cui il magistrato annotava tutta la situazione che viveva e la pubblicazione di ampi stralci sulla stampa causò non poco imbarazzo e preoccupazione nelle Istituzioni e negli uffici giudiziari coinvolti.
