Quarto incontro con gli autori de “La primavera fuori. 31 scritti al tempo del Coronavirus”

Clotilde Baccari commenta i 31 scritti de “La primavera fuori”-

Cinque i webinar organizzati dal direttore di  salernonews24 e  presidente dall’associazione culturale Contaminazioni, Claudia Izzo, dedicati al libro, La primavera fuori, 31 scritto al tempo del Coronavirus, (Il pendolo di Foucault) i cui  proventi della vendita saranno devoluti all’Azienda Ospedaliera San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona, di Salerno, reparto di Terapia Intensiva, con l’acquisto di un’attrezzatura specifica.
Il libro, in vendita  presso la libreria Imagine’s Book in Corso Garibaldi a Salerno, il Portico di Lisa, l’edicola libreria Scacciaventi in Corso Umberto a Cava de’ Tirreni e contattando la curatrice, ideato innanzi alle immagini del 18 marzo 2020, dei mezzi blindati a Bergamo che trasportavano le bare con le vittime di Coronavirus, è stato al centro di cinque incontri nell’ambito dei quali la professoressa Clotilde Baccari ha approfondito i contenuti dei singoli racconti.
Durante il quarto   webinar sono stati analizzati i racconti di Francesco Fiorillo, Irene La Mendola, Alfonso Gargano, Giuseppe Pisacane, Valeria Saggese, Nicola Carrano, Umberto Mancini, Lina Esposito, Marco Nitto, Tina Cacciaglia, Nicola Olivieri.
È incredibile quello che è successo e che persiste nella tragica atmosfera pandemica. Un silenzio innaturale, quello descritto da Francesco Fiorillo nel suo racconto, il cielo incolore, il tempo cristallizzato. Un sogno lucido. Non è così, non è un sogno e lentamente si arriva alla ratifica della realtà, alla  consapevolezza della tragica situazione senza neanche pensare di raccontarla ora ma nella prospettiva di raccontare un giorno quello che sembrò un sogno tanto era incredibile. La storia è narrata con un ritmo in sospensione che risponde alla incredulità del lettore rispetto alla paradossale situazione in cui si viene a trovare. Il linguaggio riesce a rendere il suo stato d’animo nell’utilizzo di termini che rendono la realtà evanescente: un silenzio innaturale, nessun suono, nessuna voce, il cielo incolore e in tutto questo la speranza di potere all’altra raccontare con un volto scoperto e con il sorriso sulle labbra. È solo una speranza perché siamo ancora in piena pandemia.

Una narrazione felicemente capovolta, questa che leggiamo in cui  Irene La Mendola è più veloce del virus e lo batte sul tempo  spostandosi  cronologicamente in avanti  rispetto a quell’ormai  lontano 11 marzo del 2020. Strade affollate, negozi frequentati, traffico congestionato: la protagonista, sta  percorrendo la strada per ritornare a casa dal luogo di lavoro, il tribunale della sua città. Intanto le tornano alla memoria i mesi sofferti e dolorosi del Coronavirus  vissuti già molti anni prima, ricorda di aver fatto lo stesso percorso anche quel giorno di  alcuni  anni addietro in cui, recatasi dal giudice per una causa da dibattere  le fu intimato di presentare le sue difese per iscritto: le strade vuote, un silenzio tombale, il parcheggio deserto, i negozi chiusi. Sembra  un sogno, un film, ma la morte ha segnato il passo di quei giorni   tristemente esistiti e dolorosamente ricordati per aver tolto a ciascuno  qualcuno o qualcosa.

Il poeta, Alfonso Gargano, nei suoi versi esprime la lacerazione esistenziale di una morte senza conforto e la consapevolezza del dono che l’uomo sa  fare  di sé  in situazioni particolari. I primi versi ritraggono i volti stanchi ,le mani sicure e il coraggio del personale sanitario nel curare gli ammalati di Covid. Nei versi che seguono, con amorevole trasporto l’autore  entra nella solitudine degli ammalati, li descrive con gli occhi che cercano certezza, desiderosi di una parola, di una carezza da parte di un proprio caro.E’ allora che gli angeli del capezzale diventano figli, mogli, mariti pronti ad un dono d’amore a quanti soli e impauriti a loro affidano le ultime parole madide di nostalgia  e le confessioni che già in quel loro tragico destino  hanno trovato perdono… Angeli con abiti strani, senza ali, al fianco di moribondi sconosciuti ma degni di devozione, di quella pietas che ha origine da una lezione di dignità e   di rispetto molto antica. Poesia essenziale nel lessico fatto di parole compiute e nette che stagliano nell’animo del lettore un dolore senza  consolazione, o forse no,c’è un conforto in tanta sofferenza, la bontà dell’uomo.

Il silenzio costante, descritto da Giuseppe Pisacane,  non lascia distinguere  la notte dal giorno:  gli sguardi dai balconi, i tricolori che sventolano poi i cori degli italiani. Questa notte finirà… Sorgerà un nuovo giorno in cui tutto questo sarà solo un racconto per i nostri nipoti.

Chiede aiuto per salvarsi, a chi? A cosa? Alla fantasia, viaggiando pur restando lì nella casa. Valeria Saggese sottolinea quanto sia  grande di fronte alla morte di tante persone e di amici La radio… è un modo ulteriore per andare lontano e poi… Le voci lontane che apprezzano i tuoi programmi… La forza della vita vince  e la creatività aiuta la  spirito di sopravvivenza anti diventa gratificante  portandoci fuori dallo sconforto.

Gli antichi detti trovano sempre riscontro nella esperienza esistenziale, “anno bisesto …anno funesto”, ricorda Nicola Carrano nel suo racconto. Riscoprire se stessi e la propria forza, la paura del contagio, la necessità di uscire per le prime necessità, per la spesa… Incredibile. Mancano le solite abitudini, la speranza che quello che stiamo vivendo possa finire, che qualcosa possa cambiare, possa cambiare  per noi,che si tornerà alla normalità ma  non sappiamo più cosa significhi normalità.

Le stranezze sono tante in quest’anno. Le avverte anche la cagnetta protagonista del racconto di Umberto Mancini, stupita per la continua presenza dei suoi padroni  sempre in casa, non tollera il loro alzarsi tardi, le loro questioni, il televisore sempre acceso, il loro indossare sempre la mascherina e la strana tosse ad uno di loro, l’arrivo di strani uomini con strane tute. Purtroppo la cagnetta vive questa atroce realtà, vorrebbe aiutare  i suoi padroni ma non ha il dono della parola perché se così fosse stato li  avrebbe rassicurati dicendo ” tutto andrà bene “

Non riconoscersi, la difficoltà di rapportarsi agli altri,  la loro  insopportabile insofferenza, un venticello leggero e silenzioso, la Salbora, arriva silenzioso e repentino  così come è arrivato il coronavirus. Luoghi obbligati quelli del racconto di Lina Esposito, i soliti necessari negozi e poi disinfettare gli acquisti, realizzare la svestizione una volta a casa. La ripetitività delle azioni… Una serie di comportamenti nuovi  ma  obbligati che ci hanno  cambiato. Eppure  la natura non è stata sconvolta da questa tragedia…,nulla è cambiato in essa . La primavera bussa alle porte…

Lotta per la sopravvivenza: granchio blu ,lo scorpione rosso, e il roditore bianco ,la necessità dell’altruismo, quella di mettere da parte la rabbia. Marco Nitto parte delle tante piccole realtà per trarre importanti insegnamenti che fanno grande  il nostro mondo

Epidemia di peste a Napoli 1653, protagonista del racconto di Tina Cacciaglia, Nitta,  una giovane lazzara napoletana. Descrizione fisica degna della narrativa classica che riporta alle al ritmo di Scott e di Manzoni. I concetti  fondamentali  del racconto sono la capacità umana  di rimozione, la centralità della parola affidata  dalla autrice alla narrazione, la forza della scrittura,   la forza della sopravvivenza a tragedie ponderose come una devastante epidemia  e l’amara constatazione che, nel dolore, l’uomo di oggi pensa alla sua disgrazia  in modo non diverso da  chi l’ha vissuta prima di lui. L’ autrice attraverso il personaggio di Nitta ricorda che quello che si è vissuto un tempo non è narrazione ma è vita vissuta. Il limite dell’uomo  consiste  nella ineluttabilità dell’errore. Nonostante tutti i buoni propositi, dopo le più grandi tragedie, si torna quelli di sempre e si continua a concentrare l’attenzione sull’oggi e solo su se stessi, trascurando la continuità dell’ essere.

La propria casa, la terrazza con la bellezza del golfo di Napoli, la possibilità di prestare attenzione ai particolari, ora che di tempo ne  abbiamo tempo; tutto questo nel racconto di Nicola Olivieri. Un giardino  in tutta la sua bellezza: la bellezza del vento sulle piante, i profumi, i sensi si acuiscono, il miagolio dei gatti. Il pensiero vola ad  una  vicina impedita per l’età alla quale il protagonista non aveva mai pensato. Solo in questo momento l’autore  pensa alla difficoltà della donna per  procurarsi quanto serve in questo momento di pandemia. Il miracolo  della pandemia:  risvegliare l’attenzione verso i più fragili, l’altruismo e la comprensione. Il ritmo e la narrazione  del racconto conducono il lettore  a gradevoli scoperte e ad  insolite riflessioni.

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