A Tempi Moderni i “Salti della comunicazione”

di Camilla Masullo-

Giovedì 24 aprile, nella suggestiva cornice di Palazzo Fruscione, l’associazione culturale Tempi Moderni ha proseguito il suo percorso di riflessione sui linguaggi visivi contemporanei, partendo dall’estetica e dal pensiero di Philippe Halsman. Celebre per la sua capacità di restituire attraverso il gesto del salto – la cosiddetta jumpology – l’espressione autentica delle emozioni, Halsman ha ispirato l’ evento Salti della comunicazione – in dialogo con Massimo Cerulo e introdotto da Alfonso Amendola – che ha indagato il concetto di “salto” nel campo della comunicazione.

Protagonisti dell’incontro sono stati Gabriele Balbi, docente e storico dei media, e Massimo Cerulo, sociologo delle emozioni presso l’Università Federico II di Napoli e la Sorbona di Parigi. Il dibattito si è snodato a partire da un’affascinante premessa etimologica: come ha ricordato Cerulo, il termine salto deriva da salire, anticamente associato all’idea di ballare, suggerendo un passaggio, un cambiamento di stato, un movimento liberatorio.

Balbi ha guidato il pubblico attraverso un articolato excursus sui salti che hanno scandito la storia della comunicazione, ripercorrendo cinquemila anni di innovazioni.
Dal primo, rivoluzionario passaggio, l’ invenzione della scrittura – già oggetto di dibattito nel Fedro di Platone, dove si coglieva la paura che la scrittura avrebbe indebolito la memoria orale – ai successivi salti tecnologici, come la stampa a caratteri mobili nella seconda metà del Quattrocento, e l’esplosione delle telecomunicazioni nell’Ottocento: il telegrafo, la telefonia, la fotografia.

In particolare, il telegrafo – precursore degli attuali sistemi di messaggistica istantanea, come Whatsapp – e il telefono hanno segnato un’accelerazione senza precedenti nella trasmissione delle informazioni, pur richiedendo decenni per una diffusione capillare nella società. Un punto chiave emerso dall’incontro è stato proprio questo: non è l’invenzione a fare la rivoluzione, ma il suo uso sociale. Basti pensare che il massimo picco di abbonamenti telefonici fissi si è registrato solo nel 2006, ben oltre un secolo dopo la loro invenzione.

Tra i salti più significativi nella storia della comunicazione visiva, un posto di rilievo spetta alla nascita della fotografia popolare. Nel 1888, George Eastman fonda la Eastman Kodak Company, destinata a rivoluzionare profondamente il rapporto tra le persone e l’immagine.
Il nome Kodak, privo di significato semantico, venne scelto proprio per la sua sonorità immediata e internazionale, facilmente pronunciabile in ogni lingua del mondo: una scelta che, già di per sé, segnala una nuova consapevolezza globale nella cultura d’impresa e della comunicazione.

Con lo slogan epocale “You press the button, we do the rest” (“Tu premi il bottone, noi facciamo il resto”), Eastman intendeva abbattere la distanza tra il pubblico e la tecnologia fotografica, fino ad allora dominio di specialisti. La Kodak democratizza l’atto del fotografare: non è più necessario essere tecnici esperti o possedere competenze complesse.
Basta un gesto semplice – premere un bottone – per catturare un momento della propria vita.

Questo rappresenta un salto radicale non solo sul piano tecnologico, ma anche culturale e sociale. La fotografia diventa pratica quotidiana, linguaggio emozionale diffuso, strumento di costruzione dell’identità privata e collettiva.
La macchina fotografica Kodak segna così l’inizio della cultura della memoria personale visiva, prefigurando il ruolo che oggi svolgono gli smartphone e i social media nella costruzione e nella condivisione delle narrazioni di sé.

Nel Novecento, con la radio e la televisione, il salto diventa culturale oltre che tecnologico. I nuovi media, definiti broadcasting (dal linguaggio agricolo, “seminare a larga scala”), trasformano radicalmente l’esperienza domestica, creando un “focolare elettronico” che unisce famiglie attorno a eventi vissuti simultaneamente, abbattendo le barriere spazio-temporali – come emblematicamente accaduto durante la diretta del crollo delle Torri Gemelle, attraverso una simultaneità despazializzata.

Proseguendo il viaggio, Balbi ha descritto l’avvento del digitale: il computer, Internet e la telefonia mobile, con il primo telefono Motorola e il leggendario – e indistruttibile –  Nokia 3310. Con il Web reso pubblico nel 1993, si apre l’era della connettività globale e della comunicazione “always on”.

Tuttavia, sottolinea Balbi, la storia dei media non è una linea evolutiva orizzontale. È costellata di salti invisibili (come l’invenzione dell’elettricità), salti falliti (tecnologie che non hanno avuto impatto), salti prolungati (come l’affermazione della telefonia fissa) e persino salti all’indietro, con il ritorno contemporaneo al vinile, alla fotografia analogica, alle videocassette.
Non tutte le innovazioni, infatti, sono rivoluzionarie: alcune vengono vendute come tali, ma si rivelano marginali nella trasformazione reale delle pratiche quotidiane.

Come ha ricordato Balbi, i mezzi di comunicazione non muoiono mai: si trasformano, si adattano, ma continuano a vivere dentro nuovi contesti culturali ed emotivi.

In questo percorso di “salti”, l’associazione Tempi Moderni ha saputo offrire un’occasione preziosa per ripensare criticamente il nostro rapporto con l’evoluzione dei media: tra accelerazioni, nostalgie e resistenze, ricordandoci che – in fondo – ogni salto è una scommessa sul futuro.

 

Fotografia a cura di Tiziana Varani. Associazione Culturale LAB 147