Terzo Settore e Volontariato, intervista al Prof Porfidio Monda, UNISOB

-di Claudia Izzo

Presso la Casa del Volontariato di Salerno si è tenuta la due giorni dal titolo “Quale ruolo per il Terzo Settore nelle case della comunità. La riforma dell’assistenza territoriale  e il ruolo del volontariato e del terzo Settore: le missioni 5 e 6 del PNRR e le case della comunità”.

Sono stati due giorni di coinvolgimento del Terzo Settore e del Volontariato della provincia di Salerno tra interventi, riflessioni e confronto su un tema attuale che, soprattutto dopo la pandemia merita il coinvolgimento delle risorse del territorio.

Ne parliamo con Porfidio Monda, docente di Gestione dei Servizi Sociali Università Suor Orsola Benincasa, Napoli, coordinatore scientifico degli incontri svolti.

Parliamo di Casa della comunità senza la comunità?

La crisi del sistema prestazionale delle cure. La pandemia da Covid – 19 ha evidenziato i limiti della nostra sanità territoriale, totalmente inadeguata non solo a gestire un’emergenza epidemiologica ma anche le attività sanitarie di base.

L’emergenza pandemica è stato lo stress test che ha reso evidente la totale assenza di una infrastruttura sanitaria territoriale in grado di riempire il vuoto esistente tra l’abitazione degli utenti e l’ospedale e di impedire, in assenza di alternative valide, il collasso dei pronto soccorso ospedalieri, con la conseguente inflazione di ricoveri impropri.

Eppure erano già diversi anni che l’emergenza ospedaliera e gli stessi ospedali erano in costante sofferenza e le liste di attesa in costante aumento. Come erano anni che il rimpiazzo del turn-over del personale sanitario era in costante diminuzione.

Stiamo scoprendo adesso inoltre che il numero chiuso nelle nostre facoltà di medicina sta provocando la carenza cronica di medici e infermieri e che diverse aree del nostro Paese si ritrovano prive di medici di base. Purtroppo, al di là di quello che pensano i sovranisti nostrani,  stiamo già importando medici e infermieri dal Terzo Mondo.

La pandemia ha semplicemente acceso i riflettori su carenze preesistenti prodotte da difetti di programmazione causati da una concezione del sistema sanitario nazionale che non ha tenuto conto del mutamento demografico intervenuto negli ultimi vent’anni del nuovo secolo.

Il nostro sistema sanitario è stato costruito nella seconda metà del secolo scorso in un contesto demografico ancora ad alta natalità e a basso indice di vecchiaia, in cui la priorità era la cura dell’acuzie e non della cronicità.

Il mondo che ci si sta prospettando è invece caratterizzato dalla crescita progressiva della cronicità dovuta all’aumento esponenziale della popolazione anziana e disabile e dalla necessità di prendersi cura di persone il cui obiettivo non è la guarigione ma la gestione delle patologie cronico-degenerative per continuare ad assicurare il loro funzionamento sociale.

Si sta procedendo verso la medicina di comunità ?

Se nella dimensione ospedaliera la componente sociale del percorso di cura è comprensibilmente residuale non è così nella dimensione territoriale e domiciliare dove l’inclusione sociale è essa stessa parte della cura.

Ovviamente la sanità ospedaliera resta più che mai necessaria, ma in un contesto caratterizzato da alti tassi di cronicità, per funzionare bene deve poter contare su una efficiente sanità territoriale, in grado di filtrare la domanda di cure ospedaliere solo per le acuzie e di evitare il moltiplicarsi dei ricoveri impropri.

Contemporaneamente la medicina di territorio per funzionare bene ha bisogno del supporto dei servizi sociali e dei soggetti della solidarietà sociale.

Gran parte della Missione 6 /Salute del PNRR è stata pensata per agevolare la transizione verso questa nuova concezione del sistema delle cure territoriali:

– potenziamento dell’assistenza domiciliare integrata (10% della popolazione over 65 entro il 2026):

– realizzazione di una Casa della comunità ogni 40.000 abitanti:

– realizzazione di una Centrale Operativa Territoriale (COT) ogni 100.000 abitanti;

– realizzazione di un ospedale di comunità ogni 100.000 abitanti:

– adozione della medicina digitale per assicurare il monitoraggio domiciliare dei pazienti cronici;

– reclutamento un infermiere di comunità ogni 2-3000 abitanti.

Sul versante sociale, la Missione 5 /Inclusione sociale del PNRR, il Piano nazionale sociale e il Piano nazionale per le non autosufficienze prevedono lo stanziamento di risorse:

  • per la de-istituzionalizzazione degli anziani e dei disabili mediante la sperimentazione del co-housing e/o il potenziamento della componente sociale dell’assistenza domiciliare in integrazione con i servizi sanitari;
  • per l’attivazione delle dimissioni protette;
  • per il LEPS (livello essenziale di prestazioni sociali) 1 assistente sociale ogni 5000 abitanti;
  • per il LEPS progetto individuale multidimensionale (incluso i PTRI, i progetti Vita indipendente e Dopo di noi per le persone disabili).

Il servizio nazionale arriva fino ad un certo punto, poi diventa fondamentale un discorso di inclusione passando così dal  paradigma prestazionale al paradigma relazionale …

Insomma, la programmazione PNRR e i Piani nazionali sociali e per la non autosufficienza, stanno disegnando la riforma dei servizi territoriali delle cure sociosanitarie con l’obiettivo di dotare i territori del sistema sociosanitario dei servizi di cui tutti avvertono il bisogno per ridare centralità al territorio rispetto all’ospedale, rilanciare la prevenzione per prevenire la cronicità, potenziare i servizi domiciliari e di riabilitazione per la lungo-assistenza.

Bisogna prendere atto però che questo complesso processo di riforma non consiste in un mero travaso di risorse da un servizio a un altro, né in un banale potenziamento di servizi già esistenti anche se sottodimensionati, ma di una vera e propria transizione culturale da una concezione della cura propria della medicina tradizionale, molto autoreferenziale e centrata sulla dimensione prestazionale, a una concezione olistica della cura, propria della medicina di comunità, maggiormente orientata alla dimensione relazionale e all’integrazione socio-sanitaria.

Purtroppo ancora oggi, nel nostro sistema sanitario, la dimensione sociale dei processi di cura è relegata ai margini e la medicina di comunità è sempre seconda nei piani di intervento, nella distribuzione del personale, nella gestione quotidiana del lavoro. Il fenomeno è palese nei Distretti, organismi deputati all’integrazione, e il fatto che proprio qui il lavoro sociale non riesca a svilupparsi come atteso dai cittadini e richiesto dalle enunciazioni programmatiche, segnala un limite culturale sistemico al quale bisogna porre rimedio per evitare il fallimento della riforma in atto.

Il processo di riforma appena iniziato risulta infatti ancora fortemente centrato sul problema della spesa, affrontato solo sul versante della sostenibilità finanziaria, quando invece bisogna guardare in positivo alle risorse possedute dal cittadino: conoscenze, capacità, motivazioni, rapporti sociali e tutto ciò che la persona e la stessa comunità locale sono in grado di mobilitare per procurare salute.

Per fare ciò bisogna superare il paradigma prestazionale tipico della sanità ospedaliera, spesso adottato in maniera inconsapevole, anche laddove non solo non funziona ma diventa addirittura dannoso.

Ci sono momenti, importanti ma circoscritti, in cui il servizio sanitario nazionale  deve lavorare con un soggetto in fase di acuzie, affidato alle cure dei professionisti sanitari. Il paradigma prestazionale ha grande efficacia nelle situazioni di crisi acuta, ma solo in queste. Risulta debole nella prevenzione, nella riabilitazione, nella lungo-assistenza e nella cura delle malattie psico-somatiche. In questi casi conta potenziare i punti di forza e le riserve di salute e non centrare la cura solo sulla parte malata della persona. Bisogna aiutare il paziente a scoprire il suo potenziale e cercare di rinforzare la sua voglia di star bene. E a tal fine conta molto più il percorso di inclusione sociale e i contesti relazionali.

Il concetto di “appropriatezza” non appartiene solo al sapere scientifico, ma include la sostenibilità sociale, ovvero il sapere e il saper fare di tutti coloro che hanno incidenza sulla guarigione. Ascoltare quello che il soggetto sa di se stesso, dargli strumenti per diventare esperto di salute insieme ai familiari, mobilitare il mondo in cui vive: non c’è scorciatoia, pena la perdita di efficacia.

La guarigione è prevalentemente un percorso dalla dipendenza all’autonomia. Cronicizzare la dipendenza (dai medici, dai farmaci, dai servizi sociali, ecc.) è l’esatto opposto della guarigione. La cronicità non guarisce, ma si può convivere con le patologie e continuare a svolgere in autonomia la propria vita, a condizione di poter contare su un sistema di servizi che sostiene e agevola tale percorso.

L’efficacia di questo approccio metodologico è universalmente riconosciuto, tanto dall’esperienza comune quanto nella letteratura scientifica. Mentre in fase acuta l’appropriatezza è misurata soltanto sulla scienza medica, in tutti gli altri casi assume anche una valenza sociale.

Cosa si intende per  “case della comunità” ?

Le Case della Comunità (CdC), previste dal PNRR sono le nuove strutture socio-sanitarie che entreranno a far parte del Servizio Sanitario Nazionale nell’intento di traghettare il sistema sanitario verso la medicina di comunità.

(sono descritte nel DM 77 del 23 maggio 2022, pubblicato sul numero 144 della Gazzetta Ufficiale).

Il progetto del Ministero della Salute si pone infatti l’obiettivo di potenziare e sviluppare l’assistenza sanitaria territoriale nel SSN implementando nuovi modelli organizzativi e ridefinendo le funzioni e il coordinamento delle realtà già presenti nel territorio.

Il Decreto distingue due modelli organizzativi per le Case della Comunità: le Case della Comunità hub e le Case della Comunità spoke. Le prime sono le strutture di riferimento, dovranno essere presenti ogni 40.000-50.000 abitanti, e articoleranno la loro azione in modo capillare nel territorio attraverso le Case della Comunità spoke e gli ambulatori dei Medici di Medicina Generale (MMG) e dei Pediatri di Libera Scelta (PLS).

Il D.M. definisce le case della comunità come il luogo fisico, di prossimità e di facile individuazione al quale l’assistito può accedere per poter entrare in contatto con il sistema di assistenza sanitaria. In esse si prevede un modello di intervento multidisciplinare e al suo interno si troveranno équipe multiprofessionali composte da Medici di Medicina Generale, Pediatri di Libera Scelta, Specialisti Ambulatoriali, Infermieri, Psicologi e Assistenti sociali..

La Cdc hub deve obbligatoriamente garantire:

  • Presenza medicah24 – 7 giorni su 7 anche attraverso l’integrazione della Continuità Assistenziale.
  • Presenza infermieristicah12 – 7 giorni su 7 (fortemente raccomandata la presenza infermieristica h24 – 7 giorni su 7).
  • Équipe multiprofessionali(Medico di Medicina Generale, PLS, Continuità Assistenziale, Specialisti Ambulatoriali Interni (SAI) e dipendenti, Infermieri e altre figure sanitarie e socio sanitarie).

La Cdc spoke deve obbligatoriamente garantire:

  • Presenza medicah12 – 6 giorni su 7 (lunedì-sabato).
  • Presenza infermieristicah12 – 6 giorni su 7 (lunedì-sabato).
  • Équipe multiprofessionali(MMG, PLS, Specialisti Ambulatoriali Interni (SAI) e dipendenti, Infermieri e altre figure sanitarie e socio sanitarie).

I servizi obbligatoriamente erogati dalle CdC hub sono:

  • Servizi di cure primarie
  • Servizi di assistenza domiciliare
  • Servizi di specialistica ambulatoriale per le patologie ad elevata prevalenza (cardiologia, diabetologia, pneumologia, ecc.)
  • Punto prelievi
  • Servizi infermieristici
  • Sistema integrato di prenotazione collegato al CUP aziendale
  • Integrazione con i Servizi Sociali
  • Continuità assistenziale
  • Servizi diagnostici di base (ad esempio ecografiaECGspirometria, tomografia ottica computerizzata (OCT), retinografia, ecc).

Sono invece facoltativi:

  • Servizi per la salute mentale, le dipendenze patologiche e la neuropsichiatria infantile e dell’adolescenza
  • Attività consultoriali
  • Programmi di screening
  • Attività di profilassi vaccinale
  • Medicina dello Sport.

I servizi obbligatoriamente erogati dalle CdC spoke sono:

  • Servizi di cure primarie
  • Servizi di assistenza domiciliare
  • Alcuni servizi di specialistica ambulatoriale per le patologie ad elevata prevalenza (cardiologia, diabetologia, pneumologia, ecc)
  • Servizi infermieristici
  • Sistema integrato di prenotazione collegato al CUP aziendale
  • Integrazione con i Servizi Sociali
  • Collegamento con la Casa della Comunità hub di riferimento.

Sono invece facoltativi:

  • Punto prelievi
  • Continuità assistenziale
  • Servizi diagnostici di base (ad esempio ecografiaECGspirometria, tomografia ottica computerizzata (OCT), retinografia, ecc)
  • Servizi per la salute mentale, le dipendenze patologiche e la neuropsichiatria infantile e dell’adolescenza
  • Attività consultoriali
  • Programmi di screening
  • Attività di profilassi vaccinale
  • Medicina dello Sport.

 Qual è il ruolo della comunità locale, del Terzo Settore e del volontariato

Il passaggio dal paradigma prestazionale (un corpo senza storia) al paradigma relazionale (un corpo in relazione) comporta il passaggio dalla centralità ospedaliera alla centralità del territorio, e in particolare alla centralità delle comunità locali, dei soggetti che le costituiscono e delle relazioni che intrattengono.

Nei mondi del welfare territoriale, lavorare nel sociale significa tessere reti e sperimentare alleanze, non solo operative ma di senso. Perché per fronteggiare la complessità dei problemi del vivere sociale – malattia, solitudine, povertà, fragilità diffuse, non basta la delega ai professionisti, ma serve l’attivazione delle reti di solidarietà e di prossimità.

La medicina di comunità si caratterizza proprio per la sua dimensione relazionale e perciò lavora in stretta integrazione con i servizi sociali territoriali e con la reti di comunità. Comunità solidali si sono rivelate più resilienti alla pandemia e più inclusive con i soggetti maggiormente vulnerabili.

Nell’elencazione dei servizi presenti nelle case di comunità continua purtroppo ad essere assente la comunità, i suoi soggetti e il suo patrimonio di relazioni. Segno che chi ha declinato gli elenchi continua a ragionare in un’ottica prestazionale. Direi che si tenta di costruire il mondo che non c’è ancora con la testa ancora rivolta al mondo che non c’è più.

La riforma purtroppo non potrà essere una somma di servizi da erogare perché il tema non è di natura computazionale ma cognitivo. Dovremmo centrare la nostra attenzione non sul servizio ma sulla relazione tra questi, i destinatari e la comunità in cui tutti conducono la propria vita di relazione. Dovremmo ragionare più sul come che sul cosa e abituarci a dialogare di più con la differenza (di culture, di comportamenti, di metodi, ecc.).

Come possiamo pensare che possa esistere una casa della comunità senza che in essa trovi posto la comunità. L’insieme di quei soggetti che hanno garantito tanti servizi durante la pandemia e hanno assicurato la tenuta sociale dei territori? L’insieme di quei soggetti di terzo settore ai quali tuttora vengono delegate tantissime attività di cura per le persone in carico ai servizi sociosanitari, dai servizi domiciliari alle strutture diurne e residenziali, ecc.?

 

 

Claudia Izzo Claudia Izzo

Claudia Izzo

Giornalista dal 2005, Direttore di salernonews24.it, fonda e dirige campanialife.it, cetaranotizie.com. Presidente dell’Associazione Culturale Contaminazioni è ideatrice e organizzatrice del Premio Nazionale Aristeia e di iniziative culturali sul territorio nazionale. Già membro della Commissione Cultura dell’Ordine dei Giornalisti della Regione Campania per il triennio 22/24, è attualmente membro della Commissione Vigilanza. Docente di Giornalismo presso istituti scolastici. Ideatrice e conduttrice della rubrica Ex Libris sull’emittente RCS75. Già ghost writer per tre campagne elettorali, è ideatrice e curatrice del libro “La Primavera Fuori. 31 scritti al tempo del Coronavirus. (Il Pendolo di Foucault). Si occupa di comunicazione, storia, design e territorio.

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