Elezioni del 1976: “turiamoci il naso e votiamo DC”

-di Pierre De Filippo-

“Turiamoci il naso e votiamo Dc”.

A dirlo è il giornalista più popolare d’Italia, Indro Montanelli, che dopo anni di collaborazione col Corriere, nel 1974 aveva fondato Il Giornale.

Perché turarsi il naso e votare Dc? Perché era opinione comune – e si sa quanto forte sia, in Italia, l’opinione comune – che la Dc fosse simbolo di malaffare, operazioni ambigue, depistaggi. Quindi perché votarla? Perché, riteneva Montanelli (ed un po’ tutti), il pericolo comunista era reale: la crescita nei consensi, la vittoria in importati regioni e città italiane, il dinamismo silenzioso di Berlinguer, il progressivo allontanamento da Mosca avevano fatto del PCI un interlocutore più credibile che in passato.

Due erano i grandi temi: il primo era rappresentato dalla crisi petrolifera che aveva fatto seguito alla guerra del Kippur del ’73. Gli arabi avevano aumentato il costo del petrolio (anche qui, corsi e ricorsi storici) ed in Italia Rumor aveva varato l’austerità e le domeniche a piedi.

Serviva – questa era sempre l’idea di Aldo Moro – un ulteriore ampliamento della base politica affinché i provvedimenti, spesso impopolari, non fossero stati accolti con eccessivo malumore dai cittadini e con lo scioperi dei lavoratori.

Per questo, con la strategia dell’attenzione – che drammaticamente si contrapponeva a quella della tensione, che l’Italia viveva dalla fine degli anni Sessanta – il leader democristiano aveva iniziato a flirtare con Botteghe oscure, dove i comunisti avevano sede.

Ma anche Berlinguer era dello stesso parere: i comunisti dovevano uscire dal loro ormai annoso isolamento, dovevano prospettare al Paese un’alternativa che non fosse più solo legata all’arrivo di una ormai utopica ora X ma che consentisse all’Italia – e ai lavoratori che il PCI intendeva rappresentare – di sbarcare il lunario.

L’evento determinante s’era verificato l’11 settembre del 1973. A Santiago del Cile, un golpe aveva deposto Salvador Allende, presidente socialista e democraticamente eletto.

Sulle pagine di Rinascita, Berlinguer era stato chiaro: “mai, in un Paese NATO, le forze di sinistra potranno governare. Neanche se ottenessero il 50% più uno dei suffragi”.

Per questo motivo serviva un “compromesso storico” tra i due grandi partiti di massa; per questo motivo era troppo importante iniziare a dialogare con la Dc e, in particolare, con Aldo Moro, il più acuto stratega che quella forza politica potesse esprimere.

Proprio perché riteneva di essere più “sicuro sotto l’ombrello della Nato”, Berlinguer aveva proposto e teorizzato l’eurocomunismo, un nuovo modo di intendere il pensiero marxista ma dentro i canoni ed i paradigmi europei, liberali, atlantici.

Si stava evolvendo e Moro non poteva far altro che apprezzare, anche se, dall’altra parte dell’oceano, Nixon e Kissinger storcevano il naso.

Quindi, come andarono le elezioni del 1976?

Il PCI crebbe del 7% ma il tanto temuto (o auspicato, a seconda dei punti di vista) sorpasso non ci fu. Le persone si turarono il naso e votarono Dc.

E, però, lo abbiamo già visto con le elezioni del 1963, quando i liberali ottennero il loro massimo storico perché il ceto medio dubitava della bontà del centrosinistra organico: gli ideologi della politica, Moro in testa, andavano oltre gli umori e le emozioni momentanee.

Aprire ai comunisti era una necessità, anche per far approvare tutte quelle leggi utili a combattere il terrorismo.

Che il sorpasso non ci fosse stato non significava che i comunisti fossero stato sconfitti, anzi. Risultava ancora più necessario parlarci.

Dunque, dopo le elezioni quale governo?

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