Tre suicidi in due giorni nel salernitano e quel dolore interiore che nessuno comprende
-di Claudia Izzo-
E’ doloroso dover dare la notizia di un suicidio, è una sorta di sconfitta per tutta una comunità. Abbiamo tutti fallito in qualcosa.
Nel pomeriggio di oggi, un uomo di 33 anni, originario di Nocera Inferiore, si è lasciato cadere dal ponte Alfonso Gatto, l’arteria stradale che mette in comunicazione via Ligea al rione Canalone. Sul posto sono accorsi i volontari del 118, gli agenti di Polizia, un elicottero dei Vigili del Fuoco. Per il recupero del corpo si è reso infatti necessario l’intervento di un Vigile del nucleo SAF speleo-alpino-fluviale che si è calato con una corda ed è risalito con il cadavere. Non si conoscono le cause che hanno spinto l’uomo al terribile gesto, ma risulterebbe che l’uomo soffrisse di problemi psicologici. Un volo infinito, 40 metri prima di schiantarsi al suolo.
Ma non è stato l’unico suicidio di cui siamo chiamati a dar notizia. Nel salernitano, soltanto ieri sono stati registrati altri due suicidi. Il cadavere di un 29 enne di Giffoni Valle Piana è stato infatti ritrovato carbonizzato. Il giovane uomo ha lasciato la sua auto lungo la strada che costeggia le colline. Ha raggiunto una zona impervia. Qui, si è cosparso di benzina e si è dato fuoco. Avrà sentito ogni sua fibra incendiarsi, venir meno lentamente per porre fine a questa vita. A casa una lettera d’addio, un piano premeditato e studiato nei particolari. Tanto per non lasciare dubbi.
A Pagliarone, frazione di Montecorvino Pugliano, sempre ieri, un uomo di 53 anni originario della Romania si è impiccato nell’ abitazione che condivideva con il fratello. Uno stato di malessere senza ritorno dovuto alla depressione causata da vari problemi tra cui la perdita del lavoro.
Tre vite, tre storie, tre tragici epiloghi che racconto di vite spezzate, di problemi irrisolti che hanno preso le sembianze di muri insormontabili. Qui la nostra sconfitta, abbiamo perso tutti, intere comunità sempre più cieche innanzi alle difficoltà altrui, caratterizzate sempre più da minor empatia, chiuse innanzi agli sguardi bassi di tanta gente che a fine mese non sa come arrivare o che si porta dentro nodi irrisolti che diventano matasse immense, tanto da schiacciare chi le porta con sè.
Il Covid 19, questa dannata pandemia non ha fatto altro che acuire la precarietà psicologica di alcuni, quella di un mondo lavorativo sempre più instabile per chi vive da funambulo tra figli da mantenere, rate del mutuo da pagare, lavori che danno sempre meno certezze. Siamo soli in caotiche città, siamo soli a volte anche in piccoli centri e la storiella dell’ “andrà tutto bene” che sventolava dai balconi la scorsa primavera, alla fine non se l’è bevuta nessuno. Gli egoismi e le cecità sono le stesse di prima, se non peggiori. Ed i problemi restano a chi ce l’ha, a coloro che, se non hanno il coraggio di chiedere aiuto, volano giù da un ponte, chiudono con la vita con un cappio al collo o carbonizzati in una serena giornata d’inizio primavera, quella bella stagione che tanto attendevano, forse, per rinascere dai propri guai.