Mimmo Jodice, lo sguardo immobile di Napoli

Umberto Mancini-

 Il 28 ottobre Mimmo Jodice è morto all’età di novantun anni, lasciando un vuoto profondo nella cultura visiva italiana. È stato tra i primi a trasformare la fotografia da semplice strumento di memoria in una vera forma d’arte, capace di interrogare il tempo, la storia e lo sguardo stesso.
Con lui la fotografia smette di essere soltanto testimonianza e diventa linguaggio. Jodice ha rivoluzionato il modo di vedere le cose, imprimendo nell’immaginario collettivo un’inedita visione della sua terra: Napoli, musa e ossessione, teatro e ferita. Non l’ha mai abbandonata, scegliendo di restare nel luogo dove ogni immagine è contraddizione e poesia. Tra i pochi – forse l’unico – ad aver usato le icone partenopee per trasformarle, travisarle, ribaltarle, Jodice ha reso i simboli popolari – i panni stesi, i vicoli, i volti anonimi – portatori di un mistero silenzioso.
Le sue fotografie, statiche e dense di tempo, sospendono il movimento e lo sguardo. Invitano a fermarsi, a contemplare. Perché oltre le apparenze, oltre la superficie del reale, esiste sempre un mondo da conoscere.

 Un viaggio tra luce e memoria

Nato a Napoli nel 1934, Mimmo Jodice inizia la sua ricerca negli anni Sessanta, in un clima di sperimentazione artistica che lo porta a intrecciare fotografia e avanguardia. È tra i protagonisti del rinnovamento culturale partenopeo, collaborando con artisti e intellettuali come Lucio Amelio, Andy Warhol, Jannis Kounellis e Joseph Beuys.

Negli anni Settanta realizza una serie di lavori che segneranno la fotografia italiana: Vedute di Napoli, Mediterraneo, Attesa, Isolamenti. In questi cicli la città si svuota, i monumenti diventano presenze metafisiche, le rovine dialogano con il mare e con il silenzio.
Nel 1978 pubblica Napoli 1959-1978, volume che raccoglie due decenni

di sguardi sulla città. Da questo punto in poi elencare le numerose pubblicazioni diventa davvero difficile, numerose e memorabili testimonianze di un’arte finalmente riconosciuta nel mondo anche grazie alla sua visione.

Le sue opere sono esposte nei più importanti musei del mondo: dal MoMA di New York al Centre Pompidou di Parigi, dalla Tate Modern di Londra al Museo Reina Sofía di Madrid. In Italia, la grande retrospettiva Attesa. 1960-2016, ospitata al MADRE di Napoli e poi alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, ha raccontato oltre mezzo secolo di visioni e di tempo sospeso.

Fotografo dell’assenza, del silenzio e della luce che si fa pensiero, Jodice ha insegnato a generazioni di artisti che la fotografia può essere un modo per interrogare il mondo, non solo per rappresentarlo.
Il suo sguardo resta inciso nella memoria collettiva come una lente capace di trasformare la realtà in poesia.

Mimmo Jodice e Salerno

A Salerno nel febbraio 2024 ha ricevuto il Premio Aristeia, organizzato dall’Associazione Culturale Contaminazioni, presso la Camera di Commercio di Salerno, dedicato alle eccellenze nazionali, personaggi che si sono distinti nei più svariati campi. A ritirare il premio la figlia Barbara.

L’eredità dello sguardo

La sua morte non chiude una stagione, ma la restituisce al tempo da cui proveniva. In un’epoca in cui le immagini si consumano all’istante, Jodice ci ricorda che ogni fotografia può ancora contenere una promessa di eternità. Le sue vedute sospese, le statue che respirano, i mari immobili non appartengono solo a Napoli: sono luoghi interiori, mappe della coscienza.

Il lascito più grande di Mimmo Jodice non è soltanto un archivio di fotografie, ma un modo di guardare. Uno sguardo lento, devoto, che cerca nel mondo il senso nascosto delle cose.
In fondo, ogni suo scatto sembra dirci che la vera luce non è quella che illumina, ma quella che resiste.

 

 

Umberto Mancini

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