Declino di un partito

di Giuseppe Moesch*

Ho conosciuto Saverio Collura verso i primi anni ’80, quando arrivato a Roma nel ’78 per sostenere la componente repubblicana della UIL, iniziarono i miei rapporti con l’organizzazione nazionale e locale del partito, introdotto in quelle stanze da Gianpiero Batoni.
Il Lazio era una delle roccaforti storiche del partito ed erano parecchi e significativi i rappresentanti che attorno a Ugo La Malfa animavano la vita politica del Paese.

Spadolini, Dodo Battaglia, Venanzetti, Mammì, Dutto, Del Pennino, Compagna, Castagnetti, De Carolis, Ermelli Cupelli, Ethel Serravalle, Firpo, Gunnella, Bogi, Bruni, Galasso, Grillo, Giorgio La Malfa, Medri, Nucara, Pellicanò, Ravaglia, Santoro, Poggiolini, Rossi, Gatto, Visentini, Susanna Agnelli, Trezza, Biasini, Corona, sono solo alcuni dei nomi che, senza alcun ordine gerarchico, mi vengono in mente come quelli che si incontravano in Via dei Caprettari, senza contare i funzionari che lavoravano in sede e quelli che erano alla Camera e al Senato, e i giovani del Movimento Giovanile.

A dire il vero ero intimorito, mi sentivo inadeguato, era quasi una condizione di venerazione quella che provavo per uomini che avevano segnato la lotta contro il fascismo, in qualche caso imprigionati, torturati, che avevano rischiato la vita, e che avevano portato avanti i valori del risorgimento, non nei salotti buoni, ma nella vita quotidiana, oltre a quelli più giovani che raccoglievano i voti di quegli italiani che credevano in un partito degno del proprio passato.

Nel sindacato era stato tutto più facile; il clima appariva più alla mia portata; vivevo della rendita rappresentata dalla mia figura professionale di Professore Universitario, anche se in quella organizzazione non mancavano personalità di grande spessore appartenenti alla componente repubblicana, da Vanni a Rossi ai fratelli Franco e Cesare Sassano, ai Della Croce e moltissimi altri, tutti animati da quegli stessi ideali da loro diffusi nelle fabbriche o nelle campagne.
Quelle figure di deputati, senatori, amministratori della cosa pubblica erano la sacralità della rappresentanza del popolo in assemblee come Camera e Senato o anche in un Consiglio Comunale, e mi sembrava bizzarra l’idea di rivolgermi a loro con il tu, ovviamente a meno dei mostri sacri.

Saverio faceva parte di quei giovani che si muovevano con sicurezza in quell’ambiente; vicinissimo alle posizioni di Oscar Mammì, e aveva un ruolo significativo nella sua sezione ma anche nella federazione romana e laziale ed era in ascesa verso quegli incarichi politico amministrativi che l’avrebbero visto un paio di volte assessore ed infine vice sindaco di Roma.

Il nostro primo momento di discussione avvenne dopo lo scrutinio delle votazioni politiche del 1983, anno in cui fui candidato alla Camera nel collegio del Lazio, che all’epoca comprendeva tutte le province meno Rieti.
Dovevo assolutamente andare via dalla UIL, per la insostenibile situazione che si era creata per l’assegnazione della Presidenza o della direzione del Centro Studi di quel sindacato: ero in predicato per una delle due posizioni in concorrenza con Piero Craveri, e cambiavano in continuazione i poteri dell’una o dell’altra figura, a seconda di chi fosse il candidato, evitando che potessi avere un potere di veto sui prodotti che sarebbero stati pubblicati, io chiedevo di controllare la validità scientifica delle ricerche per non avallare strumentalizzazioni politiche e la cosa mi veniva negata.

Pensai quindi che piuttosto che dare la dimissioni che avrebbero avuto un significato politico molto forte, decisi con gli altri amici di trovare una collocazione nella lista dei candidati all’elezioni politiche, cosa che mi avrebbe reso immediatamente incompatibile con il mio ruolo di membro del Consiglio Nazionale della UIL.
Batoni mi portò da Mauro Dutto che faceva parte del ristretto gruppo che al partito aveva la responsabilità di formare la lista dei candidati, e quando quegli presentò il mio nome si sollevò un coro di no: nessuno nel partito laziale mi conosceva ed inoltre, anche se i posti in lista erano 80, gli aspiranti erano probabilmente il triplo. Non erano interessati all’elezione perché tutti sapevano che non era possibile che ci fosse un quarto eletto oltre a quelli consolidati, ma tutti volevano far sapere che il proprio nome aveva un peso nel partito.

Credo che Mauro dovette esercitare tutto il suo peso politico per ottenere l’inserimento della mia candidatura, anche se era convinto che non avrei preso che una manciata di consensi.
La cosa andò diversamente perché durante il mio lavoro alla UIL, al CNEL e dopo a Palazzo Chigi con Spadolini, avevo raccolto un certo seguito che si manifestò se non ricordo male con più di ottocento preferenze, più di molti autorevoli storici personaggi del partito, peraltro senza membri di famiglia a Roma: quindi, tolta mia moglie, forse, tutti voti d’opinione.

Durante le successive riunioni alle quali fui invitato a partecipare da Dutto, mi sentii come un nuovo esemplare di una specie ignota; non si sapeva se fosse nociva, dannosa, pericolosa, o forse utile, e tra gli accorti ricercatori che dovettero analizzarmi vi fu Saverio.

Continuai a lavorare sul territorio intensamente assieme a Mauro, girando in lungo e largo tutto il collegio laziale, incrociando sul territorio gli uomini di Mammì, consapevole della battaglia sotterranea tra i due leader e per questo ci incontravamo di tanto in tanto, con Saverio nelle sedi istituzionali, fino alle successive elezioni alle quali partecipai senza molta convinzione, nonostante il risultato per me fu superiore di oltre il 50 % rispetto alle precedenti.
Ebbi l’occasione, mantenendo chiara la mia collocazione politica, di essere nominato Vice Capo di Gabinetto prima al Ministero delle Aree Urbane e dopo al Turismo e Spettacolo, prima della grande crisi personale che coincise in poco tempo con la morte prima di Batoni, poco dopo di Dutto e la dissoluzione del Gruppo, con tanti aspiranti eredi a combattere intorno al feretro, poi un paio di mesi dopo con la morte della mia prima moglie, ed infine gli strascichi di “Mani Pulite”, che colpirono, anche se senza successo, il Ministro Tognoli con il quale collaboravo.

Mi gettai a capofitto nel lavoro, andai ad insegnare a Salerno, e cominciai a girare per il mondo per conto dello Stato, chiamato da diversi Ministri di varia estrazione politica consapevoli della mia collocazione ideale, con la conseguenza di non riceverne benefici tanto che ogni volta mi ritrovavo ad essere bypassato da piccoli funzionari d’apparato.
Gli incontri con Saverio in quel periodo furono assai ridotti, qualche convegno di partito, qualche occasione di lavoro, fino a quando, l’ultimo segretario del Partito, Ciccio Nucara, fu sostituito, ed il nuovo Segretario cercò di radunare gli esponenti di un tempo lontano per tentare il rilancio, di una struttura che andava perdendo sempre più gli antichi connotati.

Fu così che ci ritrovammo, vecchi ma con l’entusiasmo della gioventù, senza le ambizioni del passato, ma consapevoli che solo un grande sforzo, corredato dal sacrificio personale, avrebbe potuto forse dare nuovo vigore ad una struttura logora nella quale il noi del passato era sostituito dalle miserie e dall’egoismo dell’io. Uno strapuntino val bene una adesione o un appoggio a un partito in contraddizione palese con i valori storici, e pur di galleggiare si accettavano accordi con i vecchi democristiani e i nuovi, espressi dal PD.
Devo dire che è stato un periodo amaro ma tutto sommato molto bello.
Le nostre due personalità, assai differenti, lui pragmatico manager e attento amministratore della cosa pubblica, ed io rigido assertore dell’idea che solo una politica eticamente impeccabile avrebbe potuto attrarre nuovamente sia i vecchi elettori che ci avevano abbandonati sia i nuovi, disorientati da politici populisti da un tanto al chilo, convergevano su un punto: eravamo repubblicani.

Facemmo uno sforzo considerevole per il rilancio del simbolo e organizzammo le liste anche se fummo truffati da chi avrebbe dovuto aiutarci, boicottando i nostri sforzi, anche se sul piano personale ero riuscito nuovamente a riconquistare parte degli antichi voti.
Consapevoli della necessità di un forte cambiamento nella conduzione del partito, ci riunimmo a Bologna con alcuni dirigenti per elaborare una strategia di rilancio con l’immissione di giovani leve ed in particolare proponendo per la segreteria nazionale una donna, con l’idea di ripulire il voto congressuale dai rigonfiamenti di memoria democristiana.
Le belle intenzioni svanirono nel tengo famiglia classico, salvo per uno che decise di smettere con la politica.
Raccogliemmo insieme le prove di una gestione amministrativa allegra del partito, che decisi di far conoscere ai dirigenti, che preferirono ignorare l’avvertimento liberandosi del blasfemo distruttore della allegra brigata.

Non credeva alla palingenesi che io auspicavo e in cui speravo, e forse aveva ragione, e preferiva giocare su ipotesi di alleanze o di aggregazioni, anche se erano con soggetti improbabili come i 5 stelle.
Il suo sogno, il suo obiettivo era vedere il partito ritornare ai fasti del passato.
Il mio sogno, il mio obiettivo era vedere il partito ritornare ai fasti del passato.
Si dice che i vecchi non sognano e se lo fanno sono incubi; non lo so se sia vero.
Abbiamo discusso animatamente, abbiamo urlato con la foga derivante dalla passione politica, abbiamo mangiato discutendo e discusso mangiando insieme.

Ci siamo raccontati la nostra gioventù, la sua Seminara, i suoi anni da studente, la mia Napoli e i miei anni da studente.
La polemica è durata fino agli ultimi mesi, con le precisazioni dirette ed indirette che ci lanciavamo, su quanto ciascuno scriveva.
Ciao Saverio. Mi mancherai.

 

*La cosa più interessante è che, chiesto  chi fosse Saverio Collura all’AI, la risposta è stata ” nn abbiamo notizie sull’argomento.

 

 

*già Professore Ordinario presso l’Università degli Studi di Salerno

 

Immagine Gebrüder Alinari, Public domain

Giuseppe Moesch Giuseppe Moesch

Giuseppe Moesch

Napoletano, già professore ordinario di Economia Applicata, prestato alla politica ed alle istituzioni nazionali ed internazionali, per le quali ha svolto incarichi e missioni viaggiando in quasi cinquanta Paesi attraversando l’umanità che li popola. Oggi propone le sue riflessioni scrivendo quando non riesce a capire quelle degli altri.

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