Buarque e De André, così la Petti rilegge gli “anni di piombo”
di Carlo Pecoraro-
La musica di due grandi protagonisti del Novecento come lente d’ingrandimento per parlare degli “anni di piombo” in Italia e in Brasile. Si intitola “Chico Buarque e Fabrizio De André. Anni di piombo, canzoni di rame” (Arcana editrice) ed è firmato da Maristella Petti. Presentato al Festival Salerno Letteratura, il libro della Petti è per certi aspetti una risposta alle considerazioni dello scrittore Roberto Contu, che nel suo “Anni di piombo, penne di latta”, criticava intellettuali e scrittori rei di aver vissuto, in quegli anni, un disimpegno dalla realtà. Vero, ma così non è stato per tutti.
E proprio questo libro dimostra come in Italia, la musica di Faber, abbia saputo intercettare le spinte sociali che premevano dal basso in anni in cui il nostro Paese era sopraffatto da quella che fu definita: strategia della tensione. Bombe di stato e eversione nera che avvelenarono il clima sociale, ammazzando migliaia di innocenti. Non solo canzonette, dunque, ma uno sguardo lucido sul circostante, di uno dei maggiori intellettuali e poeti contemporanei, appunto: Fabrizio De André. Dalla crisi dell’autorità politica fino alle promesse dei movimenti, Buarque per il Brasile e De André per l’Italia, sono stati la voce critica che ha accompagnato quegli anni.
Certo i nostri anni di piombo sono stati diversi da quelli brasiliani dove la dittatura ha costretto all’esilio anche Buarque. Ma il clima rovente di quegli anni è stato un movente ispiratore per uno dei massimi esponenti della mpb (musica popolare brasiliana) e per il cantautore genovese.
Un modo inedito e originale per parlare di quegli anni, che per dirla con Erri De Luca, furono “di grande comunicazione e di vibratile connessione tra gli esseri umani. Una fase straordinaria della nostra storia. Un decennio di grande felicità e di libertà”. E proprio al libro dello scrittore napoletano, la Petti fa esplicita citazione nel sottotitolo con quelle “canzoni di rame” mutuate da “Anni di rame” del 2019.
Ma l’aspetto narrativo più interessante arriva con il dialogo tra le canzoni, che Maristella Petti analizza e mette in coppia come in un gioco segreto di amanti. Canzoni che raccontano gli anni che attraversano. Con aneddoti legati alla censura e gli escamotage usati per sviarla. Da “Cálice” a quel “Al ballo in maschera” dove l’impiegato immagina di far saltare in aria tutte le figure del potere; da “Acorda amor” dove il protagonista spera stia facendo irruzione nella sua casa un ladro piuttosto che la polizia al recitativo di “Sogno numero due” con la voce del giudice che si rivolge all’imputato. E poi la bellissima “Construção” che fa coppia con “La bomba in testa”; “Cara a cara” che dialoga con “Canzone per l’estate”; “Agora falando sério” e “Amico fragile” fino alle bonus track “Pelas tabelas” e “La domenica delle salme”. Che è il il ritratto dei diversi aspetti dell’Italia e dell’Occidente alla fine degli anni Ottanta. In totale sono trentaquattro tracce che la scrittrice di Bolsena consegna al lettore con una analisi lucidissima.
Un libro necessario che trascina il lettore indietro a quegli anni “di rame”. Una intuizione letteraria per rileggere un periodo storico frettolosamente dimenticato, il cui superamento, ha deformato l’oggi. Una cura peggiore della malattia che ha traghettando il Paese nel girone dantesco dell’antipolitica, del ritorno al becero nazionalismo, del crollo delle conquiste sociali, nella repressione del dissenso, nella forbice sempre più ampia tra classi sociali, “convinti di allontanare la paura di cambiare”. Insomma “anche se allora vi siete assolti, siete lo stesso coinvolti”.
