Feeling/No Feeling: Punk, scrittura e sopravvivenza del dissenso

di Camilla Masullo-

Dal 6 all’8 maggio si è svolta la seconda edizione di Feeling/No Feelings. Per una fenomenologia del punk e del post-punk, un convegno interdisciplinare curato da Alfonso Amendola (docente di Sociologia dei processi culturali), Linda Barone (professoressa di Lingua Inglese) e Giorgio Sica (docente di Letterature comparate), presso l’Università degli Studi di Salerno.

Un evento diffuso, ricco di panel e ospiti, che ha attraversato le molteplici sfumature della cultura punk e delle sue derive postmoderne. La riflessione si è articolata lungo traiettorie differenti: dalla musica alla televisione, dalla letteratura al femminismo, dallo stereotipo alla resistenza culturale. Un mosaico di suggestioni che ha dimostrato quanto il punk, pur nella sua natura disgregante, continui a offrire uno sguardo vivo e critico sul presente.

Il titolo stesso rivela la tensione su cui si fonda il programma: sentire o non sentire, emotività o distacco, espressione o implosione. Nodi centrali nella cultura punk, ancora oggi rilevanti in un presente che oscilla tra ipersensibilità e anestesia collettiva.

Il convegno ha proposto riflessioni transdisciplinari che spaziano dalla musica alla letteratura, dal femminismo alla televisione, fino alla costruzione degli stereotipi e al corpo come luogo di resistenza. Un’indagine profonda sulle molteplici forme attraverso cui il punk ha espresso dissenso e costruito linguaggi alternativi alla norma, ponendo l’attenzione non solo su ciò che è stato, ma su ciò che ancora può essere controcultura oggi.

La rassegna ha coinvolto anche la città, grazie a un evento speciale tenutosi il 7 maggio a Palazzo Fruscione: un incontro pubblico con Irvine Welsh, autore di Trainspotting, organizzato dall’associazione Tempi Moderni. In un dialogo serrato con il pubblico, lo scrittore britannico ha offerto uno sguardo lucido e ironico sul proprio lavoro, sulla scrittura come gesto radicale e sul modo in cui la cultura punk – nei suoi molteplici volti – abbia resistito, si sia trasformata, o in alcuni casi dissolta nei meccanismi del presente.

Durante il confronto con i lettori, Welsh ha condiviso riflessioni sul processo creativo che guida la sua scrittura, spinta da un’esigenza interiore e autentica. Ha posto l’accento sull’importanza della sincerità e del divertimento nella fase di scrittura: per lui, il piacere nel creare è sempre stato una bussola per comprendere se una storia meritasse davvero di essere raccontata. Quando percepisce che qualcosa non funziona, preferisce modificarla, trovare un altro ritmo, un’altra voce, piuttosto che forzare una narrazione spenta.

Molte domande si sono concentrate sulla genesi di Trainspotting e sull’accoglienza editoriale che ha ricevuto all’epoca. Il pubblico ha manifestato curiosità verso le reazioni che il romanzo, per il suo linguaggio spigoloso e i suoi contenuti dissacranti, aveva suscitato negli editori. Welsh ha sottolineato come, agli inizi della sua carriera, l’editoria fosse animata da un coraggio creativo maggiore. Oggi – ha notato con una certa amarezza – si percepisce una cautela più marcata, con editori spesso frenati dal timore di infrangere limiti impliciti o di incorrere in censure culturali. Questo mutamento ha inciso, secondo lui, sulla libertà espressiva, oggi più vigilata e condizionata.

Un altro nodo toccato è stato quello dell’ispirazione. Per Welsh, essa raramente proviene da un’unica fonte: può nascere da un libro letto, da una scena vista in televisione, o più spesso da ciò che riaffiora dall’inconscio e da esperienze passate. Non esiste una formula, ha spiegato, ma piuttosto una disponibilità ad ascoltare ciò che prende forma, in modo inatteso, dentro di sé. La scrittura diventa così un atto di fiducia nel processo stesso, un lasciarsi attraversare da immagini e pensieri che solo nel gesto dello scrivere trovano senso.

L’8 maggio, Welsh ha poi partecipato a un dj set techno-punk nella chiesa sconsacrata dei Morticelli, un momento performativo che ha chiuso simbolicamente la sua presenza in città. Un omaggio sonoro e visionario a quella cultura che, più di tutte, ha saputo incarnare l’urgenza del rifiuto, la rabbia, la consapevolezza del disadattamento come forma di lucidità politica.

Con la presenza di Welsh, Feeling/No Feelings ha confermato la propria capacità di tenere insieme ricerca accademica e controcultura, offrendo spazi di pensiero libero, ibrido e non allineato. In un’epoca in cui le parole “controcultura” e “sovversione” rischiano di essere svuotate dalla retorica e neutralizzate dal mercato, questo evento ha ricordato che il punk non è un’estetica, ma un’attenzione. Un modo di guardare il mondo da un angolo storto. E proprio per questo, necessario.

 

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