La svolta nell’omicidio del “Sindaco Pescatore”: venti giorni di fuoco e siamo solo all’inizio
La storia di Angelo Vassallo.
Era il 7 novembre scorso, la più importante agenzia di stampa italiana batte la notizia, a suo modo clamorosa, di quattro arresti in ordine all’omicidio di Angelo Vassallo. Custodia cautelare in carcere per il colonnello Fabio Cagnazzo – secondo gli inquirenti la mente del piano –, per il camorrista pentito Romolo Ridosso, per l’imprenditore Giuseppe Cipriano e per l’ex brigadiere Lazzaro Cioffi.
L’accusa? Omicidio volontario.
Quella frase – “amm mis appost pur o’ pescatore” – pronunciata da Ridosso e rivolta a Cioffi e Cipriano è stata confermata dalla compagna del primo, ritenuta attendibile dagli inquirenti.
Cagnazzo, ricoverato al Celio, si avvale della facoltà di non rispondere, così come Cioffi e Cipriano. Chi, invece, parla, e parla tanto, è Romolo Ridosso. Incastrato anche per questa vicenda deve impegnarsi per riacquisire lo status di pentito, anche se questa volta non sarà semplice.
Le ore in cui Ridosso parla sono febbrili. Sta raccontando fatti nuovi? Se sì, di che tipo? E, soprattutto, sono attendibili?
Nel frattempo, a metà mese Cagnazzo, Cioffi e Cipriano presentano istanza di Riesame, con la speranza che le misure cautelari loro rivolte vengano revocate. Ridosso, per volontà del suo avvocato, si astiene”.
Romolo Ridosso è una figura particolare e controversa, e questo concorre a rendere le sue dichiarazioni spesso ambigue e poco credibili.
Nel 2016, mentre è in carcere, confessa al suo compagno di cella di aver svolto “un’azione” – intesa come azione di fuoco – per conto del clan Maurelli, di Raffaele Maurelli e di suo cugino Giuseppe Cipriano. L’azione sarebbe, ritengono gli inquirenti, l’omicidio di Angelo Vassallo.
Allo stesso tempo, nel 2020 Ridosso perde lo status di collaboratore di giustizia proprio perché le sue rivelazioni sul caso Vassallo appaiono inattendibili e fantasiose.
È credibile adesso, dunque?
I verbali secretati, secretati restano per poco. E i giornali si riempiono di titoli in prima pagina.
“Fu il carabiniere Cioffi l’esecutore materiale”, dice Romolo Ridosso.
E conviene riportarlo per intero il suo virgolettato, così come trascritto in verbale.
“Il coinvolgimento di Cioffi e Cipriano nell’omicidio mi fu invece rappresentato a dicembre, allorquando incontrai Giuseppe Cipriano nel cinema a Scafati. Io mi allontanai dalla mia compagna e salimmo in ufficio con Cipriano. In questa circostanza Cipriano mi disse esattamente che l’omicidio era stato commesso da loro e in particolare da Cioffi come esecutore.
In particolare mi disse: “è stato o’ cumpagno tuo”. Io dedussi che era Cioffi perché era l’unico del gruppo che frequentavo unitamente a Cipriano”.
Ridosso afferma anche di aver preso parte ad una sorta di sopralluogo che, con Cipriano, avrebbero effettuato il 3 settembre ad Acciaroli. Sopralluogo chiaramente utile a comprendere come agire. Proprio questo sopralluogo, e i pochi riscontri che Ridosso era riuscito a fornire, avrebbero indebolito la sua posizione nel 2020.
Oggi cosa è cambiato?
Cosa ha aggiunto che lo ha reso credibile agli occhi degli inquirenti?
Nel descrivere il movente dell’omicidio, Ridosso aggiunge: “Mi elencò [si riferisce sempre a Cipriano] quelle che erano state le cause dell’omicidio, rappresentandomi in primo luogo che il sindaco voleva cacciarlo da Acciaroli sia a causa del furto in un locale di sua proprietà, sia perché non aveva concesso a Maurelli la possibilità di fare dei lavori al porto di Acciaroli; e sia perché, infine, aveva scoperto il loro traffico di droga”.
Dichiarazioni su cui ragionare.
Perché, questa volta, la procura vuole davvero procedere con i piedi di piombo per evitare un altro fiasco: è mai possibile che il principale motivo dell’omicidio sia un furto che, oltretutto, le stesse persone interessate hanno sempre smentito che sia avvenuto? Così come ci sono altre, importanti ombre sul racconto di Ridosso.
Nel suo verbale dell’8 giugno 2022 disse di “non sapere” quale ruolo avesse avuto Cagnazzo in tutta la vicenda, visto che lui si intratteneva solo con Cioffi e Cipriano.
Ora rettifica e dice che in ogni circostanza gli era stato fatto il nome di Cagnazzo come organizzatore principale del crimine.
Prima del giudizio del Riesame, viene in rilievo la posizione di un altro pentito, compagno di cella di Ridosso, Eugenio D’Atri, boss di Somma Vesuviana, che avrebbe confermato quanto detto da Ridosso agli inquirenti perché ciò sarebbe stato coerente con le confidenze che lo stesso Ridosso gli avrebbe fatto in carcere.
Anche per questo motivo, giovedì 28 novembre, il Riesame ha confermato la detenzione in carcere per i tre indagati (oltre, chiaramente, al Ridosso che non aveva fatto ricorso).
Lo scenario però, lungi dall’essere chiaro e chiarito, è ancora in continua evoluzione.
