L’11 marzo di cento anni fa, nasceva a Venezia Franco Basaglia, colui che da psichiatra e neurologo avrebbe fondato la Psichiatria Democratica, con la finalità di riformare la psichiatria stessa, avrebbe innovato il campo della saluta mentale, sarebbe diventato esponente della psichiatria fenomenologica, avrebbe diffuso in Italia l’antipsichiatria, il movimento che si stava affermando a partire dal XIX secolo ed in particolare dalla seconda metà del XX, legando poi il suo nome alla Legge 180/1978 che diede il via alla revisione dell’ordinamento degli ospedali psichiatrici. Contrastato da baronie, messo all’angolo dalla psichiatria tradizionale, mise al centro di tutto la persona e non soltanto la malattia.
Dopo il Liceo Classico si iscrisse alla Facoltà di Medicina dove si dedicò anche alla filosofia ed alla fenomenologia; frequentò studenti antifascisti con cui fu arrestato e detenuto per alcuni mesi nelle carceri della Repubblica Sociale Italiana. Alla fine della Seconda Guerra Mondiale entrò nel Partito Sociale Italiano. Nel 1953 si specializzò in Malattie Nervose Mentali presso la Clinica neuropsichiatrica di Padova divenendo assistente di Giovanni Battista Belloni. Sposò Franca Ongaro, da cui ebbe i figli Enrico e Alberta.
Varie furono le resistenze che Basaglia incontrò nel mondo accademico riguardo alla sua libera docenza in psichiatria che lo portarono ad abbandonare la carriera universitaria trasferendosi a Gorizia per dirigere l’ospedale psichiatrico vivendo un impatto durissimo. Vicino alle idee di Karl Jaspers, Eugène Minkowski, Ludwig Binswanger, ma anche a quelle di Michel Foucault e Erving Goffman. A Padova portò Antonio Slavich, che in Inghilterra aveva cercato di modificare la rigida struttura dell’ospedale psichiatrico.
Con lui iniziò la “prima esperienza anti-istituzionale nell’ambito della cura dei malati di mente”. A Gorizia cercò di dar vita ad un’organizzazione più aperta ed orizzontale, si tendeva cioè a rendere paritario il rapporto fra i pazienti e gli operatori sanitari con l’eliminazione della contenzione fisica, delle terapie con elettroshock e dei cancelli chiusi nei reparti.
Partendo dai suoi studi relativi all’Esistenzialismo ed alla Fenomenologia Basaglia arrivò a vedere i manicomi come luoghi di emarginazione, dove veniva annullata la dignità del malato come persona. Si rendeva cioè necessario per il malato il rapporto umano con chi lo segue, lo psichiatra doveva cioè rinunciare ad ogni certezza precostituita, sospendere il giudizio, arrivando all’antipsichiatria. Il rapporto umano, dunque, senza isolamento o reclusione e le sole terapie farmacologiche avrebbero portato ad una svolta. Basaglia allestì all’interno dell’ospedale psichiatrico laboratori di pittura e di teatro, una cooperativa di lavoro tra i pazienti in modo da permettere loro svolgere lavori riconosciuti e retribuiti. Tutto ciò era però difficile da far accettare al di fuori delle mura dei manicomi. Per Basaglia il manicomio, così come era stato precedentemente realizzato e vissuto, andava chiuso. Al suo posto ad occuparsi delle persone affette da disturbi mentali dovevano subentrare reti di servizi esterni. L’approccio psichiatrico in sè doveva essere rivisto: bisognava investire nel comprendere i sintomi della malattia mentale senza escludere il malato mentale, come prevedeva il sistema istituzionale.
Ne L’istituzione negata. Rapporto da un ospedale psichiatrico, scritto con l’aiuto della moglie Franca Ongaro, raccontò al grande pubblico l’esperienza dell’ospedale psichiatrico di Gorizia. Lasciò poi Gorizia e si stabilì in provincia di Parma per dirigere l’ospedale di Colorno. Divenne in seguito direttore dell’ospedale psichiatrico San Giovanni di Trieste definita poi zona pilota per l’Italia nella ricerca dell’Organizzazione mondiale della sanità relativa ai servizi di salute mentale.
Itinerari Basagliani – Opera propria.CC BY-SA 4.0 File:MarcoCavallo mod-1024×683.jpg
Resta un momento fondamentale l’episodio del cavallo Marco, animale che sino a quel momento era stato utilizzato all’interno della struttura psichiatrica di Trieste, destinato al macello. I ricoverati, con una loro lettera indirizzata all’allora Presidente della Provincia, ottennero che venisse salvata la vita al cavallo, affidato alle loro cure. Vittorio Basaglia, cugino dello psichiatra, realizzò il Marco Cavallo, opera artistica scultura di legno e cartapesta in forma di “installazione” e “macchina teatrale” costruita all’interno dell’ospedale nel 1973 durante un’animazione collettiva. La vicenda ebbe una forte risonanza e grande significato per tutti. Sempre nel 1973 l’ospedale fu riconosciuto dall’Organizzazione mondiale della sanità come esperienza pilota nella ricerca psichiatrica.
L’azione di Basaglia portò, il 13 maggio 1978, pochi giorni dopo il ritrovamento del corpo di Aldo Moro, all’approvazione della legge 180 di riforma psichiatrica, dal titolo: “Accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori” ; nasceva così la legge identificata come “legge Basaglia”. La legge 180 è ancora in vigore e regola l’assistenza psichiatrica in Italia, anche se non è mai stata applicata in modo completo.
Basaglia morì il 29 agosto 1980 nella sua casa di Venezia. Si deve attendere il 1998 per la chiusura di tanti manicomi e nel 2017 furono chiusi i sei Ospedali psichiatrici giudiziari con le loro 906 persone. Il futuro era giunto. Con esso il sogno di cure diverse, di un mondo diverso.
Harald Bischoff – Opera propria.CC BY-SA 3.0. File:1979 –
Antonietta Doria
Già docente di Lingue e Letterature Straniere, ama la lettura, la civiltà greca, l'enigmistica e la sua Volcei. Appassionata di antiquariato è una profonda conoscitrice del mondo Shakespeariano, di miti e Leggende. La scrittura è la sua nuova frontiera.