Ognissanti, ovvero Samhain, la fine dell’estate

-di Giuseppe Moesch*

È alquanto recente la notizia che in Iraq, nelle grotte dello Shanidar, sono stati ritrovati i resti di uomini di Neanderthal; la singolarità di quei ritrovamenti consisteva nel fatto che quelle ossa erano ricoperte da uno strato di polline, segno inequivocabile di una pratica sepolcrale, di un culto dei morti, non dissimile da quello che ancora oggi si pratica; anche sulle incisioni rupestri della Val Camonica sono state riscontrate tracce di quelle pratiche.

Le cerimonie funebri sono quindi da sempre l’omaggio che si riconosce ai propri simili a livello individuale, ma anche a livello di collettività si sono praticate nel tempo commemorazioni connesse alla convinzione dell’esistenza di una vita altra, oltre quella scandita sulla terra, e che deriva dalla credenza dell’immortalità dell’anima, importata dall’oriente.

Il terrore della fine di tutto connessa alla morte, ha da sempre convinto tutti i popoli della possibilità dell’esistenza di un luogo nel quale gli uomini potessero continuare a vivere, i Campi Elisi nella mitologia greca, il Valhalla nella mitologia norrena, il Diyu nella mitologia cinese, lo Sheol in quella ebraica contrapposto al Paradiso da cui deriva anche quello cristiano e quello mussulmano, i Naraka nella mitologia Buddista, il Xibalba nella mitologia Maya, Ir nan Oge nella mitologia celtica, il regno degli Avi nella mitologia dei nativi australiani e così via.

In Grecia nel periodo di febbraio marzo si svolgevano feste pubbliche dette Antesterie, che duravano tre giorni, e tale periodo ritorna nella tradizione bizantina che festeggiava tra gennaio e febbraio tutti i morti.

La paura della morte rimane nella cultura romana: le cerimonie funebri venivano affidate a professionisti detti Libitinarii, che provvedevano a reclutare dai preti a i danzatori alle prefiche accompagnati da musicisti e da un declamatore delle virtù del defunto, sempre e solamente indicando gli aspetti positivi come una sorta di raccomandazione per un eventuale giudizio finale; altri parenti infine, preferivano demandare tutte le incombenze ai collegia funeraticia, sorta di congreghe che svolgevano le pratiche per conto dei parenti.

Il periodo di impurità della casa durava nove giorni e veniva segnalato ai passanti affiggendo rami di cipresso o di tasso; finito tale periodo la casa veniva purificata e veniva organizzata una festa, coena novendialis, che nelle regioni meridionali del nostro Paese viene ricordata ancora oggi con il nome di “cuonsolo”.

Anche a Roma tuttavia vi erano feste collettive per commemorare i defunti ed una in particolare, la Paentalia, si teneva nel periodo compreso tra il 13 ed il 21 febbraio, mentre entro i nove mesi dal decesso si dovevano tenere altre cerimonie dette Lemuria, con lo scopo dichiarato di allontanare i fantasmi, larvae, che si riteneva si aggirassero intorno alla casa; in tale occasione si offrivano piccoli doni allo scopo di ottenere la benevolenza di quelle anime in pena.

Gli uomini di marketing della chiesa cattolica dell’epoca compresero che era assai più facile sovrapporre alle feste pagane romane le nuove ricorrenze cristiane; per commemorare i vari santi si utilizzarono i vari giorni dell’anno che però erano limitati a 365 per cui oltre ad utilizzare la stessa giornata per più santi si optò per individuare una giornata per commemorare tutti gli altri non menzionati, e la data fu fissata per la prima volta a Roma il 13 Maggio del 609 d.C. in occasione della celebrazione della dedicazione a Maria della basilica del Pantheon a Roma, da parte di Gregorio III.

Fu infine papa Gregorio IV, nell’835 d.C. a stabilire nel giorno del primo novembre la festa di Ognissanti e sembrerebbe che anche in questo caso non sia stato un caso che la data coincidesse con le tradizioni del nord Europa dove si festeggiava l’inizio del nuovo anno proprio in occasione della fine delle attività agricole, ovvero il primo novembre.

L’impulso finale a stabilire una definitiva data per onorare tutti i morti fu data da Odilone di Cluny, nel 998 d.C. Sembrerebbe che il futuro abate avesse saputo, come riporta il suo biografo San Pier Damiani, da un monaco originario di Rodi – il quale, di ritorno a Gerusalemme, fermatosi all’isola di Vulcano, a sua volta lo aveva appreso da un eremita – che le anime dei dannati apparsigli in una visione soprannaturale fossero protette dall’assalto dei diavoli attraverso le preghiere. Questo racconto spinse l’Abate a decidere per la riforma cluniacense stabilendo che le campane dell’abbazia fossero fatte suonare con rintocchi funebri dopo i vespri del 1 novembre per celebrare i defunti. Egli prescrisse infine che il giorno dopo l’eucaristia sarebbe stata offerta “pro requie omnium defunctorum”. Solo in seguito tutta la Chiesa inglobò la festività, che appare per la prima volta nell’Ordo Romanus del XIV secolo.

La cosa interessante è la coincidenza di questi eventi con la festa di Samhain, che oggi conosciamo con il nome di Halloween. La parola di origine irlandese deriva da  Hallow E’en ovvero Notte dei Santi quindi la vigilia di Ognissanti.

Gli irlandesi popolo di origine celtica erano pastori che praticavano la transumanza; a fine estate ritornavano a valle e completavano il modesto ciclo di raccolta agricola accumulando scorte per il lungo e duro inverno che avrebbero trascorso praticamente barricati in casa, inverno che affrontavano lavorando all’interno accudendo ai lavori domestici ed alla preparazione e alla manutenzione degli attrezzi agricoli. Il passaggio verso l’inverno veniva considerato come l’inizio del nuovo anno e festeggiato con solennità.

Samhain è di derivazione dal gaelico samhuinn che significa “summer’s end”, ovvero fine dell’estate, era quindi una festa rituale di passaggio molto importante legato alla morte ed alla rinascita.

In quella notte i morti ritornavano tra i vivi, e la loro presenza si collegava alla felicità per il nuovo anno e si festeggiava il tutto con accensione di un fuoco sacro nei boschi, sacrifici di animali, mascherandosi e coprendosi con le pelli degli animali uccisi e ed i partecipanti portavano seco, di ritorno, un tizzone di quel fuoco all’interno di cipolle o rape scavate.

Da un certo periodo in poi si prese l’abitudine di lasciare fuori dell’uscio di casa fuochi e cibo per rifocillare i defunti in visita provenienti dal loro mondo Ir nan Oge, un mondo di felicità assoluta e di eterna giovinezza.

Fu facile la sovrapposizione della festa con quella dei defunti piazzata guarda caso il 2 novembre.

Nonostante gli sforzi non fu però possibile estirparla completamente dalla cultura locale; anzi attraverso l’emigrazione conseguente alla terribile carestia dovuta alla malattia delle patate che ridusse in miseria gli irlandesi, questi furono costretti ad emigrare in America, formando una corposa ed ancora oggi importantissima comunità assai coesa e permise loro di conservare quella festa tradizionale.

Oggi la festa ha perso il proprio significato originale ed ha assunto la sua fisionomia consumistica e speculativa.

Si stima che la festa generi un giro d’affari a livello globale stimato in 9 miliardi di dollari all’anno mentre solo in Italia il valore dovrebbe superare i 200 milioni di euro.

C’è da augurarsi che le anime dei defunti che vivono nel paese della felicità non decidano di ritornare tra i loro maggiori perché sono certo che troverebbero sicuramente necessario intervenire con pesanti scherzetti.

 

 

 

*già Professore Ordinario presso la Facoltà degli Studi di Salerno

Giuseppe Moesch Giuseppe Moesch

Giuseppe Moesch

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