16 ottobre 1943
di Giuseppe Moesch
Sono nato dopo la fine della seconda guerra mondiale, ed ho avuto la fortuna di trascorrere la prima parte della mia vita in una condizione di sicurezza e di accettabile benessere; non voglio dire che non abbia avuto la percezione delle difficoltà economiche, anzi ci sono state eccome, ma fino agli anni della mia adolescenza non ho mai avuto contezza della violenza se non quando mi sono trovato per caso coinvolto, senza volerlo, in una manifestazione a favore di Trieste.
Del fascismo e della guerra ho avuto percezione per i racconti casalinghi, in particolare da parte di mia madre e di altri della sua famiglia, mio zio Aldo, in realtà Gesualdo, che aveva combattuto sul fronte greco ed era ritornato ferito tanto che le conseguenze di quei traumi lo condussero alla morte qualche anno dopo.
I racconti erano più duri per coloro che raccontavano, ma ovviamente non chiaramente percepibili per me, ancora troppo piccolo per comprendere il significato doloroso che contenevano. Questi si riferivano alla paura durante i bombardamenti, in particolare quelli che andarono sotto il nome di bombardamenti della fascia costiera, essendo Napoli città portuale. I racconti dei morti per strada e la descrizione del ritorno da un ricovero, mentre la parte centrale del palazzo di fronte al nostro veniva centrato da una bomba alleata, completamente sventrato nella sua parte centrale con la morte di molti conoscenti, erano quelli che mi suscitavano le maggiori emozioni, perché mi sembrava inverosimile che potessero accadere quelle cose.
Nei racconti entrava anche Papele, il Fox Terrier che io consideravo il mio cane, ma che in realtà era appartenuto alla famiglia di mio zio Antonio, che ce lo lasciò per tentare di annullare il ricordo di un tempo felice con il figlio la moglie, e che morì quando il bambino aveva un paio d’anni.
Papele era stato compagno d’avventura di mio zio che viveva a Roma; durante la guerra lo seguiva mentre affiggeva manifesti antifascisti durante la notte e fungeva da vedetta per avvertirlo nel caso in cui fosse arrivato qualcuno, dal momento che mio zio aveva nascosto nella sua abitazione alcuni suoi amici ebrei sfuggiti ai rastrellamenti dei nazisti.
Ascoltavo quei racconti con la curiosità e l’interesse con cui ascoltavo le favole e ci sono voluti molti anni per elaborare il significato di quei racconti.
I libri, la scuola, i filmati, col tempo hanno permesso di formarmi una solida coscienza basata sui concetti di libertà e tolleranza e, col tempo, quei ricordi si sono manifestati sotto forma di solidarietà e di condivisione delle condizioni di sofferenza anche di persone a me sconosciute e coinvolte in vicende analoghe. In particolare durante l’invasione della Cecoslovacchia da parte dei Russi, ricordo che un mio amico riportò in Italia una sua amica che poi sposò, per salvarla da quella tragedia.
Andando avanti nel tempo ho vissuto quelli che andarono sotto il nome di Anni di Piombo, con l’efferatezza delle azioni dei “compagni che sbagliano”, secondo una tragica e credo cinica visione di alcuni commentatori del PCI e dell’estrema sinistra, e con mio stupore fui coinvolto da una Risoluzione Strategica della colonna romana delle Brigate Rosse che mi dette la misura della fragilità delle condizioni di vita di ognuno di noi.
Ho vissuto, in seguito, l’esperienza di periodi in zone di guerra in Medio Oriente ed in Africa in costanza di guerre o subito dopo la fine ufficiale delle ostilità, anche se di fatto la guerra continuava. Ho visto di persona la sofferenza e le distruzioni, ho visto crescere in me il disprezzo profondo per l’ipocrisia dei politici e della gente che li seguiva come i topi del pifferaio magico.
Ho avuto un amico che è molto deverso da me: è romano mentre io sono napoletano, è ingegnere ed io sono un economista, è bruno e meno alto di me,a differenza di me che sono di carnagione chiara e tanto temo fa ero biondo e con gli occhi azzurri; io con una certa tendenza alla pinguedine mentre lui no, ma forse in comune abbiamo una cosa, ovvero la stessa scala di valori.
Sono stato e sono suo amico anche se sono trascorsi molti anni dalla nostra conoscenza, prima che capissi che avremmo dovuto essere diversi nella valutazione del mondo che ci circonda perché io, agnostico e di origine cristiana, e lui ebreo, grave colpa nell’ipocrito mondo nel quale viviamo.
Ho conosciuto la sua storia, che racconta ancora oggi a 85 anni andando nelle scuole per sensibilizzare quei ragazzi ancora più distanti di quanto lo fossi stato io alla loro età rispetto agli avvenimenti dei 16 ottobre del 1943, quando i nazisti rastrellarono il Ghetto di Roma per portare via uomini , donne e bambini, 1259 persone, di cui 689 donne, 363 uomini e 207 tra bambini e bambine: ne tornarono solo 16, 15 uomini e 1 donna.
Ho visto in questi giorni scatenarsi i nuovi nazisti, se possibile ancora più bestialmente crudeli di quelli del scolo scorso e sento il bisogno di citare le parole del mio amico, dell’uomo, Nando Tagliacozzo che ha scritto tra le altre sue memorie alcune parole che possono valere sempre in ogni luogo ed in ogni tempo e per ogni uomo che vive sulla terra.
“A volte il destino si ferma su un pianerottolo, a due metri da te. Sceglie, il destino. Non bussa alla tua porta, ma a quella di fianco, dove ci sono tua sorella di otto anni e tua nonna: e le porta via, per sempre. Tu sei ad un soffio da loro, la porta accanto è quella che ti sta risparmiando l’oblio. E la parabola della tua vita si staglia in quel metro che ti separa da quella porta sullo stesso pianerottolo. E ti lascia vivere, il destino. Forse ha scelto te, in memoria di milioni di morti. Dovrai testimoniare, fino a quando avrai fiato in gola.”
Credo che dovremmo farlo tutti, fino a quando avremo fiato in gola.
(Ottant’anni dopo ma anche otto giorni dopo)
*già Professore ordinario presso l’Università degli Studi di Salerno
