Nuovo olocausto: religioni, territori, ambizioni dittatoriali ed interessi economici
di Giuseppe Moesch*
Crimea, Taiwan, Cipro, Palestina, Nagorno Karabakh, Kossovo, isole Senkaku, sono solo alcune delle aree soggette a tensioni politiche ed in alcuni casi sedi di conflitti armati; l’ultima in ordine di tempo, anche se tutte hanno radici assai profonde, è l’area mediorientale, con la terrificante esplosione di violenza dei giorni scorsi destinata ad una inevitabile escalation.
Tutte quante le aree indicate, e non solo quelle, sono caratterizzate dall’esistenza di regimi dittatoriali, quasi tutti non democratici, eredi di antichi imperi, utilizzati come elementi aggreganti basati sull’orgoglio nazionale capaci di coinvolgere masse di individui addestrati a considerare quelle vestigia come loro diritto odierno e a rivendicare il diritto di ripristinare quei fasti ignorando la storia e le trasformazioni che si sono succedute.
Il tentativo di Putin di ricostituire l’impero sovietico e prima ancora quello degli Zar. In una situazione di decrescita dell’importanza della sua Russia ed in presenza della crescita di altre potenze, in primis la Cina, ha spinto l’autocrate ad intervenire con crescente protervia in Cecenia, in Georgia ed in ultimo in Crimea ed in Ucraina, giocando sulla debolezza del governo statunitense in particolare dopo l’irresponsabile abbandono dell’Afganistan.
Anche se l’ultima mossa non è andata a buon fine nei tempi brevi che si aspettava per la diversa consapevolezza della NATO e dell’UE, e degli stessi Stati Uniti, ha comunque contribuito a mettere in moto meccanismi analoghi in altre aree che già vedevano i germi di condizioni simili di ridiscussione dello status quo.
Lo stesso Putin, inoltre ha contribuito al sostegno agli azeri della repubblica dell’Azerbaijan, nei confronti della maggioranza del Nagorno Karabak di etnia armena. Nel 1991 quando l’Azerbaijan decise di staccarsi dall’ex Unione Sovietica, il Nagorno Karabak scelse di non seguire le vicende del resto del territorio e scelse con l’opposizione della nuova repubblica di costituire una nuova entità autonoma, all’epoca con l’approvazione dell’URSS. Nello stesso anno l’Azerbaijan iniziò i bombardamenti su quell’area e dopo una tregua con scontri vari che nel 2016 ripresero per quattro giorni e che furono sospesi con la mediazione della Russia e degli USA.
Nel 2020 ripresero i combattimenti ed ultimamente lo Stato mai riconosciuto dalla politica mondiale è stato dichiarato dissolto ed è rientrato a far parte dell’Azerbaijan con il conseguente esodo di oltre centomila profughi diretti verso l’Armenia. Pulizia etnica per il controllo del petrolio nell’indifferenza del mondo occidentale che dipende seriamente dal gas prodotto in Azerbaijan.
Non diversamente ha operato nella zona del Kossovo, sostenendo anche militarmente i Serbi.
La Cina dal canto suo sta aumentando la pressione su Taiwan e acuendo le provocazioni nei confronti del Giappone per il possesso delle isole Senkaku. Anche in questo caso la volontà del Presidente Xi Jinping, autocrate costituzionale a vita, afferma la propria leadership anche attraverso la repressione dei diritti umani delle minoranze mussulmane del nord del suo paese e rafforza con una forte presenza in vaste aree comprese Africa e Mediterraneo, con una fortissima azione di interventi infrastrutturali e pesanti accordi commerciali per il controllo di importanti materie prime.
Non meno tragica la strategia dell’altro autocrate presente sulla scena internazionale ovvero Erdogan, per la collocazione strategica che la Turchia riveste; oltre alla repressione dei curdi che si trascina da decenni, e la situazione di Cipro diviso in due dopo il blitz del 1973 denominato “Operazione Attila”, con il beneplacito dell’Inghilterra, che vide l’occupazione di un terzo dell’isola, situazione che permane nonostante l’adesione della parte greca alla UE. Anche la Turchia ha mire revansciste per la ricostruzione dell’impero ottomano e lo dimostra anche l’estensione della sovranità sul mare Egeo in spregio al diritto internazionale.
Analoga situazione in Medio Oriente dove ancora una volta l’Inghilterra, dopo il crollo degli imperi coloniali e quindi anche della propria presenza, decise di suddividere i territori secondo confini definiti da una segretaria con tratti di penna sulla carta geografica, su territori notoriamente indivisi, percorse da nomadi di tribù locali, di diversa origine, che si videro incasellati in nuovi confini governati da leader fantocci.
Il crollo dell’impero persiano ricostruito dallo Scià Reza Pahlavi e l’avvento di Khomeini, con la fondazione di un regime teocratico di matrice scita, aggiunse ulteriori elementi di instabilità che culminarono nelle guerre con l’Iraq di Saddam Hussein altro dittatore con mire espansionistiche che da sunnita era riuscito nel controllo del Paese, anche attraverso una politica di brutali repressioni sia nella zona del Kurdistan che nelle regioni del sud dopo il fallito tentativo di invasione del Kuwait.
Nello scenario si inserisce la situazione del Libano, Stato che, come tutti gli altri Stati arabi, fin dalla fine degli anni ’40, non accettò la risoluzione dell’ONU che prevedeva la divisione della Palestina in due Stati, combatté contro Israele, ed accolse oltre centomila profughi palestinesi scacciati da Israele, che rappresentano oggi l’altro drammatico elemento di scontro dell’area culminato dopo i vari scontri nelle varie guerre, essendo arrivati a superare i due milioni, modificando i rapporti interni di forza tra mussulmani e cristiani, facendo perdere a questi ultimi la maggioranza che aveva permesso loro di governare e gettando le basi per la successiva guerra civile.
Hezbollah, miliziani sciiti libanesi, sono stati attivi e pronubi dell’escalation con attacchi agli israeliani e successivamente con le relazioni strette con la Siria e successivamente appoggiati, finanziati e armati dagli iraniani. La presenza di quegli uomini in Libano rappresenta l’altro punto di pericolo per Israele; nel nord del Paese al confine con il Libano la presenza degli armati degli altri Paesi citati garantisce i rifornimenti di armi e di mezzi che giungono in Palestina anche attraverso l’Egitto.
Questa sommaria descrizione della situazione dell’area è il quadro all’interno del quale si inserisce la situazione di Israele e della Palestina dove gli abitanti di religione mussulmana precedentemente insediati in quel territorio si sono visti ridurre il loro spazio più o meno omogeneamente occupato fino alla fine della seconda guerra mondiale, quando, per volontà della coalizione vincente e voluta in particolare da Churchill, si decise di insediare gli ebrei in parte di quell’area per risolvere il problema del legittimo desiderio degli ebrei, dopo il dramma dell’immane tragedia dell’olocausto, di avere una patria, identificata con la terra promessa dalla quale peraltro provenivano.
Quello che accade oggi in Palestina si inserisce in ambedue i filoni suddetti.
Quindi da un lato la millenaria contrapposizione tra Sciiti e Sunniti, e dall’altra la rivendicazione del possesso di un territorio occupato dopo la seconda guerra mondiale sono gli elementi alla base della attuale drammatica situazione.
Allah-u Akbar e Morte agli Ebrei sono le grida risuonate come sottofondo alle violenze bestiali degli uomini di Hamas durante gli scontri e i rapimenti di anziani, donne e bambini negli ultimi video pubblicati da quei terroristi.
L’uccisione di donne e bambini, le ultime notizie parlano del ritrovamento di una quarantina di bambini uccisi con colpi di pistola, sgozzati e bruciati, ricordano quanto storicamente avveniva in Russia con i pogrom.
Non esiste etica nella guerra e le peggiori pulsioni umane, le più atroci forme primitive di cieca rabbia si possono riscontrare in quasi tutte le azioni militari.
Lo sfogatoio di antichi e recenti rancori da parte di soggetti più o meno acculturati emerge nelle scene raccontate in passato dalle penne di antichi scrittori ed ancor più oggi quando i mezzi di comunicazione di massa ce li mostrano, talvolta in diretta dai campi operativi.
Le fosse comuni con i segni delle torture lasciate sui corpi degli uccisi, gli stupri sistematici come segni del potere e dell’ingiuria lasciati sui corpi, spesso con la speranza di lasciare incinte le vittime per mettere le stesse di fronte al dramma di tenere per sempre accanto a sé la memoria di quell’evento o con l’alternativa di dover fare scelte difficili per evitare quell’angosciosa eredità, sono forme primitive, ancestrali che l’occidente non può accettare concettualmente ma che tollera perché considerate estranee alle loro vite tranquille.
Combattere per difendere la propria patria, le proprie famiglie, le proprie radici, le proprie tradizioni è accettato, con sfumature diverse da tutti i popoli, ma gli egoismi travalicano quei sentimenti; e quando si tratta di dover difendere quegli stessi valori in terre lontane vengono proposte soluzioni di indignazione collettiva a cui spesso non seguono altrettante prese di posizione operative.
La coscienza di questi atteggiamenti spinge allora chi è intenzionato a rafforzare il proprio potere ad agire senza scrupoli, magari ammantando le proprie iniziative della nobiltà di valori religiosi o di riscatto rispetto ad ingiurie lontane.
Le immagini di studenti davanti alle scuole che manifestano contro Israele, che si definiscono espressione della sinistra, non capiscono di essere i nuovi fascisti, e non sembra che i politici abbiano colto questo rischio.
La propaganda ha innescato un processo di odio e di radicalizzazione che i nostri giovani, come i giovani palestinesi, hanno assorbito in questo mondo ormai privo di valori.
L’aggregazione contro qualcuno o qualcosa è l’unico valore, purtroppo negativo, che riesce ad aggregare, e non sembra che gli irresponsabili che hanno messo in moto questa valanga ne siano consapevoli e vogliano fermarla, e se qualche azione sia ancora possibile.
*già Professore Ordinario presso L’Università degli Studi di Salerno
