Chi ha buttato il pullman giù dal ponte

di Giuseppe Moesch*

La ricerca delle comodità è stata spesso la molla che ha spinto gli uomini a trovare soluzioni per incrementare il proprio benessere.

Fu così, che dopo una notte trascorsa seduto in treno tra Buffalo a Westfield, George Mortimer Pullman intuì che fosse possibile costruire una carrozza ferroviaria contenente dei letti per permettere ai passeggeri di dormire durante le lunghe notti di viaggio di trasferimento tra città molto distanti tra di loro, e fu così allora che nel 1859 nelle officine Alton a Bloomington in Illinois, fu costruita la prima vettura letto.

Da allora le innovazioni si susseguirono con miglioramenti nel confort e nel lusso e le carrozze Pullman, come furono ribattezzate, segnarono i fasti delle più grandi compagnie ferroviarie, tra le quali brillò assurgendo a mito il famoso “Orient Express”, immortalato in film e romanzi.

La fine dell’epoca d’oro delle carrozze letto coincise con lo sviluppo del trasporto aereo e poi con l’avvento dell’alta velocità ferroviaria, e quelle vetture sono rimaste vestigia di un’epoca per i romantici e particolarmente agiati nostalgici come è avvenuto per il Blue Train, e ancora in poche altre zone come per la Transiberiana o altre linee in Mongolia o in Cina.

Tuttavia a quelle carrozze è restato appiccicato il concetto di lusso e di comodità quasi per antonomasia, ed è stato così che i normali autobus usati per il trasporto urbano o periurbano, hanno assunto il nome generico di Pullman quando utilizzati su lunghe distanze e con maggior confort.

A questa specie apparteneva il mezzo di circa tredici tonnellate coinvolto nell’incidente di Mestre; capace di trasportare fino ad 87 passeggeri, più uno posto per persone in sedia a rotelle, completamente elettrico ad emissioni zero, con controllo da remoto, telecamere interne ed esterne, dispositivo anti collisione e tutte le più moderne misure di sicurezza, anche per le batterie situate sul tetto capaci di resistere al fuoco per almeno due ore, che era entrato in servizio da un anno aveva una vita utile di nove anni.

La vera differenza tra le vetture ferroviarie e quel mezzo è rappresentato dal fatto che le prime viaggiano su sede propria mentre le altre si muovono in condizioni di promiscuità, su un sedime occupato da mezzi diversi e con caratteristiche eterogenee; si va così dalla piccola utilitaria anche molto vecchia a camion con rimorchio e TIR e per tutti quei mezzi i controlli tecnici sono abbastanza distanziati nel tempo e per quelli più vecchi non esistono sistemi di autodiagnosi.

Inoltre le condizioni di condotta sono delegate a personale in alcuni casi altamente professionalizzate, come sembra essere il caso dell’autista deceduto o degli altri autisti dei grossi mezzi, ma questi guidano contemporaneamente ad altri piloti che possono andare dal neopatentato all’anziano, tutte persone controllate normalmente con scadenza decennale o attraverso controlli sporadici in caso di infrazioni, per verificare eventuali assunzioni di alcolici o di sostanze stupefacenti.

Tutto il traffico avviene su strade con caratteristiche assai diverse, dalle piccole strade di campagna anche non asfaltate, alle più moderne autostrade con controlli complessi e sistemi di sicurezza assai diversi, gestite da soggetti terzi rispetto agli utenti.

Ed ecco il perché di questa lunga disquisizione; ci troviamo di fronte ad una tragedia con ventuno morti e decine di feriti, danni materiali incalcolabili, umani, materiali e di immagine, con un opinione pubblica attonita consapevole che chiunque avrebbe potuto trovarsi a bordo di quell’autobus che precipita da dieci metri d’altezza mentre percorreva a bassa velocità un viadotto vecchio di sessant’anni da circa sei anni dismesso dall’ANAS e ceduto al comune di Venezia, per il quale era stato avviato un programma di ammodernamento, avviato e purtroppo non ancora completato, e del cui stato la magistratura era a conoscenza.

L’indignazione per i disservizi e per le carenze del nostro sistema, un sistema di un Paese tra i più avanzati al mondo, che si evidenziano nella scuola, nella sanità, nei servizi sociali negli squilibri territoriali, ebbene quella indignazione porterà a chiedere giustizia per quanto accaduto, specialmente perché la politica mesterà nel torbido, e chiederà a gran voce che si trovi il o i colpevoli di tanto disastro, e si chiederà alla magistratura di rizzare il patibolo al quale attaccare i futuri colpevoli.

Senza voler anticipare le conclusioni che le varie inchieste trarranno sembrerebbe abbastanza probabile che il tutto sia dovuto ad un malore dell’autista, che sembrerebbe aver tentato di accostare il mezzo al guardrail come si fa quando non si riesce a controllare il mezzo per farlo fermare. Il caso ha voluto che oltre alla probabile scarsa tenuta dei materiali arrugginiti ed obsoleti del guardrail, il pullman si sia trovato a centrare un varco aperto, dove prima esisteva una scaletta per l’ispezione del ponte, e quindi, deviato, sia precipitato.

Se questa ipotesi sarà considerata come quella che descrive la dinamica dell’incidente, allora non sarà improbabile che sia ascrivibile a questa situazione la responsabilità e quindi a trovare un capro espiatorio in chi ha lasciato la strada in esercizio; ovvero a chi ha permesso la circolazione in quelle condizioni, non chiudendola al traffico.

Come appare evidente la cosa si trascina da anni, e la cronica mancanza di fondi e l’assenza di una ordinaria politica di manutenzione con interventi immediati, hanno portato a dover constatare come non siano così rari eventi simili quale quello del pullman caduto da ponte nel 2013 dal viadotto Acqualonga vicino a Monteforte Irpino in provincia di Avellino che vide la morte di 40 persone, il non meno tragico caso del ponte Morandi, dove la criminale inazione dei concessionari che non agirono per non affrontare gli importanti oneri di manutenzione, e molti altri incidenti, anche se con conseguenze altrettanto dolorose e drammatiche, siano il frutto di assenza di visione politica.

L’assalto alla diligenza perpetrata in primis dalla DC negli anni del boom e proseguita negli anni seguenti, appena interrotta dalla gestione Spadolini e ripresa dopo nella logica della “Milano da Bere” fino allo scandalo Chiesa e mani pulite e l’avvento di una magistratura politicizzata, che ha avallato l’idea di una sinistra destinata a governare perché portatore di valori virtuosi, anche occupandosi più di teoremi assai spesso campati in aria che dei reali problemi che affliggevano il Paese, unitamente alla assai discutibile gestione delle crisi susseguitesi da parte del Colle hanno portarono alla nascita dei governi Prodi, Monti con la conseguente politica dei tagli fino al disastro dei governi Conte che hanno dato il colpo di grazia al Paese.

Questa logica è quella che oggi è sotto gli occhi di tutti, in tutti i settori della nostra Italia: la sanità dopo la sciagurata riforma Bindi durante la sua gestione del Ministero nel governo Prodi con la possibilità per i medici di lavorare privatamente “intra moenia”, avendo gravato sullo Stato per la loro formazione e la mancanza di turnover con Monti ed i suoi successori; la scuola con l’immissione di docenti impreparati reduci dai fasti del ’68, il lassismo, l’intrusione dei genitori; la politicizzazione di una parte della Magistratura i cui effetti sono assurti anche in questi giorni con il caso Catania e Firenze, o gli altri che quasi quotidianamente la cronaca ci riporta; le infrastrutture di ogni tipo che hanno visto l’Italia perdere il controllo di alcune, la riduzione di ruolo in altre e la mancanza di investimenti non solo per nuove ma anche per il mantenimento dell’esistente.

Se oggi dovessimo intervenire per evitare il possibile verificarsi di altri disastri come quello di Mestre, dovremmo chiudere forse metà delle strade italiane perché non a norma, e di ciò è a conoscenza anche la Magistratura. Da oltre dieci mesi la procura di Venezia era a conoscenza della situazione del guardrail, e nulla ha fatto per bloccare la strada, ma farlo sarebbe stato considerato da irresponsabili considerando il ruolo che il viadotto stesso svolge per il traffico locale.

Vogliamo addossare ai magistrati la colpa del disastro?

Vogliamo attribuirlo al sindaco che non ha sospeso la circolazione?

Probabilmente si attribuirà la responsabilità al tecnico della azienda che ha vinto l’appalto per la sostituzione, perché non ha iniziato da dove avrebbe dovuto sapere che sarebbe caduto il Pullman, in tal modo avremo risolto il problema di una opinione pubblica ansiosa di veder correre il sangue, dei magistrati che avranno svolto efficacemente il loro lavoro e dei politici che potranno continuare nelle loro sterili discussioni attraverso opportune armi di distrazione di massa.

*già Docente Ordinario Università degli Studi di Salerno

Giuseppe Moesch Giuseppe Moesch

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