Lo spot di Emma
di Walter Di Munzio*
Emma è una bimba molto intelligente, è la protagonista di uno spot che pubblicizza una nota catena di supermercati e che è stato al centro di numerose polemiche che hanno coinvolto psicologi, divorzisti ed esperti di comunicazione pubblicitaria. È uno spot corretto eticamente? O si poteva tranquillamente evitare di farlo così? Tratta di genitori separati e di una bimba divisa tra l’amore per ognuno dei suoi genitori ed evidentemente desiderosa di fare qualcosa per riuscire farli ricongiungere, forse anche perché pensa inconsciamente di essere la responsabile della fine di quel rapporto.
Tratta in sostanza il delicato tema del divorzio con figli molto piccoli e del legittimo desiderio dei genitori di vivere pienamente la propria vita affettiva. È un quesito arduo, anche perché la domanda che immediatamente ci si pone è quella di chiedersi se sia meglio vivere con entrambi i genitori separatamente, ma in contesti tranquilli e magari riuscendo a vivere anche un buon rapporto con i nuovi compagni di entrambi o vivere in un contesto conflittuale tra litigi continui e palpabile infelicità, frutto di tradimenti e rifiuti verso l’altro. È un quesito che non può trovare una sola risposta, ma che va risolto caso per caso, anche perché la soluzione dipende dal proprio dal singolo caso, dalla storia di ogni singola coppia.
Devo confessare che quello spot non mi è piaciuto affatto. È efficace dal punto di vista della comunicazione pubblicitaria, non certamente dal punto di vista psicologico e del messaggio che arriva al telespettatore. Quanti bambini, figli di separati lo hanno visto? Quanti sono stati indotti a pensare che forse potevano agire, fare qualcosa per ricomporre quel conflitto, un conflitto che tanto dolore ha arrecato loro. Per queste implicazioni penso che si sarebbe dovuto evitare di collegare una banale catena di supermercati a una problematica come quella del divorzio tra genitori con figli piccoli. Non esiste alcun divorzio di questo tipo senza sofferenza, senza sensi di colpa, senza enormi problematiche di inadeguatezza e senza una profonda percezione di fallimento nella propria esistenza.
Non è giusto. Credo francamente che non sia stato giusto mestare nel torbido di questa coinè di sentimenti, in questo mare di conflitti. Ma il tanto parlare che se ne fa dimostra che la strada, dal punto di vista pubblicitario, è quella efficace. Che poi molti di noi siano rimasti perplessi di fronte a quelle sequenze appartiene forse alla singola esperienza vissuta e alla dimensione di propria sofferenza che quello spot ha richiamato.
La domanda da porsi allora è: cosa è consentito arrivare quando si vuole pubblicizzare un prodotto? Quali argomenti sarebbe eticamente giusto evitare? Quello di trattare questo tipo di divorzio forse lo è. Lasciamo alle singole persone i loro errori e tutto il loro dolore.
Credo francamente bisognerebbe avere più attenzione a cosa comunichiamo e, anche quando ci sembra efficace, evitare di trattare argomenti così sensibili in modalità così superficiale. L’amore di un genitore o la ricomposizione di un rapporto finito, certamente non si recupera con una pesca, né con un escamotage affettivo crudele che fa leva solo sui sensi di colpa.
Dopo uno spot così concepito certamente non metterei mai piede in quel supermercato.
*Psichiatra e Giornalista
