Mi dissocio dalla dissociazione
-di Giuseppe Moesch*
Nella mitologia greca la figura di Zeus è fortemente legata ai suoi comportamenti esuberanti le cui conseguenze ricadono sugli dei prima e quindi sugli uomini.
È noto come Giunone fosse infastidita dalle continue intemperanze del marito ma questo non portava il suo sposo a più miti consigli, e tra le scappatelle è nota quella che lo vide protagonista, sotto forma di toro, con Europa, da lui rapita, dalla quale ebbe tre o cinque figli tra i quali Minosse, che fu successivamente adottato dal re di Creta Asterio, divenendo suo successore, e sposando Pasifae e procreando con lei otto figli; la regina tuttavia mise al mondo altri tre figli di cui uno, Ammone, con Zeus, oltre al Minotauro.
I Cretesi, ritenendo Minosse un re illegittimo ed usurpatore, continuavano a non dargli credito anche dopo la vittoria sugli ateniesi che gli avevano ucciso uno dei figli perché aveva vinto tutto ai giochi che si erano svolti in quella città; questo atteggiamento spinse il re a chiedere aiuto a Poseidone, che come segno della sua benevolenza fece uscire dal mare uno splendido toro bianco da immolare in sacrificio per lui.
Era troppo bello e Minosse preferì mantenerlo tra i suoi tori preferiti e decise di sacrificare un altro capo del suo branco; il dio del mare si sentì offeso e con l’aiuto di Afrodite fece innamorare pazzamente Pasifae della bestia.
All’epoca viveva a Creta Dedalo, artista, pittore, scultore e architetto, fuggito da Atene perché accusato di omicidio del suo allievo per il quale provava invidia, ed a lui si rivolse Pasifae per aiutarla a soddisfare le sue voglie perverse.
L’artista non ebbe difficoltà a costruire una giovenca di legno con ruote nascoste sotto gli zoccoli e ricoperta della pelle della femmina preferita da quel toro.
La struttura presentava uno sportello nel ventre che permise alla donna di entrare, infilando le gambe nella parte interne delle zampe, permettendo così al toro di montarla.
Anche in questo caso la donna si dimostrò feconda e dall’unione venne fuori un essere bipede con testa, coda e peli taurini ed un’indole ferina, mangiatore di giovani, che il re Minosse impose come corvè agli ateniesi che dovevano inviare sette giovani donne e sette ragazzi ogni anno per soddisfare quella necessità.
Per le sue caratteristiche psicofisiche il Minotauro non poteva sgambettare liberamente per la reggia ed il re si rivolse all’architetto di fiducia della corte, ovvero a Dedalo, perché costruisse una struttura da adibire a luogo di ritenzione che una volta terminato andò a formare quel famoso labirinto, o per antonomasia il “dedalo”, nel quale rinchiuse oltre al figlio partorito dalla moglie, anche il progettista ed il di lui figlio, Icaro.
La storia di Teseo ed Arianna è fin troppo nota mentre in questa sede interessa di più affrontare la sorte del povero Dedalo, professionista serio ed accreditato nell’intera area egea, ritrovatosi imprigionato per aver adempiuto ai desiderata della committenza.
Da buon ingegnere sì industria a mettere insieme con penne e cera delle ali che attacca alle proprie spalle e a quelle del figlio per poter raggiungere il sogno dell’intera umanità ovvero quello di volare, ma più prosaicamente per poter scappare dalla prigionia.
Com’è noto furono inutili le raccomandazioni rivolte ad Icaro sia di non volare troppo basso per evitare che la rugiada e l’umidità in generale potessero appesantire la struttura, sia di evitare di volare troppo in alto per evitare che il calore del sole potesse sciogliere la cera.
Conosciamo la tragica fine del mito, che forse possiamo considerare il primo disastro dell’aviazione civile mondiale, dal quale tuttavia possiamo ancora oggi trarre una qualche lezione.
La ricerca di base, teorica, è fondamentale per ogni possibile evoluzione del pensiero umano ed è quella che ci permette di affrontare temi complessi e tentare di risolvere bisogni emergenti nella società; in campo medico ad esempio la cura di malattie infettive o neoplasie, in campi sociali come intervenire per affrontare crisi economiche derivanti da comportamenti incongrui nell’uso delle tecnologie informatiche, in campo trasportistico come affrontare il problema degli spostamenti in maniera economica e non inquinante.
Tuttavia dopo la fase di studio subentra la fase di sperimentazione, di prototipizzazione e quindi di sperimentazione in corpore vili, all’interno di protocolli predefiniti.
Per una ventina d’anni ho insegnato da economista in facoltà di Ingegneria, ed ho avuto il privilegio di comprendere in parte il modus vivendi di quei ricercatori.
Come accadde per Dedalo, non sempre i risultati vanno ascritti tra i successi assoluti; nel campo del volo abbiamo avuto tragici episodi, dai primordi fino ai più recenti drammatici eventi, come missili esplosi in fase di lancio, e molti sono i casi che hanno visto la morte dei ricercatori che hanno sperimentato sulla propria pelle gli effetti delle loro ricerche.
Anche nel settore automobilistico è accaduto lo stesso: nel 1769 il Carro di Cugnot, considerato a ragione la prima automobile con propulsione a vapore, finì contro un muro per un problema del sistema frenante, risolto poi nel 1771.
Tutta la storia dell’automobilismo è costellata di tragici incidenti derivanti dalla sperimentazione spinta praticata sulle piste, nonostante i rigidi protocolli applicati, anche su strada, ad esempio, veicoli sperimentali certificati, come sembrerebbe il caso di quello esploso a Napoli, sono andati incontro ad episodi incidentali.
In realtà iniettarsi un vaccino sperimentale che potrà salvare la vita a milioni di persone in futuro non è diverso da quello che si fa sperimentando la guida autonoma senza guidatore su veicoli che già girano in strada.
È il progresso e la ricerca, e cercare responsabilità è un esercizio giornalistico e di costume, oltre che un doveroso obbligo della magistratura.
Andare a centoquaranta chilometri orari per strade dove vige un limite di trenta ed uccidere un bambino di cinque anni è un atto criminale; portare su strada un veicolo sperimentale che ha superato i controlli previsti e che è esploso per le bombole di idrogeno che portava a bordo è altra cosa.
Saranno gli inquirenti a decidere se e chi sia il responsabile.
Quello che stupisce è la presa di posizione dell’Università che ha cullato il progetto di ricerca e che ha rivendicato qualche mese prima con orgoglio l’origine di quella stessa ricerca.
Nel campo della ricerca il settore delle auto ibride e ad energia alternativa è stato uno dei più interessati, con riconoscimenti internazionali al team guidato dal professor Gianfranco Rizzo, da poco andato in quiescenza, che è stato tra l’altro messo in evidenza su Rai1 il 22 dicembre scorso con un numero di spettatori pari a tre milioni, con grande soddisfazione dell’Ateneo salernitano, lieto dei successi dei propri ricercatori.
Comprendo il terrore della dirigenza di vedersi coinvolta nel tragico incidente di Napoli, sia sotto il profilo dell’immagine che per l’eventuale responsabilità economica, che l’ha portata a dissociarsi dall’evento.
Le accuse però sono venute da fonti altre rispetto a quelle ufficiali degli organi competenti, per cui è apparsa totalmente fuori luogo la presa di posizione dell’Università.
Avendo fatto parte di quell’Ateneo ed essendo personalmente estimatore ed amico del Professore Rizzo, intendo sottolineare e ribadire la mia stima nei suoi confronti, nella speranza che l’Università sappia continuare nella via della ricerca e permettere ad altri di osare in nome della scienza per non precipitare nell’oscurantismo dei secoli bui.
*Già Professore Ordinario presso l’Università degli Studi di Salerno