Fuoco islamico in terra di Francia

di Giuseppe Esposito-

Parigi brucia e le fiamme avvolgono le banlieues di tutte le maggiori città francesi.

Il casus belli è stata la protesta contro l’uccisione di un ragazzo arabo di 17 anni, da parte di un poliziotto. La protesta era cominciata in maniera pacifica ed era legittima richiesta di  fare giustizia sull’accaduto; la cosa è stata poi strumentalizzata da quell’Islam presente nelle periferie francesi e sempre più radicalizzato.

Qualcuno ha soffiato sulla brace sempre viva, sotto la calma apparente e l’incendio è divampato.

Le periferie francesi sono ormai in gran parte popolate da immigrati di seconda e anche di terza generazione, mai integrati nella società francese. Gente che ha da sempre coltivato quella che l’Ispettore della Pubblica Istruzione francese, Jean Louis Obin, ha definito la separatezza, ossia la volontà dichiarata di non integrarsi e di combattere la laicità coltivata nella legislazione d’oltralpe, nata dalla rivoluzione del 1789.

L’origine del problema risale ad alcuni decenni addietro ed in parte è una conseguenza del passato coloniale francese. Tuttavia, anche se la questione era già stata individuata da alcuni decenni, è stata lasciata incancrenire da una classe politica che si dichiara progressista e che ha da sempre coltivato il mito dell’impossibile, nei fatti, multiculturalismo. In tutte le società in cui questa idea è stata coltivata si è assistito al suo fallimento, sebbene i suoi sostenitori si rifiutino ancor oggi di riconoscerlo, vedi ad esempio i problemi sempre aperti osservabili negli USA, con la popolazione nera.

Non si vuole accettare l’idea che l’islam non si limita ad essere una religione, ma è una filosofia totalizzante in cui la separazione tra lo stato e la chiesa non è concepibile: una società islamica non potrà mai essere laica. Basti guardare a quanto accaduto in tutti i paesi del medio e lontano Oriente in cui i partiti islamici sono arrivati al potere. Qui il  Governo del paese si basa su norme religiose antiquate e rigide in cui tutte le conquiste della società moderna sono negate, vedasi ad esempio la posizione della donna o la libertà di espressione nell’arte e nel giornalismo.

In nome di quelle norme vi sono, ancor oggi, genitori disposti persino ad uccidere le proprie figlie che vorrebbero derogare alle norme dettate da una visione oscurantista della società. Di tutto ciò ne abbiamo avuti esempi recenti anche in Italia.

In Francia le segnalazioni circa il pericolo rappresentato dall’Islam nelle scuole risalgono ad alcuni decenni fa, ma sono state sempre ignorate dai governi e considerate inutili allarmismi.

Tuttavia, da un’inchiesta condotta dal quotidiano L’Opinion è risultato che oramai l’abbigliamento islamico nelle scuole risulta prevalente. Il velo, la abaya (l’abito tradizionale femminile) ed il kamis, abito tradizionale maschile, risultano adottati dalla maggioranza della popolazione scolastica nelle regioni cha vanno dall’Oise all’Aisne, da Clermont Ferranda a Bordeaux. Tutto ciò in barba o in aperta opposizione alla legge francese che vieta la presenza di simbolo religiosi nelle scuole.

Abaya e kamis sono il segno di un radicalismo sempre più presente nei licei francesi e che si rifà al wahhabismo, interpretazione rigida del Corano diffusa nei Paesi del Golfo Persico.

Per alcuni analisti tale radicalizzazione è il segno tangibile di una operazione concertata contro le istituzioni e fomentata da movimenti come quello dei Fratelli Musulmani.

Nella società francese si avverte, insomma, sempre più pesantemente la pressione dell’Islam politico.

Il coinvolgimento dei giovani è sempre più vasto e, secondo una ricerca della Fondazione Jean Jaurés, se nel 1989 solo il 7% dei giovani, tra i 18 e i 24 anni, frequentava la moschea, oggi questa percentuale è salita all’50%.

Appare significativa l’esperienza del giornalista di origini siriane Omar Joussef Soulemaine che ha affermato: “Quando ho lasciato la mis Siria per la Francia, non avrei mai immaginato che un giorno avrei ritrovato la radicalizzazione islamista da cui ero fuggito.”

La guerra in corso in seno alla società francese e che ha come scopo la radicalizzazione delle scuole ha un inizio che si può fissare nell’anno 1989. Era quello l’anno del bicentenario della rivoluzione francese e quello di pubblicazione, in Francia, del libro “Versi satanici” di Salman Rushdie.

L’atteggiamento di eccessiva tolleranza del fenomeno ed il mancato intervento della politica ha permesso che si arrivasse ad una situazione di estrema gravità, contro cui sembrerebbe essere già troppo tardi.

Nel 2020 Caroline L., docente alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Marsiglia, è finita al centro di un’inchiesta della magistratura per “ingiuria pubblica contro appartenenti a una religione”.

Il reato commesso dalla professoressa era stato quello di aver affermato, durante un corso sulla libertà di espressione che: “Nell’islam non c’è libertà di coscienza. Se nasci da un padre musulmano, sarai musulmano per tutta la vita. Si tratta di una religione trasmessa sessualmente. Uno dei maggiori problemi che abbiamo con l’islam è che esso non riconosce la libertà di coscienza. È una cosa assolutamente terrificante.”

Sembra quasi un controsenso, ma è invece un sintomo grave della situazione francese di oggi. E pensare che i nostri cugini d’oltralpe, quando la Destra è andata al governo hanno affermato che avrebbero vigliato sul rispetto dei diritti umani nel nostro paese, criticandoci per la nostra gestione dei migranti. Ora Macron ha davvero delle castagne assai difficili di ritirare dal fuoco.

Tutti coloro che, fino ad oggi, segnalavano la presenza di un problema così grave, sono sempre stati etichettati come reazionari allarmisti, da coloro che si professano progressisti e che non sono in grado di leggere la realtà. Gente del genere abbonda anche in Italia e costituisce, anche per noi un serio pericolo.

Già nel 2004 l’ispettore scolastico Jean Pierre Orbin aveva inviato al governo una relazione sull’argomento, intitolata: “Segni e manifestazioni di affiliazione religiosa nelle scuole.” Relazione ignorata da tutti i governi che si sono succeduti all’Eliseo.

Il rapporto venne presentato l’anno dopo l’uscita del libro di Georges Bensoussan: “I territori perduti della Repubblica”. Ma, ovviamente nemmeno questa denuncia venne presa in considerazione dai progressisti al governo. L’argomento venne accantonato e, pertanto lasciato incancrenire.

Ma queste denunce ignorate erano destinate a divenire d’attualità nel 2020, dopo la decapitazione del professor Samuel Paty, ad opera di uno studente islamico, colpevole solo di aver mostrato alcune delle vignette di Charlie Hebdo, durante un corso sulla libertà di espressione. Un gesto che, ove ancora necessario, afferma l’avversità del pensiero islamista a tale conquista della società moderna.

L’ispettore Orbi, a quasi vent’anni dal suo primo rapporto sul pericolo islamico nella scuola francese, afferma che la situazione nei licei di Francia è ancora peggiorata denunciando un fatto davvero preoccupante. Secondo la sua esperienza, se fino all’assassinio di Paty, gli insegnanti che si autocensuravano per paura di incidenti era del 37%, oggi essa è salita al 50 % e se ci si limita ad un campione di professori, al di sotto dei trent’anni essa sale ad un valore che è una vera e propria soglia di pericolo, ossia quella percentuale si impenna fino al 75%.

Una condizione che mina alla base la scuola francese e che si è aggravata sempre più a causa della sottovalutazione di quei politici soi disants progressisti e che, invece, ignorano del tutto e volutamente la condizione del paese.

Oggi i nodi stanno venendo al pettine e le periferie sono oramai in aperta rivolta contro l’autorità dello Stato e contro i principi su cui si basa la società nata dalla rivoluzione dell’89.

Va inoltre osservato che, problemi con l’immigrazione islamica si stanno verificando in tutti quei paesi che avevano praticato, inizialmente, un’accoglienza indiscriminata, come la Svezia e il Belgio. In questi paesi vi sono intere zone sottratte all’autorità dello stato in cui si sono create comunità islamiche padrone del territorio. Realtà che sembrano oramai fuori controllo. Ma anche in casa nostra siamo costretti ad ascoltare vecchi tromboni, venduti al neoliberismo ed alla favola del multiculturalismo. I politici neanche adesso riescono a leggere la realtà che è esplosa nella vicina Francia, continuando a proporre l’immigrazione come rimedio al nostro calo demografico, calo causato invece  dalla disastrosa gestione soggetta alle idee neoliberali e globaliste.

In Italia non siamo ancora giunti al limite esasperato degli altri paesi ma siamo sulla buona strada ed avanziamo ad una velocità sempre maggiore verso lo stesso esito. Se non ci si pone un freno oggi saremo travolti da un fenomeno che l’Europa si rifiuta di riconoscere e la cui gestione ha demandato solo all’Italia.

A tutt’oggi gli immigrati irregolari, nel nostro paese, sono già più di 600.000 e visti gli sbarchi continui, il loro numero è destinato a crescere rapidamente. Occorre prendere le decisioni giuste per arrestare il flusso che da tutto il mondo si dirige sulle nostre coste mentre  ma l’Europa tutta sembra sia in preda ad un terribile “cupio dissolvi” lasciandosi anche coinvolgere in una guerra disastrosa per le nostre finanze, essendo incapace di assumere un ruolo autonomo dagli USA. Sul problema delle migrazioni dunque, l’Europa si sta rivelando, ogni giorno di più,  inadatta al ruolo che si era immaginato per la UE.

Al giorno d’oggi verrebbe da dire che l’utopia dei creatori del Manifesto di Ventotene è stata completamente ignorata ed oggi ci ritroviamo una comunità che on ha più ragion d’essere. Non resta che certificare il fallimento dell’idea di Europa Unita.

Ma con le premesse odierne, il futuro potrebbe essere assai doloroso. Occorre far presto!

Giuseppe Esposito

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