Perché il “colpo di Stato” di Prigozhin avrebbe potuto essere un boomerang?
Era notte, in Italia, quando Yevgeny Prigozhin e la sua milizia Wagner hanno iniziato a ribellarsi al potere per il quale stanno lavorando da quando, un anno e mezzo fa, è iniziata la guerra tra Russia e Ucraina. In realtà, erano settimane che il capo della milizia stava “bombardando” a parole il Cremlino, reo di essere invischiato in una guerra inutile e dannosa, che sta lasciando sul campo centinaia di migliaia di morti e che sta distruggendo una generazione.
Eppure Prigozhin di Putin è un prodotto: è stato il Presidente russo a portarlo con sé quando è salito al potere. Ex venditore di hot dog – se la cosa vi sembra familiare, tranquilli, è così – con Putin arriva al Cremlino e diventa famoso come “il cuoco”, “lo chef”.
Poi lascia la ristorazione e passa all’industria bellica privata: fonda una milizia. Nel 2014 nasce la brigata Wagner, che ormai opera in tutto il mondo, in modo particolare in Africa, continente che non ha certo bisogno di aiuti esterni per farsi la guerra.
Ma il suo “colpo di Stato”, che di teatrale ha tanto e di reale poco e niente, dura l’espace d’un matin per dirla coi francesi, na fumata di sigaretta, sott’al Vesuvio.
Dopo aver “conquistato” – è una storia piena di virgolette questa – Rostov, Voronezh e Lipetsk, Prigozhin ha preferito fermarsi a circa duecento chilometri da Mosca.
“Facciamo un passo indietro e torniamo al Sud. Così evitiamo un bagno di sangue”, ha dichiarato.
A spiegare le ragioni del gesto è ancora Prigozhin: “Volevano sciogliere Wagner. Siamo partiti il 23 giugno per la “Marcia della giustizia”. In un giorno abbiamo marciato a poco meno di 200km da Mosca”. Una prova di forza, dunque. Una prova di forza e una ripicca. Alla fine, la grande storia è fatta sempre di piccoli personalismi.
Ma cosa sarebbe successo se il colpo di Stato fosse proseguito e avesse assunto altre dimensioni?
Personalmente, credo che per le sorti della guerra – se la si guarda dalla parte ucraina, beninteso – avrebbe potuto essere un boomerang per almeno quattro ordini di motivi.
Primo, Prigozhin è potente, molto potente. Ma in determinati contesti questo non basta. Prigozhin, il potente, è pur sempre un parvenu, un arricchito. Putin era l’uomo del glorioso Kgb, lui quello degli hot dog. C’è una bella differenza. È ricco, molto ricco, e tanto gli basta per guidare una legione di mercenari, non per ottenere la deferenza dei quadri militari di Mosca.
Secondo, Putin è ancora forte tra i militari perché non ci sono valide alternative. Non esiste un vice Putin desideroso di corroderne il potere. Medvedev è un cane ringhioso che gioca a fare il poliziotto più cattivo ma di fronte a Putin trema. No, non c’è, in Russia, un anti-Putin tra i putiniani, quel qualcuno che potrebbe cambiare le carte in tavola.
Terzo, è storia nota che, in momenti di difficoltà e di aggressione, ci si leghi ancor di più al potere costituito. Ciò che è Putin oggi per la Russia. È in difficoltà bellica, è vero, ma gode, come detto, ancora dell’appoggio dei militari. Il tentativo di colpo di Stato non avrebbe fatto altro che legare in maniera ancora più indissolubile il destino di poveri inermi a quello del loro capo.
Anzi, non mi stupirei se quella di oggi fosse stata solo una messinscena studiata a tavolino. D’altronde, quando si tratta coi mercenari è sufficiente cacciare i denari per vedere il cammello.
Quarto, per stessa ammissione di fonti del Pentagono, la controffensiva ucraina sta procedendo in maniera più lenta e disorganica del previsto.
Lo ha confermato anche Volodymyr Zelenski, che si è detto comunque convinto che, alla fine, l’Ucraina prevarrà sull’invasore.
Dunque, comunque la si guardi e quale che sia la ragione dietro il gesto di Prigozhin e della sua milizia, tutto ciò non può passare inosservato perché rappresenta uno di quei piccoli tasselli di cui si compone la Storia.
Avrebbe potuto essere una rivoluzione, è stata una bolla che si è presto sgonfiata. Ma forse è stato meglio così.
