Giovedì 15 in Consiglio dei Ministri il ddl “Berlusconi” sulla giustizia
di Pierre De Filippo-
Approda giovedì 15 giugno in Consiglio dei Ministri il disegno di legge del ministro Nordio sulla giustizia, quello che è stato definito, a meno di ventiquattr’ore dal suo funerale, il “ddl Berlusconi”, una riforma garantista che tocca la giustizia in più punti e che, com’era facile immaginare, sta suscitando ampie polemiche. Dall’abrogazione del reato di “abuso d’ufficio” a una disciplina più stringente sulle intercettazioni, dai maggiori paletti per i casi di custodia cautelare fino ad un freno alla possibilità di appellare, da parte dei Pm, le sentenze di assoluzione.
L’obiettivo dichiarato di Nordio è quello di prevedere “maggiori garanzie per chi è indagato”.
In primis, l’abrogazione del reato di “abuso d’ufficio”, questo grande ombrello sotto il quale, in via interpretativa, poteva essere ricompresa un’amplissima gamma di reati derivanti dalla firma – da qui, la cosiddetta “paura della firma” – di funzionari pubblici e sindaci.
La maggioranza era spaccata: c’era chi, come la Premier, spingeva per una sua più chiara definizione e chi, come gli alleati di governo (Forza Italia in primis), spingeva per l’abrogazione.
Sul punto, si è scatenata l’opposizione dell’Associazione nazionale magistrati (come nei migliori giorni del Berlusconismo).
“Assurdo cancellare l’abuso d’ufficio contro il parere dei giudizi”, sostiene il presidente dell’Anm Giuseppe Santalucia. Dello stesso parere, l’ex magistrato Nello Rossi: “Con questo ddl il governo di destra punta ad un doppio binario: pugno duro contro la criminalità violenta e trattamento di riguardo per i reati economici” dice colui che è stato, per anni, uomo di punta di Magistratura democratica, la corrente più a sinistra della nostra magistratura.
Per Sebastiano Ardita, ex membro del Csm molto vicino a Piercamillo Davigo e quindi al Movimento 5 Stelle, il provvedimento “creerà un vuoto nell’ordinamento penale che travolgerà anche i processi già celebrati”.
Di parere opposto, il viceministro della Giustizia, il forzista Francesco Paolo Sisto: “Così si sblocca il Paese. Una settimana fa Berlusconi mi aveva detto di andare avanti”.
Rifacciamoci ai numeri, che non dicono tutto ma non mentono mai: quelli del 2021 dicono che su 4.745 iscritti nel registro degli indagati ci sono state 18 condanne. Mi pare inutile anche commentare.
C’è poi il tema delle intercettazioni: viene vietata la pubblicazione di conversazioni “se non sono riprodotte dal giudice nella motivazione di un provvedimento o utilizzate in dibattimento”. Ai giudici e alle procure la responsabilità di procedere alla distruzione di quelle irrilevanti o che citino terzi che nulla hanno a che vedere con l’oggetto della discussione.
Pronta anche in questo caso la replica dell’Ordine dei giornalisti, che esprime preoccupazione: “va garantito il diritto all’informazione, in particolare sui fatti di interesse pubblico”.
Dove si dica il contrario mi sfugge.
Sulla custodia cautelare, il principale elemento di riforma è che a decidere il provvedimento non sarà più un giudice monocratico ma un collegio. Viste le ristrettezze d’organico e le procedure, bizantine e alquanto discutibili e discusse, per l’assunzione di nuovi magistrati verrebbe da chiedersi dove pensa di trovare tutta questa manodopera specializzata il ministro. Magari sarà conseguente attraverso una riforma del reclutamento.
In ultimo, l’inappellabilità. Argomento delicato: la legge Pecorella (2006) prevedeva già l’inappellabilità per il Pubblico ministero qualora l’imputato fosse stato assolto in primo grado (altro grande cavallo di battaglia del Cavaliere). La norma era stata però cassata dalla Corte costituzione l’anno successivo per “violazione dei principi di giusto processo e di parità tra le parti”. Nordio, per tutelarsi, nella relazione che affianca il ddl specifica che la misura varrà solo per casi di particolare tenuità. Staremo a vedere cosa ne penserà la Consulta.
In definitiva, un buon inizio per chi condivide una visione garantista della giustizia nella quale non solo si è innocenti fino a prova contraria ma anche che è preferibile che vi sia un colpevole libero che non un innocente “in catene”.
È un primo passo. Il prossimo? La separazione delle carriere, di cui si parla da anni ma che mai ha visto la luce.
Un’altra considerazione è che ciò a cui abbiamo assistito è stata una plastica ribellione dei principali corpi intermedi – magistratura e stampa – nei confronti della politica. Due cani famelici che ormai da trent’anni banchettano su ciò che resta della politica e della sua dignità.
