Viva la Rai, tra nomine, lottizzazioni e spettacoli già visti
-di Pierre De Filippo-
C’è voluta un’altra, rovente, nottata per appianare tutti i nodi che erano emersi rispetto alle tanto agognate nomine Rai. Nomine di direttori e responsabili, figure apicali, dalle quali poi discenderanno quelle di conduttori, conduttrici e palinsesti.
Con l’addio, spontaneo ma, nei fatti, fortemente sperato e spinto, dell’ex amministratore delegato Carlo Fuortes e l’arrivo di Roberto Sergio, il governo ha messo, come si suol dire, le mani sulla e nella televisione di Stato. Sergio ha poi portato con sé, come direttore generale, Giampaolo Rossi che, da anni, organizza il festival meloniano ad Atreju.
Di lì in poi avevano iniziato a rotolare le prime teste: quella di Fabio Fazio e di Luciana Littizzetto che, anticipando ciò che certamente sarebbe avvenuto, hanno scelto in autonomia di lasciare la Rai e il loro Che tempo che fa per sbarcare su Nove. Stesso discorso, con ben maggiore sorpresa, per Lucia Annunziata, che proprio ieri si è dimessa, in aperto contrasto con le scelte governative (“non condivido niente, né nel merito e né nel metodo”). Un addio più “politico”, sia per i temi trattati e sia per il peso che la Annunziata ha sempre avuto in Rai, di cui è stata anche presidente, oltre che per le sue mai taciute simpatie e preferenze.
L’ultimo Cda ha quindi proceduto alla nomina di Gianmarco Chiocci (ex de Il Tempo e il Giornale, ora all’Adnkronos) al Tg1, fortemente voluto da Giorgia Meloni; Antonio Preziosi, quota Forza Italia, al Tg2 e Mario Orfeo, che sopravvive all’epurazione collettiva e, in quota Pd, rimane al Tg3. Seguono nomine minori allo Sport e ai Tg regionali.
Salta, come era prevedibile che fosse, anche il posto di Stefano Coletta, “l’uomo Sanremo”, di cui si aspettano le tristi spoglie dalla fine della kermesse o, per meglio dire, dal bacio tra Fedez e quell’altro. (Rosa Chemical, per la cronaca).
Al posto di Coletta, Marcello Ciannamea, Lega.
Questo quadro raccoglie, in consiglio d’amministrazione, il voto favorevole dei membri governativi (Simona Agnes per FI e Igor De Biasio per la Lega), l’astensione di Alessandro Di Majo dei Cinque Stelle (che ottengono, con Carboni, la direzione di Rai Parlamento e son contenti così) ed il voto negativo di Bria (Pd), Laganà (dipendenti) e anche, a sorpresa, della presidente Marinella Soldi, che lamenta una poca attenzione alla parità di genere.
Verrà defenestrata anche lei alla prima occasione buona? Può darsi.
Un cda spaccato come raramente si era visto, una certa resilienza della Rai verso questo cambio di “narrazione” del Paese – l’espressione è di Gianmarco Mazzi, ex direttore del Festival di Sanremo e ora Sottosegretario alla Cultura – che procede a grandi falcate.
È difficile dirsi stupiti dinanzi a queste dinamiche: le vediamo e conosciamo dalla notte dei tempi. Prima c’era la lottizzazione – un po’ a me e un po’ a te – quando il quadro politico era, al tempo stesso, frammentato e immobile; ora c’è lo spoil system: vinco io, metto i miei, vinci tu, metti i tuoi. Quello che colpisce è quanto questo processo risulti, a ben guardare, anacronistico: davvero si crede che la “narrazione del Paese” la faccia la Rai? O, almeno, solo la Rai? Davvero si crede che per rafforzare il proprio potere e la propria presa sull’elettorato – oggi, con Twitter, ChatGpt, l’Intelligenza artificiale, i bot – basti indicare un direttore di testata? Ma, senza voler uscire dai confini televisivi, chi credete abbia mosso più voti? Lucia Annunziata con Mezz’ora in più o Nicola Porro con le sue intemerate? Fazio o Del Debbio?
Ecco, basterebbe questo per dire che, oggi, non ha alcun senso correre per accaparrarsi un’informazione di cui nessuno più può vantare il monopolio. E questo è certamente un bene. E che spesso sfugge anche alle rigide colonne della veridicità. E questo è certamente un male.
Sarebbe più opportuno riformare la Rai ma farlo davvero: attraverso una importante cura dimagrante – un canale nazionale, un canale radiofonico e investire a tutta birra su Raiplay –, mettere a gara tutto ciò che non è servizio pubblico (consiglio: è molto più semplice e sbrigativo concentrarsi su ciò che lo è) e lasciare partite e grandi eventi agli appetiti dei privati.
Un nuovo cda fatto di esperti – esperti veri – nominati dal Presidente della Repubblica e un amministratore delegato – delegato del cda, non della politica – di nomina governativa.
Fuori i politici dalla Rai e fuori la Rai dalla politica
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