Stiamo perdendo l’Italia sotto i nostri piedi

di Pierre De Filippo-

Stiamo perdendo l’Italia sotto i nostri piedi: chiunque abbia visto quel breve filmato registrato nel forlivese della strada che, letteralmente, scorre via come fosse un fiume non può non avere pensato questo. La nostra bell’Italia ci sta sfuggendo di mano, si sta sgretolando come fosse tufo materano, come fosse gesso. Bella, bellissima e fragile, fragilissima. Un destino cinico e baro.

È un’altra giornata campale quella che abbiamo vissuto mercoledì 17 maggio, con l’Emilia Romagna nuovamente epicentro di un disastro ambientale: dopo il terremoto, una nuova alluvione.

Abbiamo visto la A14 smettere di essere un’autostrada e trasformarsi in una gigantesca pozzanghera; abbiamo visto campi ormai inutilizzabili, cantine inondate, case fradice; abbiamo ascoltato quella madre – con l’acqua fino al petto – gridare “salvate il mio bambino”; abbiamo rivisto i morti, i dispersi, gli sloggiati.

Immagini con le quali stiamo tristemente iniziando a familiarizzare, rimanendo inebetiti come fosse la prima volta.

Il maltempo imperversa in Romagna ma non solo: l’allerta rossa anche in Campania, in Basilicata, in Calabria, altri territori fragili e delicati, non solo da un punto di vista ambientale e morfologico.

Perché è tutta Italia che pare stia cedendo sotto il peso di anni di incuria, manutenzione mai fatta, greti dei fiumi non ripuliti, abusivismo, malaffare e insipienza politica. Sarebbe lunghissimo l’elenco se volessimo ripercorrere cinquant’anni di disastri, basta limitarsi agli ultimi che vedono interessata la via Emilia e l’isola d’Ischia.

Come detto, c’è tutto. in primis, le trasformazioni climatiche, ormai non più dei cambiamenti ma delle vere e proprie rivoluzioni: quando, in pochi giorni, cade l’acqua di un anno non sai davvero più a che santo votarti.

“A Forlì è un incubo, i danni sono incalcolabili”, dice il sindaco Gian Luca Zattini. Poi si calcoleranno e ammonteranno a svariati miliardi di euro nel suo complesso.

C’è l’incuria e la manutenzione non fatta, c’è il diboscamento selvaggio, ci sono i fiumi sempre più deviati, irregimentati, modificati nel loro percorso e nella loro essenza per cosiddette esigenze antropiche troppo spesso poco rispettose delle regole. Certamente di quelle della natura. C’è, e continua ad esserci, la tendenza, comune a tutti gli uomini, all’arroganza nel credere di poter volgere tutto ai propri comodi, ai propri interessi.

E allora, dinanzi all’abusivismo chiudiamo sia l’occhio destro che quello sinistro, salvo poi piangere i morti; condoniamo tutto il condonabile perché guai a ripristinare le cose seguendo la legge, fosse anche solo quella del buon senso; non programmiamo, non facciamo mai tesoro della nostra storia. Come accadrà anche in questo caso.

Piangeremo qualche giorno, poi tutto tornerà alla normalità. La nostra.

È la politica quella che dovrebbe programmare, avere visione, decidere. Non lo fa. Il governo è pronto a stanziare, in un Consiglio dei Ministri d’emergenza, circa venti milioni di euro. Briciole ma guai se non lo facesse, se non mettesse immediatamente un euro. Gli attacchi arriverebbero da ogni parte. Poi, però, è giusto che si sappia che a Palazzo Chigi sonnecchia una struttura organizzativa, Italia sicura, voluta da Renzi nel 2015 e dismessa da Conte durante il suo primo governo.

Una struttura di missione che avrebbe il pregio di essere già pronta, incardinata nella Presidenza del Consiglio e, soprattutto, già finanziata. Sono otto i miliardi a disposizione, a cui si aggiungono i 2, 5 miliardi previsti dal Pnrr e 6 miliardi destinati ai comuni. Non proprio cifre irrisorie. Ferme, però, nelle casseforti statali per via dell’opprimente burocrazia, dell’inerzia della politica e delle solite polemiche delle regioni, che diffidano di ogni tentativo statale di riaccentrare qualche funzione. Diffidano prima dei morti e delle tragedie, dopo piangono. Ora, il ministro per la Protezione civile Musumeci propone un nuovo piano nazionale sul dissesto idrogeologico; bene, purché non rimanga carta muta.

Stiamo letteralmente perdendo l’Italia sotto i nostri piedi: conosciamo solo ciò che fa notizia e ciò che accade ad un palmo da noi ma la frana è ovunque. Salviamo il salvabile, provando ad utilizzare, e bene, ogni risorsa. Sotto terra i miliardi non servono a nessuno.

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