Napoli – Piazza Carlo III”. Cartolina. Autore sconosciuto. Unknown author Public domain

Una stupefacente utopia: l’Albergo dei poveri a Napoli

di Giuseppe Esposito

“Regium Totius Regni Pauperum Hospicium” si legge sulla facciata, al di sotto del timpano con l’orologio, di quello che è conosciuto come Palazzo Fuga. E’ questa una delle realizzazioni più strabilianti di Carlo di Borbone, che pure di opere imponenti, durante la sua permanenza sul trono di Napoli, ne aveva realizzate a decine.

Carlo Raso from Naples, Italy
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“Albergo dei Poveri” (after 1751) – Architect Ferdinando Fuga (Florence 1699-Naples 1781) – Naples (23598555603).jpg

Ma ciò che anche impressiona è lo scopo per cui quell’edificio tra i più grandi del Settecento in Europa, era stato immaginato. Un’opera ciclopica per uno scopo che dice molto del carattere di un sovrano che, secondo le parole dello storico Michelangelo Schipa “amò i suoi popoli e ne cercò sempre il bene”.  Certo pensare di accogliere in una struttura tutti i popoli del regno poteva apparire velleitario oppure, come si direbbe con linguaggio moderno, una missione impossibile. Ma spesso fu proprio l’utopia a guidare l’azione di Carlo re di Napoli e che gli permise di trasformare la capitale del suo regno nella città magnifica che ancora oggi porta la sua impronta ed attira sempre visitatori da ogni parte del mondo.

Ma quello in cui Carlo si trovò a regnare su Napoli era il periodo storico in cui si cominciavano i primi vagiti dell’Illuminismo napoletano che diede alla storia figure di altissimo livello quali Ferdinando Galiani e Antonio Genovesi.

Per quanto imponente l’edificio con la sua facciata lunga oltre 400 metri, con cinque ordini di finestre ed una superficie di più di 100.000 metri quadri, non rappresenta che la quinta parte del progetto iniziale.

L’ingresso è abbellito da una magnifica scalinata a due rampe, che porta all’entrata costituita da tre archi a tutto sesto. L’interno presenta tre cortili destinati un tempo ad attività ricreative ed il suo interno si compone di 450 stanze di diverse dimensioni a seconda della posizione, alte tutte intorno agli 8 metri.

Un edificio davvero stupefacente e la cui costruzione sarebbe, forse, oggi impossibile. La sua costruzione ebbe inizio nel 1749, ma poi il cantiere subì numerosi arresti, sia perché nel 1759 Carlo, chiamato sul trono di Spagna, dovette lasciare Napoli, sia per mancanza di fondi e sia a causa di eventi quali quelli del 1799, che costrinsero il suo successore Ferdinando IV a rifugiarsi a Palermo.

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Albergo Poveri6.jpg

Il suo utilizzo per scopo sociali non fu mai abbandonato, ma sotto il regno di Ferdinando II, una parte dell’edificio fu destinato ad attività produttive che accompagnarono l’avvio della industrializzazione del regno.

La parte rimasta fedele allo scopo fondativo servì ad accogliere gli orfani provenienti dalla Santa Casa dell’Annunziata ai quali erano garantiti i mezzi per la sopravvivenza e si provvedeva, al contempo ad insegnargli un mestiere che li rendesse autonomi, una volta lasciato l’ospizio.

Allo stesso tempo nelle officine create al suo interno si rieducavano i carcerati per poterli poi reinserire nella società.

Nella prima metà del XIX secolo quella dell’Ospizio fu una storia di grande operosità giovanile, nata dal concetto, valido ancor oggi, della formazione in arti e mestieri. Dall’Ospizio uscì una schiera di abili artigiani la cui opera fece conoscere la cultura napoletana in ogni parte del mondo.

Napoli – Piazza Carlo III”. Cartolina. Autore sconosciuto.
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Sotto il regno di Ferdinando II, l’albergo ricoprì la funzione di polo propulsore di una crescita industriale della nazione napoletana. Fu, per questo, definito il “Grande Emporio”.

Il processo di ammodernamento e di industrializzazione si giovò di tutta una serie di accordi e di incentivi agli imprenditori che andarono a costituire la struttura produttiva del regno.

L’Albergo dei Poveri ricoprì sempre un ruolo centrale in quel processo virtuoso per la sua ricchezza di manodopera giovane e preparata.

A governare quella fase di sviluppo fu posta una apposita Giunta per le manifatture, le arti e l’industria del regno. Tra le iniziative degne di nota di essa va ricordata la pubblicazione di un periodico di informazione tecnica, scientifica e commerciale di cui si giovavano tutti coloro che nel processo di crescita erano coinvolti.

Molte furono le innovazioni tecniche che ebbero origine tra le mura dell’Albergo. Fu lì che, per la prima volta, furono introdotti i telai meccanici Jacquard che andarono a sostituire l’attività manuale nel campo della tessitura. E sappiamo bene quanta importanza l’industria tessile ebbe nell’economia di quel periodo.

Sempre tra quelle mura fu avviata la lavorazione del corallo che fece conoscere le manifatture napoletane, insediatesi poi particolarmente nell’intorno di Torre del Greco, in ogni parte del mondo e che ancora oggi costituiscono la spina dorsale dell’economia di quelle zone.

Sempre all’interno del perimetro dell’Albergo fu creato un lanificio che iniziò a produrre abbigliamento per le forze armate e che impiegava più di trecento giovani, tra cui un certo numero di non vedenti. Ma dalla consultazione delle carte di archivio si ha notizia di tante altre iniziative industriali nate e sviluppatesi tra quelle mura. Si sa, ad esempio, di attività nel campo della tintoria, nella produzione di chiodi, di un laboratorio di falegnameria, di una fabbrica di tele col metodo Macmen. Fu insomma l’Albergo il centro propulsore di tutto il settore produttivo artigianale, nucleo su cui si reggeva l’economia del regno tutto.

Dopo la fine del regno e della sciagurata Unità d’Italia, l’Albergo perse definitivamente la sua funzione di propulsione dell’economia e fu utilizzato ancora per l’accoglienza degli orfani solo in parte. Fu utilizzato in vari modi, accolse una scuola per sordomuti, una scuola di musica, svariate officine ed infine anche il Tribunale per i minorenni ed una sezione dell’Archivio di stato. L’edificio si avviò verso una condizione di fatiscenza e la sezione che ospitava gli orfani assunse una pessima fama, tanto da esser definita popolarmente il Reclusorio o il Serraglio.

Tra quelle mura è ambientata una delle novelle più tristi di Salvatore Di Giacomo, dal titolo: “Senza vederlo”. In essa una madre che dopo una lunga assenza si reca in visita al figlio, lì richiuso a causa della loro indigenza, si scontra con una burocrazia ottusa che le impedisce di incontrare il bambino. Ciò che sembra emergere è che il bambino sia morto, ma che nessuno degli impiegati o dei funzionari del Serraglio abbia il coraggio di comunicarlo alla madre dolente. La tristezza che incute il racconto è il segno della fama che a cavallo dei due secoli XIX e XX avvolgeva quel luogo creato con lungimiranza da Carlo di Borbone e finito miseramente sotto i colpi della storia.

Oggi l’enorme edificio, danneggiato dal sisma del 1980, versa nel più completo abbandono.

Giuseppe Esposito

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