Greta Garbo, un mito ineffabile
-di Giuseppe Esposito
La Pasqua del 1990 cadeva il 19 aprile e, come quella di quest’anno, nonostante la primavera fosse prossima ad esplodere, si era presentata freddissima. In una stanza del New York Medical Center, qualche giorno prima era stata ricoverata, a causa di una grave forma di polmonite, una donna di 84 anni. Nonostante le cure prestate dai sanitari, nel pomeriggio di quella domenica di Pasqua, la morte sopraggiunse inesorabile. Il nome della paziente era Greta Garbo, la più famosa icona del cinema mondiale, nota al pubblico di tutto il mondo, nonostante la sua assenza dagli schermi durasse da più di cinquant’anni.
Era nata il 18 settembre 1905 e registrata all’anagrafe come Greta Lovisa Gustafsson, a Sodermalm, un quartiere popolare di Stoccolma in una famiglia assai umile. Il padre faceva il netturbino e la madre era una contadina di origini lapponi. Era la terza di tre figli ed il suo carattere piuttosto schivo la tenevano lontana dai giochi dei suoi coetanei. Preferiva giocare da sola, nella cucina di casa a fare l’attrice, indossando abiti dismessi e recitando per sé stessa.
Nel 1920, quando aveva solo 15 anni, l’epidemia di spagnola la privò del padre e la costrinse ad abbandonare la scuola e dovette trovarsi un lavoro per contribuire al bilancio familiare. Fu assunta in un negozio di barbiere, ma ben presto dovette lasciare a causa delle insistenti avances dei clienti della barberia. Fu assunta quindi come commessa ai grandi magazzini PUB di Stoccolma. La sua avvenenza la fece notare da alcuni fotografi per i quali posò come modella, prendendo parte, nel contempo ad alcuni filmati pubblicitari. Per questo fu notata dal regista Erik Arthur Perschle, che, nel 1922, le affidò una parte nel suo film commedia “Luffar – Petter”.
Quell’esperienza convinse la ragazza a tentare la carriera cinematografica e, superando una spietata selezione riuscì ad ottenere una borsa di studio presso l’Accademia Reale di Svezia. In quel periodo fu fondamentale il suo incontro col regista finlandese Mauritz Stiller, considerato un innovatore della tecnica cinematografica. Egli divenne il suo Pigmalione ed anche un amico. Su suo suggerimento la ragazza ottenne di cambiare, presso l’anagrafe il suo nome in Greta Garbo. Il suo modo di vestire, indossando comodi abiti di foggia maschile con giacche, pantaloni, camicie e cravatte divenne di tendenza e fece nascere uno stile detto, appunto, alla Garbo.
Nel 1924 Stiller le affidò la parte di protagonista nel suo “La leggenda di Gosta Berling”. Film che ebbe un grosso successo di pubblico ma fu stroncato dalla critica. Il regista decise quindi di presentare la sua opera a Berlino e lì, nella città tedesca fu un trionfo di pubblico e di critica.
Nella capitale tedesca la Garbo fece il suo secondo incontro che avrebbe segnato la sua carriera, quello col regista Georg Wilhelm Pabst che la volle protagonista del suo “La vita senza gioia”, del 1925.
A Berlino era, in quel periodo il produttore Luis Meyer, titolare della MGM, alla ricerca di nuovi talenti da scritturare. Lì egli, su consiglio di Victor Sjöstram, aveva notato Stiller che voleva mettere sotto contratto. Il regista accettò l’offerta, ma a condizione di poter portare con lui anche la sua attrice preferita, ossia la Garbo. Il produttore era inizialmente contrario, ma poi, dopo aver visionato in privato, la pellicola di Pabsta decise di mettere sotto contratto la Garbo e di rinunciare a Stiller. Tuttavia, alla fine sia l’attrice che il regista poterono imbarcarsi per l’America, sul transatlantico SS Drottingholm.
Ad Hollywood la Garbo dopo un provino col produttore Irving Thalberg, scopritore di talenti, suscitò il suo entusiasmo. Egli allora si dedicò a migliorare l’aspetto dell’attrice. La sottopose ad una ferrea dieta, le fece fare un intervento che migliorò la sua dentatura ed infine pretese che si applicasse allo studio dell’inglese.
Nel 1926 ecco la Garbo interpretare il suo primo film americano: “Il torrente”, la cui regia doveva, in un primo tempo essere affidata a Stiller, ma all’ultimo gli fu preferito Monta Bell. Sul set la Garbo si trovò a disagio, sia per l’assenza del suo amico e regista Stiller, sia per l’ostilità dimostratale dal partner Ricardo Cortez. All’uscita il film ebbe tuttavia una grande accoglienza di pubblico e di critica. Ma da quel momento l’attrice si vide relegata a ruoli di vamp, di donna fatale e senza scrupoli. Avrebbe voluto interpretare ruoli più vicini alla sua sensibilità, come, ad esempio, Giovanna d’Arco, ma la produzione fu sempre contraria.
Tra il 1927 ed il 1937 la Garbo interpretò una decina di film, tutti accolti trionfalmente dal pubblico di tutto il mondo. Alcuni sostengono che buona parte del merito di quel successo era dovuto all’abilità del direttore della fotografia Williams Daniel che seppe illuminare magnificamente il volto dell’attrice e la stessa Garbo, pretese in seguito che, in ogni suo nuovo film il Daniel fosse sempre presente. Grazie al successo cominciò ad avere delle pretese particolari, dovute forse alla sua timidezza, come quella di non avere sul set visitatori e di disporre di un paravento che impedisse agli operatori di disturbarla, quando non era in scena. I suoi cachet, grazie al successo presero a crescere in maniera vertiginosa, ma i produttori non posero alcun ostacolo.
Il pubblico intento si era affezionato alla nuova attrice venuta dalla Svezia e la sua popolarità cresceva di giorni in giorno. Nel frattempo era nato il cinema sonoro, ma i produttori esitavano ad affidare alla Garbo ruoli in questi nuovi film. Infatti molti divi del muto avevano avuto la loro carriera stroncata dal tono delle loro voci ed i titolari della MGM temevano che il forte accento svedese dell’attrice potesse porre fine alla carriera di quella che era l’attrice di punta degli studios. Per fortuna si presentò, poi, l’occasione di un film in cui la Garbo poteva interpretare la parte di una ragazza di origini svedesi. Il titolo della pellicola era “Anna Christie”. Così avvenne il debutto nel cinema sonoro.
La sua prima battuta era: “Gimme a whisky, giner ed ale on the side, and don’t bi stingy, baby.”
Uscito il film nelle sale il successo superò ogni più rosea previsione e l’attrice continuò ad affascinare il pubblico di tutto il mondo.
Fuori dal set la Garbo conduceva una vita estremamente riservata ed i fotoreporter riuscivano ad inquadrarla solo coperta da un lungo cappotto, avvolta in una sciarpa e con dei grandi occhiali da sole. Sui suoi gusti sessuali si cominciarono ad avanzare le ipotesi più diverse, a causa dell’assenza di relazioni sentimentali. Tuttavia la Garbo ebbe un’avventura con l’attore Jhon Gilbert, uno dei dvi del momento, ma pose fine al rapporto quando Gilbert le chiese di sposarlo. Ebbe poi un’altra avventura con Leopold Stokovsky. Con lui fece un viaggio a Ravello rimasto memorabile, ma anche con lui, la relazione fu di breve durata. Si parlò poi del suo rapporto con la poetessa spagnola Mercedes de Acosta, ma poco dopo la Garbo ruppe ogni rapporto con lei accusandola di aver reso pubblica la loro relazione. Da quel momento in poi visse in completo isolamento.
Nel 1941 girò “Non tradirmi con me” ma il film andò incontro ad un insuccesso clamoroso e da quel momento in poi l’attrice si ritirò definitivamente dalle scene. Rifiutò infatti tutte le proposte di lavoro che le giungevano da tutti i maggiori registi del tempo e si chiuse per quasi cinquant’anni nel più assoluto isolamento. La sua fama però non venne mai meno e continuò ad affascinare gli spettatori ma anche i registi venuti dopo di lei. A proposito della Garbo uno dei più grandi registi di sempre, il nostro Federico Fellini la definì una fata severa e la fondatrice di un ordine religioso chiamato cinema.
Oggi la Garbo riposa nel cimitero di Skogskirogarden, a Stoccolma, ma la sua memoria è ancora viva nell’immaginario collettivo di tutto il mondo. Ella è riuscita ad incarnare l’idea stessa del cinema.
Greta Garbo in a publicity still for the American film Inspiration (1931).
Metro-Goldwyn-Mayer (work for hire)
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