Viaggio nel Presepe napoletano: il monaco e la sua simbologia

-di Giuseppe Esposito-

La ventisettesima figura essenziale del presepe napoletano è il monaco. Essa è il simbolo dell’unione tra sacro e profano. È un personaggio beffardo e dispettoso, un po’ come il destino e come questo può essere portatore di gioia e fortuna, ma anche dell’opposto. Uno spirito demoniaco che proviene direttamente dalla tradizione napoletana. Da quello che è chiamato a Napoli “ ’o munaciello”, una sorta di fantasma che veste il saio monacale e che secondo la credenza popolare abita molti degli appartamenti della città. E, come recita il detto, “a chi arricchisce e a chi appezzentisce”.

A seconda dei casi può dunque arrecare fortuna, ma anche mandare in miseria. È uno spiritello presente nelle paure di alcuni tra i napoletani più legati alla tradizione. Egli, a loro dire,  può infestare le case e talvolta suggerire i numeri giusti da giocare la lotto, ad una condizione, però, che si mantenga il segreto sull’origine di quei numeri. È certo una tradizione bizzarra secondo la quale egli può portare alla follia coloro che non siano nelle sue grazie.

Alcuni gli attribuivano anche la gestione dei pozzi che spesso egli stesso avrebbe avvelenato. Ma questa credenza è in realtà legata all’esistenza a Napoli di coloro che erano detti pozzari. Bisogna sapere che un tempo, le case dei napoletani potevano attingere acqua, attraverso un pozzo,  a delle cisterne poste nel sottosuolo e collegate tra loro, in un complesso ed  estesissimo sistema di gallerie, risalenti all’epoca greca e romana.  In quei cunicoli si muoveva con destrezza una categoria di liberi professionisti, detti appunto pozzari  che erano addetti alla pulizia del sistema e potevano risalire i pozzi mediante una serie di fori praticati nelle pareti dei pozzi, dette appunto, scale dei pozzari. In tal modo essi, provenienti dal basso potevano avere accesso alle case dei privati cittadini. Si pensi che alcuni pozzi erano profondi anche trenta metri ed i pozzari dovevano fare una fatica notevole per scendere e salire. Ma l’ipotesi che essi potessero,o intrufolarsi nelle case per rubacchiare, o insidiare qualche giovane particolarmente focosa, non è del tutto peregrina.

Ma l’origine di questa credenza intorno alla figura del munaciello, non è, tuttavia recente e risale addirittura a leggende antiche, recepite anche nella primissima tradizione cristiana e citati addirittura da Agostino di Ippona. Questi spiriti presentavano, in quella narrazione, anche un lato violento e lascivo. Infatti si narra che, sovente, essi  molestassero le donne e giungessero persino ad accoppiarsi con esse carnalmente, ma con la violenza. Anche con gli uomini si dice che essi spesso siano ricorsi alla violenza percuotendoli.

La figura del munaciello compare spesso in rappresentazioni teatrali di autori napoletani. Si ricordi in proposito la commedia di Eduardo “Questi fantasmi”, in cui l’amante della moglie del protagonista inganna quest’ultimo facendogli credere che la casa sia infestata da uno spirito benigno che gli elargisce anche del denaro. Spesso anche la rappresentazione di questa figura può essere estremamente volgare e sotto la tunica, si lascia intuire un attributo maschile sproporzionato, al modo di quei falli presenti nel culto romano e visibili in molte pitture pompeiane.

Secondo Matilde Serao che ne parla nelle sue “Leggende napoletane”, il munaciello fu un uomo realmente esistito. Egli era nato, al tempo del regno di Alfonso d’Aragona,  dalla relazione  molto contrastata tra Caterina Frezza, figlia di un ricco mercante ed un semplice garzone di bottega. Quando quella relazione fu scoperta il giovane fu ucciso e Caterina richiusa in convento. Lì partorì un bimbo che nacque deforme. Allora la madre cercò di nascondere i difetti con un abito religioso simile a quello indossato dai domenicani. Ma la gente  del quartiere Porto lo prendeva continuamente in giro, fino a quando scomparve, si disse, ucciso dagli stessi Frezza. Tuttavia il popolino continuò a vederlo in giro per le vie di Napoli. Il suo comportamento dispettoso fu attribuito al desiderio di vendetta dovuto ai maltrattamenti subiti durante la sua breve vita. Spesso sul presepe oltre al monaco sono presenti anche dodici piccoli fraticelli, nell’atto di attraversare il ponte sul fiume. Essi rappresentano i dodici mesi che passano.

Quanto alla rappresentazione del monaco seduto nell’osteria e con in mano un fisco di vino e visibilmente ebbro essa potrebbe alludere sia alla Chiesa Cattolica che celebra l’Eucaristia con pane e vino, sia la degenerazione dell’umanità ed in particolare alla corruzione della Chiesa che si è lasciata prendere dai vizi  e dai beni materiali. Immagine di quella chiesa che trionfava ai tempi di papa Alessandro VI, al secolo Rodrigo Borgia, padre dei famigerati Cesare e Lucrezia.

In conclusione la figura del monaco sul presepe è pregna di significati nella maggior parte negativi, egli assume una identità demoniaca contrapposta alla nascita divina, avvenuta nella grotta.

Giuseppe Esposito

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