Le 72 figure del Presepe napoletano: lo scoglio

– di Giuseppe Esposito-

Ed eccoci ancora davanti al presepe rimirar le scene di questo piccolo teatro e il corteo dei magi e il cacciatore e l’oste, i giocatori di carte e gli angeli che volteggiano in alto attaccati a un filo.. Che sia il nostro presepe. Quello casalingo, povero, con i pastori di terracotta tirati fuori dal ripostiglio e bisognosi, come ogni anno di qualche piccolo restauro e con le case realizzate, dipingendo a mano le vecchie scatole di medicinali,  o che sia uno di quelli magnifici e ricchi e opulenti giunti a noi dal secolo d’oro del presepe napoletano quel Settecento che vide la rinascita di Napoli a capitale di un Regno finalmente indipendente.

La commozione è la stessa, ti prende un nodo alla gola e ti senti portato agli anni della fanciullezza. Ma ancor più in giorni anni ti par d’essere giunto in una fresca oasi, dopo aver attraversato  l’arido deserto in cui sembra essersi trasformata la nostra vita oggi, piena di conflitti, di egoismi e minacciata, infine, da quella che sembra una delle dieci piaghe che, secondo la Bibbia, Dio inflisse agli Egizi che non avevano voluto concedere agli Ebrei la libertà dalla schiavitù permettendogli di tornare alla Terra Promessa sotto la guida di Mosé.

Scrutiamo il paesaggio, le scene i pastori di creta dipinti a mano o quelli rivestiti delle sete di San Leucio, tessute apposta per rivestire quelle terzine da 40 centimetri e ci sembra di trovarci davanti ad  una rappresentazione toccante, un po’ ingenua, forse,  sicuramente anacronistica di un evento accaduto venti secoli fa nella Palestina e  che trascende la ragione ed attiene alla fede.

Eppure nulla di più ingannevole, di più sbagliato: in quel piccolo teatro nulla è solo quel che appare, nessuna figura è fine a se stessa o frutto del capriccio, ma ognuna rientra in un rigido schema che assegna ad ognuna un significato ben preciso e rigidamente codificato.

Davanti ai nostri occhi ammirati si dispiega un formidabile labirinto di simboli che ha in sé un valore teologico, spirituale ed iniziatico. Quello spettacolo che credevi ingenuo è invece un’allusione al cammino che l’uomo deve compiere per giungere alla sua realizzazione spirituale. Un percorso che come in ogni cammino esoterico lo porta dalle tenebre dell’ignoranza alla luce della conoscenza. Nel caso specifico, dalle tenebre del peccato, a Dio rivelatosi.

Nella Napoli del Settecento, tuttavia, percorsa da fermenti illuministici peculiari si può, a ben vedere, affermare che il Ninno rappresentò il riscatto non solo dell’uomo in generale, ma di tutta una popolazione dalle sue reiette condizioni sociali. E ciò potrebbe anche spiegare il perché, proprio là, ed in quel particolare momento, il presepe ebbe il suo momento di massino splendore.

Ma ancor più, l’aspetto esoterico del presepe è ribadito in uno dei canti natalizi più conosciuti ed amati, quello composto, sempre in quel secolo da Sant’Alfonso Maria de’ Liguori il quale non a caso lo scrisse in quella che più che un dialetto è una lingua, quella napoletana.

Quanno nascette Ninno a Betlemme

Era notte e pareva miezijuorno.

Cu tutto ca era vierno Ninno Bello

Nascettero a migliare rose e sciure.

Ossia, nell’attimo in cui quell’evento straordinario accadeva il tempo si ferma e l’universo tutto era preso dalla meraviglia e resta a bocca aperta ad ammirare il prodigio. Si assiste ad una sospensione del tempo.

Quella nascita fu un evento rivoluzionario ed i pastori, anche se non lo comprendevano razionalmente, lo avvertivano con l’istinto. Da allora in poi la storia del mondo non sarebbe più stata la stessa, quell’evento segna una cesura col passato e l’avvio di una nuova era.

Quanto poi all’ ambientazione della rappresentazione rigorosamente notturna, essa allude al cielo stellato ed alla stella. Il cielo notturno rappresenta il viaggio dell’uomo attraverso le tenebre verso la luce, quella di Dio, naturalmente. In quello schema cui si accennava le figure indispensabili sono ben 72 e comprendono sia la natura che le figure umane.

Lo scoglio.

La prima e fondamentale figura è quella che viene chiamata  “Lo scoglio”, ossia la struttura in legno e sughero che accoglie la rappresentazione. Il sughero che è di colore scuro allude, con questo, all’aspetto notturno legato ai misteri.

Ma lo scoglio, per alcuni non trascurabili esegeti del presepe, adombra anche un secondo significato: in quanto “mons” esso rappresenta la mente dell’uomo il quale per arrivare a Dio compie un percorso tutto attraverso la sua interiorità, ossia nella sua propria mente.

Ma vi è qualcun altro che vede nel monte il simbolo della Madre stessa del Signore. Tale spiegazione si rifà al canone di Cosmo di Maiouna che così scrive: Al Figlio che prima dei secoli immutabilmente dal Padre è stato generato e negli ultimi tempi dalla Vergine, senza seme, si è incarnato al Cristo Dio acclamiamo.  Virgulto della radice di Iesse e fiore che da essa procede o Cristo, dalla Vergine sei germogliato, dal boscoso monte adombrato,  o degno di lode sei venuto da una vergine ignara d’uomo, tu immateriale e Dio.”

Insomma il monte, lo scoglio acquista un significato molteplice, inatteso per quelli che semplicemente si pongono davanti al presepe e ignari pensano di rimirare uno spettacolo semplice, addirittura commovente per la sua semplicità, ma nulla in esso è quello che appare.

 

 

Giuseppe Esposito

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