I primi provvedimenti del Governo Meloni
-di Pierre De Filippo
Proceduto con la lista dei ministri, con la discorsessa alle Camere, incassando la fiducia e con lo scambio della campanella con un sollevato e roseo in volto Mario Draghi, Giorgia Meloni ha iniziato, seppur tra mille peripezie, il suo “magistero” politico.
La squadra di Governo le ha portato via un po’ di tempo e qualche anno di vita, qualche ruga e qualche capello bianco gliel’ha fatto venire la composizione di quel sottogoverno – viceministri e sottosegretari – che, spesso, è quello che poi per davvero si occupa dei dossier, parla con le parti sociali, si interfaccia con tecnici e funzionari. Fa il lavoro sporco, in sintesi.
Chiusa questa ampia parentesi, finalmente ci si è potuti concentrare sulle tante questioni ancora aperte, sulle spine che stanno rendendo questo periodo – per citare la stessa Meloni – “una tempesta” che la nave Italia – “la più bella del mondo”, il copyright è ancora a firma meloniana – deve cercare di affrontare nella maniera migliore possibile.
C’era qualche urgenza, qualche emergenza: in primo luogo, il caro bollette.
Se ne discute da mesi, se ne conosce l’importanza soprattutto, e comprensibilmente, nell’opinione pubblica. Il governo ha a più riprese affermato di voler correre ai ripari integrando e incrementando i fondi per famiglie ed imprese con decreto Aiuto ter.
Il governo Draghi ha lasciato in dote un tesoretto di circa dieci miliardi e gli ultimi dati dell’Istat – che il governo attendeva prima di procedere con la Nota di Aggiornamento al Bilancio – hanno sorprendentemente detto che l’Italia è cresciuta di mezzo punto percentuale invece di decrescere. La recessione per il momento è scampata, anche se solo probabilmente rinviata.
Questo per quanto riguarda l’economia e le politiche energetiche.
Ma il primo decreto del governo Meloni s’è trovato ad affrontare altre urgenze, altre problematiche: giustizia e salute.
Rispetto al tema della giustizia, tre sono i provvedimenti portati in Consiglio dei Ministri, che hanno portato in dote la loro bella dose di polemiche.
In primo luogo, il differimento dell’entrata in vigore delle misure contenute nella riforma Cartabia sulla giustizia penale: dal 2 novembre al 30 dicembre. C’è, però, da sbrigarsi: essendo un obiettivo essenziale del Pnrr, senza una sua definitiva approvazione i soldi li vedremo col cannocchiale.
Il ministro Nordio ha recepito le istanze delle procure e dei tribunali, ancora non pronti da un punto di vista organizzativo e oberati dalla burocrazia.
Speriamo che questi due mesi in più gli consentano di adeguarsi.
Il secondo tema ha riguardato il cosiddetto ergastolo ostativo, che impedisce a delinquenti di particolare pericolosità sociale di accedere ai benefici e agli sconti di pena.
La Corte costituzionale sarebbe intervenuta sull’argomento nella seduta dell’8 novembre probabilmente abrogando l’istituto, in contrasto, questa la tesi, col principio di rieducazione del reo costituzionalmente garantita.
Il governo è, quindi, corsi ai ripari con una norma che ha fatto infuriare gli avvocati. Afferma Giandomenico Caiazza, presidente dell’Unione delle Camere penali, che: “la legge è peggiorativa della legge dichiarata incostituzionale perché introduce una tale serie di condizioni, alcune diaboliche e altre addirittura impossibili, da vanificare l’accesso a quei benefici”.
Il senso è essenzialmente questo: per accedere i benefici previsti dalla legge, il reo dovrebbe collaborare con la giustizia oppure dimostrare di non avere più rapporti con le organizzazioni criminali, il che, spesso, è impossibile. Nessun avvicinamento, dunque, alle richieste della Corte.
L’ultimo tema ha riguardato la normativa, urgentemente e frettolosamente scritta e approvata, in risposta al rave party che s’è tenuto e, fortunatamente e pacificamente, concluso a Modena in questi giorni.
Fortemente voluta dal ministro Piantedosi, della norma tutti hanno potuto notare la muscolosità dell’approccio: pene alte, discrezionalità del giudice nello stabilire cosa sia “pericoloso” per la pubblica incolumità, possibilità di procedere con le intercettazioni, che Piantedosi voleva in decreto – poi espunto per l’opposizione di Tajani e anche della Meloni – ma che saranno comunque possibili essendo previste per reati che comportano alti periodi detentivi.
Non una norma scritta su misura per i rave ma una norma di carattere generale ed astratto valevole per qualsiasi circostanza in cui una riunione di più di cinquanta persone possa provocare il “pericolo di un pericolo”.
Un guazzabuglio liberticida buono per tutte le stagioni e per tutte le occorrenze, hanno tuonato dalle opposizioni non senza qualche fondamento.
Sul reintegro dei medici non vaccinati al loro posto di lavoro si è espresso negativamente finanche Bassetti che, in molti, avevano ipotizzato come ministro della Salute proprio di un governo a guida Meloni: “peggior inizio possibile; come dire ai medici vaccinati: siete dei cretini”.
Sicuramente più pericolose per la tenuta del governo sono state però le obiezioni mosse da Forza Italia: per Licia Ronzulli – il cui dente è ancora avvelenato – “chi è no vax va contro la medicina e la scienza e non dovrebbe lavorare in campo sanitario”; per Maurizio Gasparri “i medici no vax mi lasciano perplesso. È come se un pilota non volesse salire su un aereo per paura del volo”; per Alessandro Cattaneo “il reintegro dei medici no vax è un segnale che potevamo evitare”.
Non esattamente una prova di compattezza.
E fortuna che, in extremis, si è optato per mantenere le mascherine in ospedali e Rsa.
Una buona notizia però c’è: non sono stati prorogati i contratti per i navigator che, quindi, scompaiono dal libro paga dello Stato.
La Meloni, fino ad ora, ha fatto pochino. Forse ne avrà scrupolo…
