“O ci daranno il Governo o ce lo prenderemo calando su Roma” : 100 anni fa la Marcia su Roma

di Giuseppe Esposito

Il 28 ottobre è una data fatidica, è il giorno in cui avvenne, esattamente cento anni orsono, quell’evento tipicamente all’italiana, che è passato alla storia col nome di Marcia su Roma. Un nome che, per chi non conosce come davvero si svolsero i fatti, può suonare epico, mentre  si trattò solo di una brutta storia, un pasticcio in cui molto peso ebbe l’inadeguatezza del sovrano che allora regnava sul nostro paese e che aprì la strada alla conquista del potere del PNF ed alla insaturazione del tragico regime fascista. Fu dunque la conquista del potere da parte di un partito formato da poco, nato dalla trasformazione di un movimento anch’esso molto recente all’epoca dei fatti, ossia dei Fasci italiani di combattimento.

La nascita dei Fasci avvenne il 23 marzo 1919, nel corso della riunione di  meno di un centinaio di persone, nella sala messa a loro disposizione dalla Associazione Commercianti ed Esercenti, in piazza San Sepolcro a Milano. Ad organizzare la riunione era stato Benito Mussolini, che in un primo tempo aveva pensato al Teatro Dal Verme. A causa della scarsa affluenza di partecipanti, si era pi dovuto ripiegare sulla sala di piazza San Sepolcro.

Quando Mussolini giunse e dette un’occhiata alla sala, rimase alquanto sconfortato dalla scarsa affluenza ed il suo pensiero fu, più o meno, questo:“Cento presone scarse, tutti uomini che non contano niente. Siamo pochi e siamo morti.” (cfr. “Il figlio del secolo” di Antonio Scurati).

L’idea di Mussolini, espressa nel discorso che tenne nella sala di Piazza San Sepolcro era quella di creare una terza via fra i due opposti poli conservatori e socialisti con velleità rivoluzionarie.

Tra il 1919 ed il 1922 i fascisti cercarono di affermarsi sia al Nord, nei luoghi controllati dai socialisti, che al sud, facendo ricorso alla violenza ed assaltando con le loro squadre armate cooperative e Camere del Lavoro. Spesso la loro azione era appoggiata sia dalle forze armate che dalle amministrazioni pubbliche.

Nel corso del mese di luglio del 1922 gli attacchi si intensificarono. Le squadre al comando di Italo Balbo, occuparono Ravenna con le armi. Ma anche Bologna e Cremona furono occupate e furono saccheggiate le abitazioni dei parlamentari Giuseppe Garibotti e Guido Miglioli. Ma episodi di violenza si segnalarono in molte parti del Paese, mettendo in crisi il governo dell’onorevole Facta.

Le sinistre organizzarono uno sciopero generale per i primi di agosto, che si risolse però in un fiasco,  particolare questo che ridiede fiato ai fascisti che si diedero a nuove violenze. A Milano fu distrutta la sede del quotidiana del partito socialista “Avanti!” e fu occupato il palazzo del Comune, retto da una amministrazione socialista.

Nel Paese cominciarono a diffondersi voci circa l’intenzione dei fascisti di organizzare una spedizione per occupare Roma. Il Governo ordinò allora di bloccare tutti i treni diretti verso la capitale e fu ordinato ai prefetti delle principali città di cedere il potere alle autorità militari.

L’onorevole Facta fu incaricato dal re di formare un nuovo governo, che riuscì ad ottenere la fiducia in Parlamento, sebbene i partiti fossero divisi sull’atteggiamento da tenere nei riguardi delle violenze dei fascisti e delle loro minacce eversive.

A inizio ottobre nuove violenze furono messe in atto a Bolzano. Poi nel corso di una riunione tra i quadrumviri Balbo, Bianchi, De Vecchi e Del Bono fu messo a punto un “Regolamento di disciplina per le milizie fasciste”, documento che ufficializzava l’esistenza di un copro armato privato alle dipendenze del PNF e che costituiva una provocazione per lo Stato Italiano.

Il 16 ottobre, nel corso di un incontro tra Mussolini, Balbo, Del Bono, De vecchi ed altri dirigenti fascisti si cominciò a tracciare le linee guida della cosiddetta Marcia su Roma. Gli incontri ripeterono nei giorni seguenti 18, 20 e 21. Il risultato fu un piano in cinque punti che prevedeva l’occupazione di alcune delle principali città del nord. In tal modo si voleva tenere l’esercito impegnato ed impedirgli di opporsi alla discesa sulla capitale delle squadre fasciste.

I cinque punti del piano erano così descritti:

  1. Occupazione degli edifici pubblici della principali città italiane.
  2. Concentrazione delle milizie fasciste a Santa Marinella, Perugia, Tivoli, Monterotondo e sul Volturno.
  3. Ultimatum al governo Facta perché cedesse i poteri.
  4. Occupazione di Roma e presa di tutti i Ministeri. Nel caso che le squadre fossero state respinte dall’esercito occorreva riparare verso l’Italia centrale e la ritirata sarebbe stata protetta dalle squadre ammassate precedentemente in Umbria.
  5. Costituzione di un governo fascista in una delle città del nord e riorganizzazione delle milizie per rinnovare il tentativo di conquista della capitale.

Il 24 ottobre fu indetto un congresso a Napoli cui parteciparono più di 15.000 uomini in armi. Mussolini arringò le truppe allo stadio Albricci, affermando:

O ci daranno il Governo o ce lo prenderemo calando su Roma.”

La mattina del 28 ottobre le squadre, nelle principali città italiane cominciarono ad occupare edifici pubblici, uffici postali e prefetture. In alcune città la loro azione ebbe successo, in altre città si ebbero scontri a fuoco con le forze armate e vi furono morti e feriti.

Intanto la difesa di Roma era stata affidata al generale Emanuele Pugliese che dette anche l’ordine di bloccare i principali nodi ferroviari.

Nella serata Facta presentò le sue dimissioni al re, appena rientrato a Roma. Nella notte si tenne, al Ministero della Guerra, una riunione di emergenza e si decise di dichiarare lo stato d’assedio, a partire dalle ore 12 del giorno successivo e ne fu dato avviso a tutti i prefetti. Quando però il decreto dello stato di assedio fu presentato al re, questi si rifiutò di firmarlo. Si dovette pertanto mandare ai prefetti il contrordine. Ogni azione di contrasto alle squadre fasciste cessò ed esse ebbero il via libera per dirigersi sulla capitale.

Nella giornata del 29 il re incaricò l’onorevole Salandra di formare un nuovo Governo, ma il tentativo fallì per il rifiuto dei fascisti di entrare in quel governo.

Mentre tutto questo accadeva, Mussolini se ne era restato a Milano per paura di essere arrestato, anzi, si era rifugiato nella villa della sua amante Margherita Sarfatti, con l’idea di rifugiarsi in Svizzera nel caso che le cose si fossero messe male.

Fu allora che il re  lo fece richiamare a Roma per dargli l’incarico di formare un nuovo governo.  Il sovrano pusillanime aveva così aperto la strada alla conquista del potere da parte del capo del partito fascista, senza opporre alcuna resistenza. Mussolini arrivò in treno nella capitale il giorno 30 ottobre, accettò l’incarico e la sera stessa presentò la lista dei ministri.

Si apriva a così il tragico periodo del regime fascista che nel giro di un ventennio precipitò il paese nel tragico rogo della seconda guerra mondiale, al fianco di uno dei più spietati regini dittatoriali mai conosciuti, quello nazista di Adolf Hitler e fece subire al paese cinque anni di guerra e lutti e rovine inenarrabili.  Tutto grazie anche alla codardia di un sovrano che macchiò indelebilmente la storia del suo casato. Il casato che, appena ottant’anni prima si era reso colpevole dell’aggressione al Regno delle Due Sicilie e responsabile del suo saccheggio, oltre che della oppressione della sua popolazione.  Insomma nel giro di tre soli sovrani, i danni arrecati all’Italia dalla casa Savoia sono stati davvero incommensurabili rendendosi così meritevole di essere condannata alla damnatio memoriae, come si usava presso gli antichi padri latini.

 

Immagine di Pubblico Dominio. Benito Mussolini durante la marcia su Roma, con alcuni dei quadriumviri: da sinistra Emilio De Bono, Italo Balbo e Cesare Maria De Vecchi.
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Giuseppe Esposito

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