Meloni: “dite a Berlusconi che non sono ricattabile”
di Pierre De Filippo-
Al fotofinish, dopo che per giorni era circolato il nome, forse meno divisivo e più congeniale, di Riccardo Molinari, capogruppo della Lega a Palazzo Montecitorio, Lorenzo Fontana – veronese, leghista ed ex ministro – è stato eletto Presidente della Camera.
L’elezione ha fatto, se possibile, ancora più clamore rispetto a quella di Ignazio La Russa, accusato (con prove poco confutabili) di essere un nostalgico del fascismo.
Su Fontana graverebbero due importanti spade di Damocle: la sua notoria vicinanza ideale, culturale e politica alla Russia e il suo radicalismo sui temi della famiglia, del diritto alla vita e la sua opposizione a quanto attiene ai diritti Lgbt, al diritto all’aborto e ai temi eticamente sensibili.
Non a caso è stato accolto alla Camera con lo striscione: “No ad un Presidente omofobo e pro-Putin”.
Non un bel viatico per un ruolo che avrebbe dovuto essere di equilibrio, di mediazione, di pacificazione.
Fontana il pro-putiniano è quello che, nel 2014, andò in Crimea e se ne tornò dicendo che, essenzialmente, si dovevano rispettare le volontà di quella ampia parte di popolazione ucraina che aveva liberamente scelto di “passare” con la Russia.
Da sempre contro le sanzioni alla Russia di Putin, rispetto al quale diceva di vedere “nel risveglio putiniano una luce anche per noi occidentali”.
Peccato che questa luce oggi ci stia accecando come Ulisse col Polifemo.
Sull’altro fronte, quello dei pro-life, organizzatore della “giornata della vita” a Verona, da sempre in prima fila contro l’aborto (“un omicidio”), le unioni civili, la cosiddetta teoria gender e, chiaramente, contro l’immigrazione, che mira a “cancellare la nostra comunità e le nostre tradizioni”.
Questa la terza carica dello Stato.
La domanda è perché ci sia stato questo cambiamento, questa sostituzione all’ultimo? Alcune malelingue dicono che un uomo meno moderato di Molinari, più “leghista”, più divisivo sia un po’ uno sgarbo di Salvini alla Meloni per annacquare la sua nuova immagine di donna equilibrata e credibile.
A Fontana mancano una quindicina di voti finali che segnano il fatto che, anche in questa occasione, le defezioni nel centrodestra ci sono state e sono state marcate.
Oggi, però, vien fuori un’altra bella questione, a cavallo tra la caduta di stile politica ed il gossip: Berlusconi – i cui movimenti e i cui riflessi sono un po’ rallentati – viene immortalato con un “pizzino” tra le mani.
Un suo ricapitolo, per un intervento o come promemoria non è chiaro, nel quale dava una definizione di Giorgia Meloni più che spiacevole.“Giorgia Meloni. Un comportamento supponente, prepotente, arrogante, offensivo, ridicolo (poi, questo aggettivo viene cassato). Nessuna disponibilità al cambiamento. È una con cui non si può andare d’accordo”.
Se l’obiettivo era quello di dare al Paese una maggioranza politica solida e finalmente di destra, come sbandierato in campagna elettorale, queste certezze diventano meno granitiche dopo queste uscite poco eleganti. Sicuramente meno delle cene di Arcore.
Ma la vera notizia è data dall’affermazione, perentoria e al vetriolo, di Giorgia Meloni all’uscita dai suoi uffici della Camera: “Berlusconi ha mancato un punto: io non sono ricattabile!”.
Cosa succederà ora è difficile stabilirlo: dopo dieci ore dalla fuoriuscita della foto dalle parti di Villa San Martino nessuna smentita è arrivata, nonostante l’auspicio di La Russa. Chi tace, quindi, acconsente e sottoscrive.
Il dato politico resta: la diciannovesima legislatura nasce piena di contraddizioni, di ambiguità e di instabilità. A questo punto, anche la partita del governo – che molti davano per chiusa – potrebbe riaprirsi e c’è, addirittura, chi dice che la Meloni sarebbe pronta a tornare al voto, sperando di incrementare il suo vantaggio e, magari, governare con più tranquillità.
