Inizia col botto la diciannovesima legislatura
di Pierre De Filippo-
“A cento anni dalla marcia su Roma e dalla nascita del fascismo, tocca proprio a me assumere momentaneamente la presidenza di questo tempio della democrazia che è il Senato della Repubblica. Ed è il valore simbolico di questa circostanza casuale si amplifica nella mia mente perché, vedete, ai miei tempi la scuola iniziava ad ottobre; ed è impossibile per me non provare una sorta di vertigine ricordando che quella stessa bambina che in un giorno come questo del 1938, sconsolata e smarrita, fu costretta dalle leggi razziste a lasciare vuoto il suo banco delle scuole elementari, oggi si trova per uno strano destino addirittura sul banco più prestigioso del Senato”.
È Liliana Segre la Presidente del Senato che apre la seduta e la XIX legislatura come membro anziano. È lei che ci ricorda quanto importante sia questo 2022, a quante ricorrenze rimanda e quante fragilità ha un popolo che non conosce la propria storia.
Ma lo spazio del ricordo lascia ben presto spazio a quello della nostalgia, perché Liliana Segre – il simbolo di un mondo nel quale non vogliamo più tornare – lascia il posto a Ignazio La Russa, che invece di quel mondo s’è fatto emblema (“siamo tutti figli del Duce”, diceva pochi giorni fa).
Ma, come sempre accade nel nostro Paese, anche l’elezione di Ignazio La Russa, ampiamente prevista, viene ammantata da tutto ciò che ci rappresenta: trasformismo, sotterfugi, franchi tiratori e franchi soccorritori, “manuale Cencelli”.
Ed è da qui che si parte, dal manuale Cencelli, richiesto e rivendicato da Silvio Berlusconi, che ritornava in Parlamento dopo nove anni dalla decadenza, che proprio con La Russa ha un alterco:
“Ci avevate promesso tre ministeri”, pare dire, “la Ronzulli è fuori. Ma vaffanculo”.
“Che cosa vuoi da me?” gli risponde La Russa.
Questo simpatico siparietto, molto italico, è il prologo di ciò che sarebbe successo di lì a breve: Forza Italia, ritenendosi umiliata per la piega presa dalle trattative per il nuovo governo, decide di non rispondere alla chiama (lo faranno solo Berlusconi e la presidente uscente Casellati alla seconda).
Quindi, senza i voti di Forza Italia, La Russa non ce la fa? Questo direbbe la matematica. Ed invece, la politica italiana stravolge anche la matematica e, con 116 voti sui 104 necessari, Ignazio Benito Maria La Russa è eletto sullo scranno più alto di Palazzo Madama.
Ma la domanda, immediata, sorge spontanea: da dove arrivano questi franchi soccorritori, che hanno più che compensato i franchi “non” tiratori (perché si sono astenuti) forzisti?
Enrico Letta punta subito il dito contro il TerzoPolo, da giorni accusato di essere – un po’ come Petain a Vichy – il nuovo nucleo di collaborazioni coi neofascisti (!).
Calenda rispedisce al mittente le accuse.
La domanda, però, resta ed ha una valenza politica, non solo da cronaca rosa.
Sono diciassette i voti in più, ed è difficile pensare che arrivino da dissidenti sciolti senza alcuna regia. Anche perché, punto primo, la Meloni mai avrebbe mandato a sbattere un suo uomo così vicino senza la garanzia che venisse eletto.
Secondo, il sostegno sarebbe stato annacquato se anche Forza Italia avrebbe votato per La Russa; quindi, i sostenitori sapevano bene che Berlusconi avrebbe dato indicazione diversa.
Tre, ore, le interpretazioni.
Prima, il Movimento 5 Stelle, che vuole riattrarre a sé il Pd, ha commesso l’omicidio perfetto, sapendo che il ruolo del maggiordomo sarebbe stato assegnato a Renzi.
Seconda, il maggiordomo è l’assassino: Renzi ha voluto contarsi, evidentemente ben oltre i confini del suo partito e della sua coalizione, verificando quanta presa ha ancora sulle correnti più a destra del Pd.
Terza, qualche vecchio furbone (leggasi Franceschini) ha voluto garantirsi la vicepresidenza del Senato.
Tutto possibile, tutto legittimo. Siamo in politica.
C’è un’unica certezza che emerge: la maggioranza parlamentare può, a determinate condizioni, non esserci. Non una buona notizia per Giorgia Meloni.
3843 – La Russa, Ignazio – Foto Giovanni Dall’Orto, 9-July-2007.jpg
